Sesso, sessualità, desiderio, erotismo, sensualità: la riscrittura dell’immaginario passa anche da qui e riguarda tutti
* Di Eugenia Romanelli (Presidente dell’Associazione Culturale ReWriters), che ogni mese firma un editoriale per TPI sulla riscrittura dell’immaginario contemporaneo.
Bacchettoni o fanatici, perbenisti o irriverenti, esibizionisti o introversi, la questione riguarda tutti perché tutti abbiamo una sessualità. E’ semplice.
Meno semplice, invece, è la rappresentazione della sessualità, che non sempre e non ovunque è inclusiva, pluralista e democratica, come è giusto che sia nel rispetto della nostra Costituzione e delle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La sessualità è una componente fondamentale e complessa dell’essere umano che comprende l’identità, il sesso, l’orientamento sessuale, la salute, la riproduzione, il benessere, la psiche, i diritti umani ed è spesso connessa a gravi problematiche della comunità internazionale quali la violenza sessuale, le mutilazioni genitali femminili, la prostituzione, le disuguaglianze di genere, la discriminazione. Le donne e le persone LGBTQ+ sono spesso vittime principali di governi lenti nel prevenire violazioni dei diritti umani.
Con l’Art. 2 la nostra Repubblica tutela i diritti inviolabili dell’essere umano, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e ogni persona, dunque, ha diritto ad avere una propria sessualità e di viverla senza discriminazione. Nel 1974, l’OMS affermava che “La salute sessuale è l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali nell’essere sessuato al fine di pervenire ad un arricchimento della personalità umana, della comunicazione e dell’amore”. Sono infiniti e mai bastano, gli accordi universali che sanciscono il diritto alla salute sessuale e riproduttiva come uno dei diritti umani (guarda qui per approfondire), così come quelli che tutelano l’orientamento sessuale, e via dicendo. Ma le carte non bastano. Non bastano le leggi, quando ci sono, non bastano i Tribunali. Occorre lavorare sull’immaginario, dal basso, insegnare a pensare in un nuovo modo a se stessi, al rapporto con il proprio corpo, con il desiderio, con il piacere, alle relazioni con gli altri, e disseminare nuove visioni, nuove narrazioni.
Occorrono i film, le opere d’arte, i media, la pubblicità, i romanzi, gli influencer, le influencer: occorrono storie. Occorre costruire nuovi parametri, nuove bussole che orientino la nostra immaginazione, che la guidino in un viaggio verso un mondo al passo con le sue complesse evoluzioni, capace di garantire a tutti e tutte la possibilità di essere felici, di provare piacere, di sentirsi accolti e riconosciuti anche attraverso l’espressione del proprio desiderio.
Si tratta di riparadigmare e risignificare il nostro modo di stare al mondo, di aiutare le nostre società – e gli individui che la compongono – a identificarsi in un essere umano che non giudichi i gusti o i comportamenti privati del vicino ma li metta in dialogo con i propri, per arricchire il personale panorama esistenziale, trasformando limiti in orizzonti, consapevoli che un punto di vista è solo la vista da un punto. Un essere umano empatico e responsabile della qualità della vita di tutta l’umanità, e non solo della propria, che consideri i rapporti interpersonali come sistemi affettivi e relazionali basati sul consenso e non sul dominio, che guardi a se stesso non come centro e sole ma come nodo di una rete, ganglio vitale di un sistema.
Proprio grazie a questa empatia e ai nostri neuroni specchio, possiamo riconoscere come nostro simile anche chi non lo fosse effettivamente: non importa essere una donna per comprendere che non bisogna violentarla, essere una persona transessuale per comprendere che non bisogna discriminarla, etc etc. Ma come si attiva questa empatia e questi neuroni specchio? Attraverso la condivisione emotiva. Appunto, con le rappresentazioni: i film, le opere d’arte, i media, la pubblicità, i romanzi, gli influencer.
Ozpetek ha fatto molto in questo senso: ha riscritto l’immaginario delle relazioni affettive e sessuali, includendo ogni loro possibile declinazione e dando voce a vissuti che non venivano narrati nella loro autenticità. Molto sta facendo Achille Lauro, rifiutando il binarismo sessuale, affermando la fluidità di genere, denunciando la mascolinità tossica. Anche Melania Mazzucco, col suo romanzo “Sei come sei” ha messo una goccia potente nella riscrittura dell’immaginario collettivo, narrando la storia di una famiglia omogenitoriale (e eleggendo il mio “La donna senza nome” seguito ideale del suo). Prezioso anche l’attivismo senza tregua di Vladimir Luxuria, o, per le donne, di Serena Dandini. Anche la moda e la pubblicità possono essere considerate changemakers in questo senso: moltissimi brand hanno optato per un’estetica genderless (nel caso di Chanel, Gucci e GCDS è stata introdotta anche una linea unisex di make-up, Valentino ha fatto sfilare una serie di uomini durante il défilé femminile della stagione autunno/inverno 2020 con tanto di trucco e acclamati designer come Alessandro Michele e Virgil Abloh hanno sfoggiato in diverse occasioni le loro unghie colorate).
Ma c’è molto lavoro da fare sullo sdoganamento della libertà dei comportamenti sessuali. Se, infatti, grandi marchi, grandi artisti, grandi produzioni, grandi case editrici, influenti media rappresentano persone Lgbtq+ e donne emancipate, manca ancora una normalizzazione sulla grammatica del piacere. Forse solo M¥SS KETA – per altro facendo infuriare le femministe – ha azzardato il discorso, mettendo in scena una donna disinibita con il suo corpo e i suoi desideri. Qualche aiuto arriva anche dal mondo “all you can fuck” della digitalizzazione del sesso, ossia dall’universo del dating online che, a tutti gli effetti, ha reso la sessualità democratica, inclusiva, ha riconosciuto e reso riconoscibile il desiderio e il gusto di tutti, in ogni forma e nessuno escluso.
Ma resta un problema, sempre, insormontabile, un buco nero dove niente sembra riscrivibile, ri-immaginabile, trasformabile. Come una stasi eterna e senza tempo, l’impero di un modello senza inizio e senza fine che si riproduce sempre uguale a se stesso, dove non esistono grimaldelli per intervenire o vie d’accesso: il modello patriarcale.
Lo so, è una parola datata, ma non me ne sono venute in mente altre. Forse gli uomini eterosessuali con lo smalto insegneranno, nel tempo, agli altri uomini a non picchiare una trans, ma dubito che siamo anche solo nei pressi di quel giorno in cui una donna potrà serenamente scegliere di non avere figli, di andare in minigonna sola di notte per la strada, di vestirsi da uomo per amare con passione un’altra donna, di assumere un incarico professionale apicale, di non truccarsi, di vantare la sua promiscuità, di essere grassa e brutta, senza venire offesa, aggredita, giudicata, violentata.
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