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Si può guarire dalla dipendenza affettiva?

Immagine di copertina
Credit illustrazione: Emanuele Fucecchi/TPI

Poiché non è possibile fornire una risposta esaustiva in 15 secondi e tanto meno fare terapia, ho deciso di selezionare alcuni dei dubbi, delle domande e delle riflessioni che avete condiviso con me nella box “terapia in 15 secondi” e che nell’ultimo periodo con costanza variabile avete visto comparire sul mio profilo Instagram @g.a.psicologa. Molti dei vostri quesiti prevedevano - e meritavano - più tempo rispetto a quello dedicato, per questo motivo la mia scelta è ricaduta su due domande che mi avete sottoposto con più frequenza. In questo articolo risponderò al vostro primo quesito

Si può guarire dalla dipendenza affettiva?

Prima di tutto capiamo meglio cos’è, con cosa abbiamo a che fare e di che situazione specifica stiamo parlando. Poiché, ogni relazione termina e la dipendenza affettiva non ha nulla a che fare con la malinconia, la tristezza e il dolore fisiologico a cui chiunque (ovviamente in modo diverso in base alle persone coinvolte e alla situazione) va incontro quando una relazione termina. La dipendenza affettiva quindi è qualcosa di profondamente diverso da quello che è la fine di un rapporto, spesso piuttosto, racconta nel presente una storia passata, rendendo attuale un dolore antico, radicato in esperienze pregresse ed infelici.

I sintomi della Dipendenza Affettiva, che viene classificata nelle New Addition di tipo comportamentale, consistono in:
1.
Esistenza di una sindrome da astinenza per l’assenza dell’amato, caratterizzata da significativa sofferenza e un bisogno compulsivo dell’altro;
2. Considerevole quantità di tempo speso per questa relazione (in realtà o nel pensiero);
3. Riduzione di importanti attività sociali, professionali o di svago;
4. Persistente desiderio o sforzi infruttuosi di ridurre o controllare la propria relazione;
5. Ricerca della relazione, nonostante l’esistenza di problemi creati dalla stessa;
6. Esistenza di difficoltà di attaccamento, come manifestato da uno dei seguenti:
7. Ripetute relazioni amorose esaltate, senza alcun periodo di attaccamento durevole;
8. Ripetute relazioni amorose dolorose, caratterizzate da attaccamento insicuro.

C’è qualcosa che vi suona familiare con la più nota dipendenza da sostanze? Possiamo notare infatti fin da subito le molteplici analogie tra innamoramento e tossicodipendenza, confermate anche dagli studi di neuroimaging (che visualizzano l’attività cerebrale in vivo). Questi studi dimostrano che l’innamoramento attiva alcune regioni cerebrali della via mesolimbica che è ricca di dopamina (sostanza messa in circolo nel nostro cervello quando svolgiamo qualcosa di piacevole come per es. mangiare e fare sesso ecc.). Il piacere che proviamo serve a motivarci a ripetere questi comportamenti e quindi a garantire la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Come dimostrano numerose prove empiriche queste stesse regioni vengono attivate sia nella dipendenza da sostanze che nelle dipendenze comportamentali, come quella in questione.

Detto ciò, non deve passare il messaggio che la dipendenza è in assoluto qualcosa di patologico da cui fuggire, un certo grado di dipendenza dal partner è assolutamente comprensibile e ovvia in qualsiasi storia d’amore, in modo particolare nella fase iniziale della relazione caratterizzata dall’innamoramento e da un forte senso di intimità fusionale. La gravità della dipendenza è stabilita infatti non dalla sua presenza o assenza, ma dal livello di compromissione del singolo, dalla rigidità e dalla forza imperativa con cui viene applicata.

La possibilità di non incappare nella dipendenza affettiva, dunque, dipende dai protagonisti in scena e dalla loro capacità di percepirsi e rispettarsi come individui singoli e separati, cioè di riconoscere l’altro nella sua diversità senza per questo perdere di vista la propria individualità. Quando invece il legame di coppia mette in ombra i propri bisogni e desideri personali, vincolandoci all’altro e soffocando la nostra individualità possiamo parlare di love addiction o dipendenza affettiva.

Dopo aver fatto chiarezza ed aver analizzato l’oggetto in questione possiamo rispondere, si può guarire da questa dipendenza come da molte altre. La relazione molto spesso si fa veicolo di compensazioni che non riguardano la coppia, ma il dolore personale di uno dei due, è perciò di vitale importanza occuparsene personalmente e non investire il partner di tale responsabilità.

Il dolore passato non può essere compensato o risarcito da qualcun altro nel presente che non siamo noi!!!

Ecco 5 suggerimenti per affrontare la dipendenza affettiva:
1) CENTRATI
Chi soffre di dipendenza affettiva si concentra sull’altro perciò il primo step fondamentale è ricentrarsi. Non guardare dentro l’altro per capire di cosa ha bisogno e come potresti soddisfare al meglio le sue esigenze così da garantirti la sua benevolenza e vicinanza. Fermati e guarda dentro di te. Di cosa hai bisogno TU? L’attenzione è focalizzata sulle tue esigenze ed emozioni ma soprattutto sul volerti bene.

2) LIMITA
Il bisogno di essere amati può portare a perdere di vista i propri confini personali ed i limiti che non dovrebbero essere superati, accettando gradualmente di sottomettersi a comportamenti talvolta offensivi e sempre meno rispettosi. Impara a dire NO, stabilisci TU fin dove l’altro può arrivare, demarca una linea di confine su cosa è o non è accettabile per te, non per l’altro. L’altro non è una tua estensione, i tuoi bisogni non sono i suoi!

3) STIMATI
La costante paura dell’abbandono e della solitudine, come abbiamo detto, porta a soddisfare l’altro per essere stimati, amati e accolti. La stima di sé però non nasce come riflesso del compiacimento altrui, ma piuttosto dal saper valorizzare le proprie necessità, passioni e valori. Si sviluppa dall’abilità di attivarsi praticamente verso ciò che ci piace e ci gratifica. Da solo/a puoi star bene! Liberati dalla corazza della solitudine, smetti di dirti “da solo non ce la faccio”, invece si!

4) LEGITTIMATI
Il dipendente affettivo è spesso conscio di mettere in atto comportamenti controproducenti, per questo si vergogna e spesso si isola. Il perpetuare lo stesso comportamento masochistico che non riesce a smettere di compiere lo fa sentire in colpa verso se stesso, portandolo a definirsi attraverso parole di rabbia e delusione. Questo però reitera il circolo vizioso di sentirsi non amabile e per questo disposto ad accettare tutto. Sentirti in colpa non ti aiuterà a stare meglio né a cambiare lo stato delle cose. Riconoscere la difficoltà e legittimartela invece si!

5) LIBERATI
Questo è il passo più doloroso, riguarda il coraggio di affacciarsi a quello che a parer nostro è un pozzo senza fondo, un buco nero, rispetto al quale ci sentiamo inermi ed indifesi.

Gli schemi relazionali messi in atto nella dipendenza affettiva, affondano le loro radici nel rapporto con le figure di accudimento. Non è possibile modificare tali schemi (costituiti da esperienze, ricordi, interpretazioni automatiche, aspettative) in tempi rapidi e senza prima aver preso coscienza del mondo in cui essi si manifestano nella nostra vita. È per questo consigliabile richiedere l’aiuto di un professionista che ci possa gradualmente introdurre lungo questo percorso di cambiamento.

Non sarai mai abbandonato fintanto che ci sarai tu a prenderti cura di te!

Gli articoli della psicologa Giulia Amandolesi su TPI
1. Non si fa più l’amore come una volta (di Giulia Amandolesi); // 2. Smart working: i rischi di lavorare da casa e come evitarli (di Giulia Amandolesi); // 3. Come scegliere lo psicologo giusto per te (di Giulia Amandolesi); // 4. Ansia, una pandemia parallela; // 5. I tabù degli psicofarmaci; // 6. Si scrive Mindfulness, si legge “vivere con consapevolezza”: come superare le difficoltà e sbloccarsi; // 7. Psicologia e domande frequenti: la “terapia in 15 secondi” della psicologa Giulia Amandolesi

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