Trentenne in stato vegetativo dopo intervento, il Comitato etico: “No all’accanimento terapeutico”
Il comitato etico dell’Ulss Dolomiti di Belluno si è espresso sul caso di Samantha D’Incà, la 30enne feltrina in stato vegetativo da un anno dopo un intervento per una caduta, e per la quale i genitori chiedono una soluzione in cui la figlia “possa trovare pace”.
Secondo il comitato etico “Si può staccare la spina. Nelle condizioni in cui versa, il nostro parere è quello di non proseguire con l’accanimento terapeutico”. Le condizioni di Samantha sono oramai irrecuperabili e quindi va evitato ogni accanimento terapeutico anche negando, in caso di complicazioni, alcuni interventi salvavita eccessivamente invasivi.
Nella prossima udienza si deciderà se autorizzare o meno l’amministratore di sostegno della giovane all’interruzione dei trattamenti terapeutici che la tengono in vita. Intanto, la madre attende fiduciosa. “Non vedo l’ora che questa storia si chiuda e che mia figlia possa trovare la pace che voleva e che merita”, commenta a Il Gazzettino.
Il legale della famiglia, l’avvocato Davide Fent, propone la nomina di Giorgio D’Incà, il padre della ragazza, che ha l’obiettivo di accompagnare la figlia verso una dolce morte, non attraverso l’eutanasia ma evitando ogni tipo di cura che prolunghi la sua agonia. Una richiesta già in passato respinta dal giudice, che riteneva l’uomo troppo coinvolto nella vicenda perché potesse ricoprire un ruolo così complicato.
La storia
Il 12 novembre 2020 Samantha si ruppe il femore per un incidente casalingo. Operata all’ospedale di Feltre, emersero delle gravi complicazioni sfociate poi in una polmonite, col successivo ricovero a Treviso. Da lì, il tracollo causato forse da un batterio, anche se le cause non sono mai state dimostrate. Di certo, c’è che la giovane era finita in coma e da allora è iniziata la battaglia dei genitori. “Ricordo che le raccontai di Eluana Englaro – ha spiegato la madre, Genzianella Dal Zot – e lei rimase sconvolta: mi disse che quella non era vita e che non avrebbe mai voluto finire in quel modo. Per questo, ora che non può esprimersi, devo essere io a gridare al posto suo”.