Yari Selvetella a TPI: “Supercattivi? Che noia, preferisco la vita segreta degli amanti”
Yari Selvetella a TPI: “Supercattivi? Che noia, preferisco la vita segreta degli amanti”
Yari Selvetella è tornato in libreria con un nuovo romanzo, s’intitola Le regole degli amanti ed è stato pubblicato da Bompiani. Quali sono le regole degli amanti? E quante sono? Secondo Iole e Sandro, i protagonisti del romanzo, le regole perfette sono dieci e, per far sì che tutto funzioni a dovere, devono essere rispettate per trent’anni, un lungo patto fatto di amore ma anche di rinunce, un rapporto che si basa sul volere essere liberi di amare ed esplorare la propria libertà. La storia di Iole e Sandro mi ha portato a parlare con l’autore che ha dato loro una vita d’inchiostro, parlando di amore, regole, felicità, paure e anche tanta Roma.
Ho iniziato a scrivere Le regole degli amanti perché da molti anni mi affascinano certe minutaglie di cronaca o chiacchiere private in cui all’improvviso si scopre che qualcuno, magari per decenni, ha avuto una vita sentimentale segreta. Mi è sempre parsa un’occasione narrativa interessante. E poi volevo che i miei personaggi si misurassero con delle imperfezioni, con delle piccole miserie, con entusiasmi e passioni ma anche con i propri limiti ed errori. Da lettore – e spesso anche nella vita – mi annoiano sia i supercattivi sia i personaggi autoindulgenti e, ancora peggio, mi irritano le ammissioni ipocrite. Rischiamo che i personaggi della nostra letteratura finiscano come certi intervistati della tv, ai quali domandano quale sia il loro peggior difetto e quelli rispondono: “la sincerità” . Ma dai… Il romanzo è una finzione che draga nella realtà, non per giudicarla, ma perché è molto più divertente. E così sono nati Iole e Sandro.
Siamo invasi dai prontuari, dai metodi, dai kit. Non c’è promessa che non abbia un suo profeta, non c’è ambizione che non possa essere assecondata affidandosi a sagaci step rintracciati chissà dove. In questo romanzo ho voluto giocare su questa ossessione, andandola ad applicare proprio a quel sentimento che, formalmente, viene considerato indomabile e selvaggio ma che poi, nella vita quotidiana, sottoponiamo a mille vincoli, a divieti, a sanzioni di ogni tipo. Se Iole e Sandro definiscono la loro idea di amore è proprio per smetterla con i condizionamenti che in vario modo sentono di subire. La legge, per una volta, la fanno loro e nessun altro. Certo formulano delle prescrizioni arbitrarie, senza alcun valore scientifico ma forse, specchiandoci in esse, ci chiediamo qualcosa su noi stessi: le nostre scelte in tema di fedeltà, rapporti con gli altri, complicità, desiderio, sono davvero più razionali delle loro? Forse, a parte qualche cantonata, Iole e Sandro su alcuni temi hanno ragione.
Ah, non credo proprio. A loro ho attribuito una straordinaria capacità di concentrarsi sugli aspetti lievi della vita: gliela invidio, ma non è la mia. Mi affascinano le loro scelte, come ci piace la vita di certi gruppi rock o star del cinema, ma credo che nel loro recinto sarei a disagio. Gli amanti come Sandro e Iole hanno dalla loro che si divertono un sacco, ma a lungo andare la gratitudine e la solidarietà possono essere importanti almeno quanto i languidi sospiri. La regola più suggestiva sull’amore l’ha scritta Sant’Agostino: Ama e fa’ ciò che vuoi, sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore.
È lecito porsi questa domanda, ma non è giusto darsi una risposta assertiva o lanciarsi in una definizione. Leggete molte poesie, di grandi poeti, e lo saprete. Leggetene poi degli altri per convincervi del contrario. Mi vengono in mente dei versi di W.H. Auden Ditemi la verità, vi prego, sull’amore. […] Alcuni dicono che fa girare il mondo/ e altri che è solo un’assurdità…
No, non ho momenti di smarrimento, mentre scrivo. Ma negli anni ho sperimentato la frustrazione di sentirmi molto vicino al nocciolo di verità che avrei voluto toccare, senza tuttavia riuscire davvero ad appropriarmene. In questo senso scrivere è un tentativo destinato spesso a fallire, ma mentre si scrive bisogna convincersi che non sia così, che attraverso le parole la verità e la vita siano davvero lì, a portata di mano.
Sì, senz’altro. Ma in tutta sincerità quelli che si sono avverati non sono più numerosi di quelli che si sono rivelati false piste. È scrivendo che leggo i miei tarocchi, le parole a volte si presentano come compimento di un movimento interiore più o meno consapevole e in esse c’è anche la traccia della direzione che stiamo prendendo.
Oh sì, certo, scrivo da tanti di quegli anni… Mi è capitato di essere del tutto ignorato o di essere garbatamente bocciato. È una dinamica che assomiglia fin troppo a quelle del corteggiamento. Infatti un autore rifiutato non sente che è la sua opera a non funzionare. Al contrario si sente offeso e smarrito come un innamorato respinto.
Che bello che tu abbia trovato questa frase! In realtà nel mio romanzo Sandro, che è un lettore compulsivo, afferma di averla tratta da un libro. È nei Sillabari di Goffredo Parise, il quale ne corregge la perentorietà con una postilla: “e invece si ripetono e non si ripetono, non c’è una regola”. E siamo al cuore del problema, nel punto cieco del romanzo, se sia o no possibile associare un sistema di regole a un conseguimento della felicità e soprattutto se sia appropriato porsela come obiettivo di vita.
Sono un po’ superstizioso e non mi va nemmeno di nominarle, le paure più vere. Dovrei citare ciò che più amo e non voglio, con la mia tracotanza, stimolare e sfidare la fantasia degli dei.
Io la amo e basta. A volte chi amiamo, anzi soprattutto chi amiamo ci fa stare molto in pena, no? E così è Roma per me. Credo di conoscerla molto a fondo, in tutta la sua complessità: mi infastidiscono le letture perentorie, parziali, sbrigative che spesso si hanno di questa città. Mi sembra che anche in questo caso siano più utili le verità poetiche che non le ansie definitorie. Forse la mia citazione preferita, su Roma, è l’incipit del libro L’orologio di Carlo Levi. “La notte, a Roma, par di sentire ruggire leoni. Un mormorio indistinto è il respiro della città…”
Sono stato nel deserto del Nord Africa e nell’Oman. Adoro il deserto e non vedo l’ora di ritornarci. Per me non rappresenta il vuoto. Le dune sono composte di parole: è così che lo vedo. Ed è per questa suggestione che il deserto è entrato a far parte di questo romanzo. È il deposito di tutte le storie ed è vivo per via del vento, che lo cambia, che lo modella e insomma gli dà un significato. Chi scrive deve sentire di essere quel vento. Quando lo incontro nella realtà mi fermo, lo ascolto e il tempo rallenta fin quasi a fermarsi.
Sono tante le storie di cui mi piacerebbe occuparmi, ma ci vuole un po’ di tempo per recuperare quella sfrontatezza, quella convinzione e perfino quella fortuna che ci fa scivolare dentro a una vicenda fino al punto in cui non ci è più possibile tornare indietro. In un esatto momento, in un luogo esatto c’è l’incontro con una storia che avrà un ruolo più o meno importante nella nostra vita o in un periodo significativo di essa. Domani, o tra qualche anno, sotto casa o in viaggio, accadrà. Insomma come succede con le persone…