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Agnoletto a TPI: “Avevamo ragione noi: 20 anni dopo il liberismo ha provocato pandemia, alluvioni e miseria”

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Vent’anni fa Vittorio Agnoletto a Genova coordinava le manifestazioni contro il G8 come portavoce del “Genoa Social Forum”. L’anno successivo diventò membro del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale (WSF) e a quei temi ha dedicato tutta la sua vita, i suoi studi e la sua attività. Per TPI l’abbiamo intervistato per provare a fare il punto su questi ultimi 20 anni.

Agnoletto, alla fine avevate ragione voi?

Credo che qualunque persona onesta e in buona fede debba riconoscere che avevamo ragione noi, non c’è ombra di dubbio. Possiamo rivedere alcuni dei temi di quel grande movimento che non fu nazionale ma mondiale (si manifestò a Seattle nel novembre del ’99, poi a Porto Alegre nel gennaio del 2001 e poi attraverso i Forum Sociali si diffuse in tutto il mondo). Fu definito erroneamente No Global ma fu il movimento più globale che la storia umana abbia mai sperimentato fino ad oggi: passa da Dacca a Nairobi, Porto Alegre fino a Parigi. Si contestava la globalizzazione liberista, che metteva davanti i profitti di pochi rispetto ai diritti di molti, si proponeva un mondo incentrato sui diritti. Era insomma un movimento molto più propositivo che contestativo.

Quali erano i punti principali?

All’assemblea del 16 luglio del 2001, quella di apertura, interviene il sociologo Walden Bello e dice: “se andrà avanti questo modello di sviluppo incentrato sullo sfruttamento di ogni centimetro quadrato del pianeta, si svilupperanno dei cambiamenti climatici che metteranno in discussione la permanenza delle persone in alcune regioni e produrranno processi migratori”. Tre anni dopo abbiamo avuto lo tsunami, e arrivando ai giorni nostri l’alluvione in Germania e le temperature fino a 50 gradi in Canada. La pandemia stessa è figlia di questo modello di sviluppo: la coltivazione massiva e gli allevamenti intensivi degli animali favoriscono la zoonosi, cioè il salto di specie dell’agente infettivo dagli animali all’uomo.

Oppure pensiamo alle dichiarazioni, sempre quel 16 luglio, dell’economista Susan George: “se andrà avanti il dominio della finanza speculativa sull’economia reale l’Europa andrà incontro a una crisi economica e sociale senza precedenti dal dopoguerra in poi”. Noi l’abbiamo sperimentata nel 2007 e nel 2009 e la stiamo vivendo ora. Allora ci battevamo al fianco di Mandela e del Sudafrica per permettere l’accesso ai farmaci contro l’Aids; siccome i prezzi erano troppo alti e le aziende farmaceutiche si rifiutavano di discuterne, Mandela autorizzò la produzione saltando i brevetti. Finì davanti al tribunale dell’Organizzazione mondiale del commercio, trascinato da 39 multinazionali del farmaco sostenute dalla UE.

Ancora oggi abbiamo da una parte Paesi che chiedono di superare i brevetti dei vaccini Covid e dall’altra l’Europa che è diventata il maggior difensore di Big Pharma. Un pugno di consigli di amministrazione di aziende farmaceutiche tiene nelle mani il destino di più di 7 miliardi di persone. Quei temi sono attualissimi. Solo che allora dicevamo “un altro mondo è possibile” oggi siamo obbligati a dirci che un altro mondo è urgentemente necessario.

Quali di questi temi sono stati veramente assorbiti dalla politica più istituzionale? Non c’è il rischio che rimangano temi da attivisti e non vengano adottati nell’agenda dei partiti politici che determinano davvero le sorti dell’umanità?

Siamo in una fase molto delicata, perché questi temi stanno entrando sempre più nella consapevolezza collettiva (in questo anche la predicazione di Papa Francesco ci aiuta) e diventano in gran parte senso comune. Il potere, non ritenendo più di essere in grado di contrastare la nostra narrazione, si appropria di alcune parole e le pubblicizza a copertura di politiche che vanno nella direzione opposta. Pensiamo all’utilizzo dei fondi che arrivano dalla UE sotto l’etichetta dell’ambientalismo: andiamo a vedere i progetti finanziati e ci ritroviamo le grandi opere, che provocano ulteriore distruzione dell’ambiente. Però il fatto che cerchino di presentarle sotto false vesti utilizzando le nostre parole è un segno di debolezza del potere.

In questi giorni le ricostruzioni su Genova raccontano piazza Alimonda con gli occhi puntati sull’estintore e non sulla pistola…

L’attenzione non va nemmeno puntata sulla pistola, abbiamo bisogno di una serie di fotogrammi di cui la pistola è solo l’ultimo. Piazza Alimonda è frutto della decisione autonoma formalmente presa da un capitano dei Carabinieri (non sappiamo su indicazione di quale vertice dell’Arma o di quale vertice politico) di non rispettare le indicazioni date dalla Polizia (che governava la gestione della piazza) e fermare il plotone sul tragitto del corteo delle tute bianche regolarmente autorizzato e in dissenso con la Polizia, scatenando un assalto violentissimo.

A quel punto non potendo scappare da un lato o indietreggiare l’unica via di fuga porta a piazza Alimonda: siamo di fronte a un grandissimo pericolo costruito ad hoc da una scelta scellerata e illegale. In piazza Alimonda, poi, viene puntata la pistola. Carlo Giuliani non è certo uscito di casa con l’estintore. È uscito con un costume perché pensava di andare al mare. Carlo si trova lì in mezzo, sta scappando, vede un carabiniere che punta la pistola verso i manifestanti. Prendere l’estintore è l’unico modo per interrompere un’azione che poteva diventare omicida e invece quell’azione rimane omicida ed è Carlo a farne le spese. Questo è importante per capire tutta la dinamica.

Non ha la sensazione che molte delle vostre parole di quegli anni oggi vengano superficialmente trattate come vecchie e fuori dal tempo per non essere prese in considerazione?

Questi vocaboli non invecchiano ma ci stanno rincorrendo, solo che loro vorrebbero trasformarli in banalità e svuotarli di senso. Eppure oggi non c’è un media che non citi il concetto dei beni comuni, che non esisteva fino al 2001. Il primo bene comune a cui pensammo fu l’acqua, oggi ancora usano la parola “bene comune”, eppure si dimenticano di spiegare che l’acqua nel dicembre del 2020 è stata quotata in borsa a Wall Strett, rischiando di portare a una privatizzazione globale. C’è il tentativo di manipolare le nostre parole, sterilizzarle e renderle innocue.

Come si racconta Genova alle generazioni che non l’hanno vissuta?

In modo molto semplice: a un certo punto decide e decine di milioni di persone in tutto il mondo si sono rese conto che la condizione della popolazione mondiale continuava a peggiorare e non accettavano un mondo dove il 20% della popolazione possedeva l’80% della ricchezza. Quindi hanno avanzato proposte per costruire un mondo più giusto e il potere non ha ascoltato, non ha discusso ma ha reagito con la forza fregandosene delle regole, delle Costituzioni e delle leggi, applicando unicamente la legge del più forte per stroncare il movimento, affiancati dall’operazione mediatica di delegittimazione del movimento.

Leggi anche: 1. A Genova, 20 anni fa, oltre a un ragazzo è morta la speranza e un bel pezzo di sinistra (di Marco Revelli) / 2. Ambiente, migranti, razzismo: noi, popolo di Genova, avevamo capito tutto con 20 anni di anticipo

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