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Alessia, 41enne transgender e sex worker: “Per lo Stato siamo invisibili, ma voglio un lavoro normale”

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“Sogno di sposarmi, di avere dei figli e di trovare un lavoro normale. Sono laureata, caparbia e volenterosa, non voglio restare invisibile, voglio essere trattata come qualsiasi essere umano e non essere costretta a prostituirmi per potermi mantenere”. Alessia Nobile ha 41 anni e mentre ci parla al telefono è un fiume in piena, è piena di idee, di speranze, di intenti e quando ci racconta della sua transessualità è razionale, decisa. Nella sua voce gioviale e positiva si avverte l’entusiasmo di chi non vuole arrendersi, di chi da una vita combatte per i propri diritti e che ora chiede al governo e al Paese un cambiamento. Un atto di coraggio. A TPI Alessia racconta le difficoltà degli ultimi mesi, il percorso di transizione e spiega i motivi della sua battaglia: il desiderio di un lavoro normale, senza compromessi, senza discriminazioni. Ma ottenuto per meriti, come tutti.

Quando hai avvertito la consapevolezza di essere nata in un corpo sbagliato?

Fin da quando ero all’asilo mi sentivo inadatta a certi giochi, come quando ci chiedevano di dividerci tra maschietti e femminucce. Sicuramente non avevo la consapevolezza di chi io fossi, né avevo alcuna sorta di stimolo sessuale, ma per evitare di fare quei giochi chiamavo mia madre e mi facevo venire a prendere, o dicevo che non mi piaceva mangiare all’asilo e me ne andavo prima. Sicuramente il fatto che a me piacesse giocare con le bambole o vedere cartoni animati per bambine, doveva far intuire qualcosa ai miei genitori. Ho un fratello e lui giocava con le macchinine e altre cose, le bambole non erano giochi che trovavo in casa. Un giorno le vidi in un negozio e chiesi espressamente di averne una.

Poi con la pubertà come è andata?

Per anni ho indossato pantaloni e maglie attillate, ma ai miei genitori ho sempre nascosto tutto. Avevano una mentalità un po’ chiusa e non potevano accettare una cosa del genere. Ho realizzato abbastanza presto che a me piacevano i maschi ma fino alla fine del liceo non ho esternato anche che volessi un corpo femminile. Con gli amici mi sono comportata da gay e a casa nascondevo tutto. Sono sempre stata determinata e razionale, non ho mai vissuto come un complesso il fatto che mi piacessero gli uomini. Agli amici ho raccontato tutto. Ma quando ho capito che avevo la pressante esigenza di cambiare involucro, mi sono rivolta al policlinico di Bari per fare un percorso di transizione che prevede un accompagnamento psicologico.

Dalla fine del liceo ho iniziato a far crescere i capelli e a fare i trattamenti laser. Cose che però non erano così evidenti, non erano cure ormonali o interventi estetici. A 20 anni ho iniziato il percorso psicologico, ma quando mi sono resa conto che era troppo lungo ho deciso di lasciarlo e procedere per conto mio. Loro garantivano la mastoplastica, la cura ormonale e il percorso psicologico. Però erano tempi troppo lunghi.

Quindi come hai sopperito?

Durante l’università facevo dei lavoretti per conto mio, anche stagionali, e avevo messo dei soldi da parte. Con quelli ho fatto l’intervento di mastoplastica. Quando qualche anno fa ho scoperto che potevo fare richiesta per il cambio anagrafico anche senza intervento, mi sono data da fare per procurare tutti i documenti, tra cui un percorso psicologico fatto in un ente pubblico. Così ho deciso di terminare quello che avevo iniziato. Con quella relazione ho vinto la causa e ho cambiato nome su tutti i documenti, anche sulla laurea. Oggi grazie a quella relazione potrei anche accedere all’operazione di vaginoplastica poiché ho l’idoneità all’intervento. Ma facendolo perderei anche il lavoro da prostituta.

Come sono andati quegli anni?

Ho deciso di vestirmi da donna solo quando effettivamente le mie fattezze dicevano che ero una donna, ho sempre avuto paura di essere ridicolizzata. Vivendo in una società che vive molto di apparenze, sentivo che senza seno e solo con il trucco mi sarei sentita presa in giro. Quindi solo dopo le operazioni al seno e la mastoplastica mi sono truccata e vestita da donna.

Ti sei laureata in scienze sociali e hai cominciato a inviare cv.

Prima della transizione riuscivo a lavorare, sempre lavori stagionali ma non mi facevano storie. Erano lavoretti semplici ma volevo mettere i soldi da parte per operarmi, all’università cercavo di essere puntuale con gli esami per avere la borsa di studio. Non immaginavo che dopo la transizione avrei dovuto prostituirmi. Sognavo la transizione e poi un fidanzato, la famiglia, i figli, sono una persona semplice, con desideri semplici. Amo insegnare, giocare con i bambini, ho una vena materna, sognavo un lavoro a contatto con i bambini o che comunque desse seguito al mio percorso di laurea.

Poi però sono arrivati i rifiuti.

Inizialmente inviavo i curricula e ricevevo anche delle chiamate per i colloqui, ma quando mi vedevano inventavano scuse per non confermarmi. Per i lavori nel sociale, come segretaria e come barista: mi sono proposta in ogni campo, anche il più semplice, ma era evidente che il mio aspetto fosse un problema. Una volta in un colloquio per un lavoro con disabili l’operatore mi disse apertamente che i requisiti c’erano, ma il fatto che fossi una transessuale poteva rappresentare un problema. Almeno fu onesto.

Da lì la decisione di prostituirti?

Beh sono sempre stata orgogliosa e non volevo pesare sui miei genitori. All’inizio non sapevo nemmeno che esistesse questa possibilità o come si facesse. Sono trascorsi diversi anni prima che prendessi quella decisione. Trascorrevo il mio tempo in cameretta come un vegetale. Rimasi anche senza lo spiraglio del lavoro estivo e decisi che dovevo darmi una mossa. Mi informai su internet e scoprii che si potevano mettere gli annunci online. In parallelo ho sempre provato a cercare un altro lavoro.

Come sono state le prime volte?

Furono tragiche, non sapevo nemmeno cosa dovessi fare e chi erano le persone che avrei incontrato. Presi una casa mia in affitto. Ero un po’ imbranata, pensavo che dovevo avere solo il ruolo di una donna. Non è il lavoro della vita ma mi ha permesso di mantenermi. Io sono fatta così, non mi piango addosso, mi rimbocco le maniche e faccio quello che posso.

Come sono cambiate le cose con il Covid?

I clienti sono diminuiti e di molto. Ma come sex worker per il governo non esisto, non esisto nemmeno come lavoratrice stagionale e quindi niente bonus, e non esisto come transessuale, come essere umano che avrebbe diritto ad accedere a un lavoro normale senza pregiudizi. Nelle ultime settimane ho scritto tramite pec a Conte, a Mattarella, al Papa. Voglio un lavoro normale. Io sono anche abilitata all’albo per fare l’assistenza sociale, pago ogni anno 104 euro di retta. Soldi che pago senza esercitare la professione. Più passa il tempo, più è complicato anche per l’avanzare dell’età. Anche quando i comuni pubblicano dei bandi. Io voglio una soluzione, lo stato deve riconoscere questa nostra situazione, è giusto che si prendano delle responsabilità. Anche prima del Covid lamentavo che volevo un lavoro, ho sempre palesato il desiderio di poter accedere a un lavoro normale senza condizionamenti. Ora è più urgente che mai.

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