A cos* serv* l* schwa: è davvero necessario un nuovo segno scritto per includere tutti?
Il genere grammaticale non corrisponde a quello biologico. È davvero necessario un nuovo segno scritto per includere tutti? L'approfondimento sul nuovo numero del settimanale The Post Internazionale - TPI, in edicola dall'1 ottobre
L’Accademia della Crusca ha sconsigliato l’uso dell’asterisco (*) e dello schwa (ə) nell’italiano scritto, seppur per lodevoli ragioni di inclusione linguistica. Tra gli ostacoli principali, come spiega il linguista Paolo D’Achille nella scheda “Un asterisco sul genere”, la difficoltà di pronuncia dei due segni scritti e le possibili incomprensioni relative al significato di simboli mutuati dall’informatica e dall’Alfabeto fonetico internazionale.
Molto meglio usare il maschile plurale, da considerare come genere grammaticale non marcato, per esempio nel caso di participi o aggettivi in frasi come “Maria e Pietro sono stanchi” o “mamma e papà sono usciti”. Il dibattito però resta aperto. La linguista Anna M. Thornton sottolinea come l’introduzione dello schwa non risolva affatto il problema dell’inclusione, ma lo scalfisca appena. Se la formula “Carə tuttə” potrebbe far sentire finalmente parte di un insieme che include; tuttavia rischia di escludere molte donne, che sostengono come essa oscuri la presenza femminile tanto quanto il maschile “Cari tutti”.
Di diverso avviso la sociolinguista specializzata in comunicazione digitale, Vera Gheno, che ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca. La lingua, sottolinea l’esperta, cambia continuamente e non esiste un’autorità capace di decidere in materia. In italiano una parola è o maschile o femminile, “ma non sempre questa alternativa risulta inclusiva”. Inoltre, rimarca Gheno, la pronuncia dello schwa esiste già in alcune forme dialettali italiane…
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