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“La maschilizzazione della donna non è emancipazione. È solo un’altra forma di schiavitù”: parla Loretta Napoleoni

Immagine di copertina
La copertina del libro "Sul Filo di Lana" di Loretta Napoleoni

"Il lavoro a maglia mi ha salvata. Tutti i miei studi nel momento del bisogno non mi sono serviti a nulla". A parlare a TPI è Loretta Napoleoni, consulente di governi ed economista internazionale. Una donna di successo che racconta a testa alta la sua passione segreta per il lavoro a maglia, un'arte femminile e delicata che le ha salvato la vita

“Tutti i miei studi economici e politici nel momento del bisogno non mi sono serviti assolutamente a nulla. L’unica cosa che è stata in grado di salvarmi è stato il lavoro a maglia. Sferruzzare di diritto e di rovescio mi ha offerto una strada per uscire dall’abisso in cui ero precipitata, aiutandomi a tirarmene fuori”. A parlare a TPI è Loretta Napoleoni, consulente di governi, economista ed esperta di terrorismo internazionale.

Una donna di successo, affermata e potente che racconta a testa alta la sua passione segreta per il lavoro a maglia, un’arte femminile e delicata che le ha salvato la vita e a cui ha dedicato il suo ultimo libro “Sul filo di lana. Come riconnetterci gli uni con gli altri”.

Un’abilità, quella del lavoro a maglia e all’uncinetto, che sta tornando in voga. “La rinascita dei lavori manuali a livello mondiale, e in particolare del lavoro a maglia, conferma che ci stiamo rendendo conto che la maschilizzazione della donna non è assolutamente un’emancipazione. Al contrario, è un’altra forma di schiavitù“.

A metà degli anni Sessanta, infatti, alcune donne giudicavano il lavoro a maglia un’attività che le aveva da sempre relegate in casa, un lavoro invisibile e non retribuito, e lo consideravano come il simbolo dell’oppressione femminile. Altre invece consideravano ferri e uncinetto uno strumento di lotta per l’indipendenza.

Ma vedere il lavoro a maglia puramente come un’arte femminile oppressiva era uno stereotipo che non reggeva. “Anzi, la capacità di realizzare un maglione per il proprio partner o un poncho per sé è un segno di abilità personale, un’espressione di creatività, insomma un atto di libero arbitrio“, scrive Loretta Napoleoni nel libro “Sul Filo di Lana”.

L’economista racconta la storia del lavoro a maglia con le sue tricoteuses che sferruzzavano sedute davanti alla ghigliottina. Alla Grande Guerra quando gli indumenti di lana fatti a mano dalle donne a casa hanno contribuito a tener caldi i soldati in trincea. Alle spie-magliaie della Seconda guerra mondiale che nascondevano i messaggi segreti dentro le trame dei tessuti come un codice che non poteva essere intercettato. Fino al women empowerment e alle forme di protesta unendo le comunità.

Loretta Napoleoni ha riscoperto il lavoro a maglia a seguito delle vicissitudini personali che l’anno toccata e nel libro racconta di come il lavoro a maglia sia stata la sua salvezza.

“Le brave magliaie hanno il coraggio di disfare per rimediare un grave errore, sanno che è possibile sistemare tutto se si hanno i ferri e il filato in mano, e nel cuore il coraggio di tornare indietro e ricominciare. Chi lavora bene a maglia è saggio”, scrive nel suo libro.

Perché un libro sul lavoro a maglia?

“Non è proprio un libro sul lavoro a maglia. È un libro che usa il lavoro a maglia come una metafora della vita. Per cui si parla anche di politica, di economia, del ruolo delle donne e poi c’è la mia storia personale. Alla fine, nel momento del bisogno vero come quello di una situazione tragica ho capito che tutte le mie conoscenze economiche e politiche non mi sono servite assolutamente a nulla. La cosa che mi ha calmata e che mi ha dato la lucidità mentale per poter affrontare questi grossi problemi è stato il lavoro a maglia. È una cosa che ho voluto raccontare. Sapevo che il lavoro a maglia facesse bene ma non l’avevo mai sperimentato sulla mia pelle”.

Lei è una donna di successo e affermata con un ruolo importante ma è anche una donna con un lato sensibile. Le chiedo: come si fa a essere donne emancipate e al tempo stesso donne che apprezzano e che amano un lavoro manuale come quello della maglia? È un tema che affronta anche nel capitolo titolato “L’amore e odio del femminismo per i filati”. Come si può essere entrambe le cose oggi?

“Io credo che si possa essere entrambe le cose sempre. Sicuramente oggi le donne sono molto più emancipate. Quella divisione dei ruoli che abbiamo vissuto fino alla Seconda Guerra Mondiale, e anche nel Secondo Dopoguerra, era una divisione dei ruoli che non rispecchiava minimamente le capacità. Anche gli uomini possono lavorare a maglia, possono fare modellismo. Il lavoro manuale e il lavoro intellettuale non sono due fenomeni che si escludono a vicenda. Al contrario, sono due tipi di creatività che si manifestano in modo diverso. Per quanto riguarda il ruolo della donna penso che l’idea che l’emancipazione della donna passi attraverso la maschilizzazione, e che quindi le donne debbano diventare esattamente come gli uomini, sia sbagliata. Se io dicessi per esempio accomodo tutto l’impianto elettrico a casa perché è una cosa che mi piace fare ci si meraviglierebbe. Al contrario risulterebbe normale se dicessi faccio i golf a maglia per tutta quanta la famiglia. Secondo me questo è proprio un errore. Ma che è anche un errore prevedibile. Nelle lotte per l’emancipazione si tende spesso a posizionarsi dall’altra parte. Si sbaglia il tiro. Poi per fortuna tutto rientra. E infatti sono molto fiduciosa per questa rinascita dei lavori manuali, e in particolare del lavoro a maglia a livello mondiale. Questa tendenza conferma che ci stiamo rendendo conto che la maschilizzazione della donna non è assolutamente un’emancipazione. Al contrario, è un’altra forma di schiavitù”. 

Collegandoci all’attualità, come commenta le polemiche recenti sulle espressioni definite sessiste pronunciate da Amadeus prima dell’inizio del Festival di Sanremo? La frase “un passo indietro” della donna rispetto all’uomo come la commenta?

“Sanremo non è Woodstock. Sanremo è un istituzione vecchissima nata in un momento storico in cui, come racconto nel libro, c’era una forte divisione dei ruoli uomo e donna. Siamo in Italia, nel Secondo Dopoguerra. Gigliola Cinquetti ha vinto Sanremo nel 1964 con la canzone “Non ho l’età per amarti” . Un brano che esprime appieno il tempo in cui le donne erano relegate in un determinato ruolo all’interno della coppia. Il semplice fatto che lei abbia vinto sulla base di una canzone di quel tipo dice tutto. Questo era Sanremo, ora non credo sia cambiato molto. (La Cinquetti dichiarò in seguito che proprio per questo motivo non avrebbe mai voluto cantare questa canzone, ndr). È stato un Festival importante, con ospiti importanti anche chiamati dall’estero, però è un modello che andrebbe rivoluzionato. Questo è il “Paese delle Veline”. Non dico che l’Italia sia un Paese machista come la Spagna, dove in alcuni settori c’è addirittura più machismo. Ma qui in Italia nel settore dello spettacolo e nel cinema non c’è stata quell’emancipazione che si è verificata altrove, come ad esempio nei Paesi scandinavi. Anche in politica. Noi non abbiamo mai avuto un primo ministro donna. Siamo un po’ indietro. Ma c’è anche uno zoccolo duro di donne che invece sono al cento per cento emancipate, che hanno un rapporto di parità con i propri mariti o con i propri compagni”.

È vero che il lavoro a maglia, con la sua funzione catartica, può essere un rimedio per superare momenti di debolezza legati per esempio a una storia d’amore finita o che può aiutare a ritrovare in parte se stessi. Ha davvero questo potere?

“Certamente, dal punto di vista medico il beneficio del lavoro a maglia è super sperimentato. L’altro giorno parlavo con un’amica che mi raccontava che ha la madre ha il Parkinson però lavora a maglia regolarmente. Dorme malissimo, è una signora anziana. Ma la mattina si sveglia alle 4 e si mette a lavorare a maglia. E mi ha fatto vedere sul telefonino tutti i lavori che fa. Il lavoro a maglia la aiuta. Nei giorni scorsi è venuta a trovarmi una rappresentante di un’associazione che si chiama “Il Gomitolo Rosa” fondata da un oncologo nella zona di Biella, dove si produce tutta la lana italiana. Hanno fondato questa associazione per recuperare la lana che viene bruciata. La lana che non viene venduta, infatti, la bruciano. Questi medici si sono messi insieme e hanno recuperato la lana e l’hanno rifatta tessere e hanno poi fondato un’associazione che promuove il lavoro a maglia nelle sale d’attesa degli ospedali. Perché in quelle sale d’attesa c’è molta tensione, non si sa quello che succederà. Spesso si vivono davvero dei momenti brutti. Quest’associazione offre ai pazienti gomitoli gratis e ad ogni colore è stata associata una malattia. Il rosa per esempio è il cancro al seno, il rosso indica invece le malattie cardiovascolari. Ci sono stati studi che dimostrano come il lavoro a maglia crei una condizione di mindfulness che è quello che si prova con la meditazione. Ci si stacca dai propri problemi e si raggiunge un momento di respiro mentale, che è fondamentale”.

Il titolo del suo libro è “Sul Filo di Lana”. Cosa vuol dire per lei essere sul Filo di lana? Come interpreta questa metafora?

“Il titolo l’ha fornito un giornalista. Pier Luigi Vercesi, ex direttore di 7 del Corriere della Sera. L’espressione “Sul Filo di Lana” è un’espressione che viene dallo sport. Era il filo di lana che si tagliava al traguardo. E l’espressione “Sul Filo di Lana” vuol dire “Ce la farò o non ce la farò a vincere?”. Il libro parla anche della mia storia personale; uno inizia e non lo sa come finisce. È un’espressione che descrive tutto il messaggio del libro. E poi mi è sembrata anche un’espressione molto adatta al mondo in cui viviamo. Siamo tutti a rischio, sempre“.

Il nostro direttore Giulio Gambino ha recentemente intervistato Romano Prodi a Bologna. E Prodi, nell’intervista, sostiene che oggi in Italia a livello politico ci troviamo di fronte a una sfida sul Filo di Lana. Che ne pensa?

“Secondo me Prodi ha ragione a dire che oggi in Italia siamo di fronte a una sfida sul filo di lana. Ma forse è un’espressione più adatta per descrivere per esempio le “elezioni della Brexit”. Erano sul filo di lana. Non si sapeva niente. La sfida tra Johnson e Corbyn era sul Filo di Lana”.

Continuando a parlare di politica, delle Sardine cosa pensa? Secondo lei ce l’avranno mai un ruolo politico?

“Io penso che quello che non manca in Italia sia la spinta iniziale per la creazione di movimenti. Gli italiani sono abbastanza estroversi quando si parla di politica. Quindi è facile farli scendere in piazza per queste cose. Le Sardine sono carine. Proposi un articolo sulle Sardine per un mensile giapponese per il quale scrivo, molto simile a Foreign Policy, ma non ne hanno voluto proprio sapere. In Italia si creano continuamente nuovi movimenti, si sfasciano continuamente nuovi partiti. È una disgregazione continua. E non va bene. C’è il rischio che questi movimenti come le Sardine diventino voci frustrate che non portano a nessun cambiamento. Ed è un peccato, perché noi abbiamo un disperato bisogno di cambiamento in Italia”.

E come potrà avvenire secondo lei questo cambiamento?

“Io penso che se Salvini riuscirà mai a vincere con una maggioranza solida per governare, anche alleandosi con la Meloni, non sarà una cosa così negativa perché almeno si avrà una maggioranza solida. Non è detto che poi la destra sia per definizione sempre negativa e gli altri siano per definizione sempre positivi. È avvenuto lo stesso nel Regno Unito con la questione di Johnson. Tutti a disprezzare Johnson però poi alla fine Johnson ha ottenuto la maggioranza di 80 parlamentari e finalmente qualche riforma si farà. E a quel punto se a qualcuno non starà bene la riforma potrà manifestare contro. Ma le se cose restano come sono ora in Italia non succede mai niente. Che cosa ha fatto questo governo? Niente”.

Zingaretti?

“Zingaretti non lo conosco. Vuole fare un altro partito no? Non capisco. Il segretario del Pd che vuole fondare un altro partito…”.

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