Alex Pompa: “Assolutamente pentito di aver ucciso mio padre”
Alex Pompa, condannato ieri a 6 anni e 2 mesi per aver ucciso nel 2020 in padre violento, prima della sentenza dei giudici della Corte di assise e di appello di Torino si è espresso così nell’ultima intervista al podcast One More Time di Luca Casadei. “Pentito di aver ucciso mio padre? Assolutamente sì, assolutamente sì”.
“E’ veramente difficile alzarsi e avere questo peso sulle spalle, uccidere tuo padre per salvare la tua famiglia. Ho 22 anni, sono ancora tanto giovane per vivere tutta la vita con questo peso. Ho ottenuto un ergastolo, non sotto il punto di vista giuridico ma psicologico”, dice il giovane in un passaggio dell’intervista.
Nel 2020 a Collegno, nel torinese, nel corso di un’ennesima lite il ragazzo uccise a coltellate il padre per difendere la madre. In primo grado il giovane era stato assolto per legittima difesa. Nelle scorse settimane una sentenza della Corte di Cassazione a cui si erano rivolti i giudici torinesi aveva permesso l’applicazione della prevalenza di alcune attenuanti sulle aggravanti. Per il giovane il pm aveva chiesto inizialmente 14 anni, riformulata a 6 anni e 2 mesi.
“Mia mamma fa la cassiera, mio papà faceva l’operaio. Vengo da un contesto familiare semplice. Ho trascorso la mia infanzia a Piossasco, in provincia di Torino. Abbiamo vissuto dieci anni in quell’abitazione: i primi anni non sono stati come gli ultimi, c’è stata un’evoluzione della violenza che vivevamo dentro casa e questo elemento ha influenzato i miei rapporti con le altre persone e con la mia sfera sociale di amici e conoscenze. Mi è sempre piaciuta la scuola. Era quel momento in cui io non ero a casa, era il mio svago. Sapevo che il difficile veniva dopo, quindi per me la scuola era bella. Mi piaceva socializzare, ho conosciuto lì la mia attuale ragazza”, racconta.
“Con mio papà non c’è mai stato un rapporto affettuoso. La prima volta che mi ha picchiato avevo 6 anni. Avevo fatto cadere una cosa per terra e mi ha tirato un calcio così violento che sento il dolore ancora adesso se ci penso. Verso i 10, 11 anni inizio a capire che nella nostra famiglia c’era qualcosa di diverso, inizio a capire che insulti, minacce e botte nei confronti nostri e di mia mamma non erano cose normali… In pubblico era molto equilibrato, voleva apparire come una persona a modo. Usava le mani, cinghie e spesso anche coltelli… Noi vivevamo due fasi ‘papà pronto ad accendersi’ e ‘papà acceso’, nella prima dominava un silenzio assordante in cui sapevi che bastava poco per trasformarsi in violenza pura e cruda”.