No, il problema non è Chiara Ferragni ma la promozione del turismo in Italia
No, come quasi sempre accade il problema non è Chiara Ferragni. Chiara Ferragni è la montagna che copre l’orizzonte ed è dell’orizzonte che dovremmo preoccuparci. Certo, la frase “la Ferragni è una sorta di divinità contemporanea” del direttore degli Uffizi fa sghignazzare, possiamo spanciarci per l’accostamento con la Venere del Botticelli, chiederci se la Ferragni sappia qualcosa degli affreschi del duomo della sua Cremona, intanto, o se conosca solo quelli dipinti sui bicipiti di suo marito, ma davvero, siamo fuori strada.
Chiara Ferragni ha ricevuto un invito per un tour notturno (era già lì per uno shooting), ha accettato, ha pensato di fare la sua parte, in un momento difficile per il turismo. E le va detto grazie, senza isterie collettive che per giunta provengono da chi probabilmente fino a ieri pensava che Botticelli fosse un vino bio.
Se ami l’arte e la conosci, non è la contaminazione col pop e il contemporaneo, in tutte le sue forme, a spaventarti. Se ami l’arte o sei uno che viaggia e vede chi viaggia, o magari le due cose insieme, è l’idea che sta dietro alla banale promozione social del museo con Chiara Ferragni agli Uffizi che intristisce (che poi è quella identica che fu fatta per la loro visita alla Cappella Sistina).
Che detta in maniera semplice è il vecchio adagio: purché se ne parli. Sbagliato. Non va più così da tempo e non va così sui social. I like non portano necessariamente voti, ascolti tv, visite in un museo e neppure reale capacità di influenzare, muovere, spostare. Bisogna sapere a chi ti rivolgi e come gli devi parlare.
Se pensi che portare Chiara Ferragni agli Uffizi, farle la fotina da turista giapponese davanti alla torre di Pisa e avere la pessima idea di azzardare un’acrobatica analogia tra lei e la Venere pensando che quello possa essere il grande collante e il grande alibi per spiegare la sua “chiamata” sia una buona idea, beh, questo è un suicidio d’artista. Perché scatenerà una gigantesca montagna di fuffa polemica – quello sì – che si tradurrà in una sola cosa: in una gigantesca montagna di fuffa polemica.
Domani non ci saranno file agli Uffizi, il pubblico medio di Chiara Ferragni a cui non fregava nulla degli Uffizi non si interesserà degli Uffizi e continuerà ad aspettare che tagghi la marca del suo gloss. Attenzione, non sto dicendo che il target della Ferragni sia solo questo, sto dicendo che quello più alto, magari agli Uffizi c’è già stato e non aspettava certo che glielo suggerisse lei. E non sto dicendo neppure che fosse sbagliata a priori l’idea di invitarla. Dico che bisognava trovare una chiave perché la sua visita non fosse una foto scema e un hashtag che oggi è trendtopic e domani è niente.
E quindi allargo la questione a quella che è la promozione del turismo in questo paese e dico che da tempo ne sono una spettatrice mestissima: spot osceni in tv finanziati da regioni che buttano soldi nel cesso, campagne stampa con font del paleozoico e immagini banali, testimonial scelti a caso o attraverso considerazioni simili a quella Uffizi/Ferragni, errori grossolani nelle didascalie (l’ultimo notato pochi giorni fa e non citato per pietà nei confronti del settore turismo), assenza totale non solo di narrazioni efficaci ma anche di conoscenza reale dello stesso territorio che si promuove e di quello che può offrire di diverso rispetto a quello che è già altrove. Di quello che è ignoto ai più, anche.
A cosa serve alla Santelli buttare milioni di euro per uno spot di Muccino con Bova? È il metodo-Uffizi: ci metto due famosi a promuoverla, verranno tutti in Calabria. Che è un ragionamento da televendita anni ’90. Vecchio, polveroso, fallimentare. Prendi un cazzo di drone da 200 euro da Trony piuttosto, vai tu col telecomando e filma i km di costa deserti in piena estate, dove chi non ha voglia di calca, chi odia l’odore della peperonata a pranzo che arriva dall’ombrellone del vicino, chi ha paura di ammalarsi toccando la sdraio del vicino, magari potrebbe decidere di farsi un giro, a Ferragosto.
Cerca i punti di forza, la bellezza che non si conosce, raccontala. Oggi c’è Instragram che – lo dico da osservatrice di questo segmento specifico – ha trasformato in METE affollate luoghi che non lo erano. Grazie a una foto che gira da un paio d’anni che manco il miglior selfie della Ferragni, Marzamemi, un bellissimo borgo marinaro siciliano, per poco non è diventato più famoso di Palermo. La Cappadocia, anche troppo spremuta dagli influencer del globo, oggi ha un target che prima non aveva. Le mongolfiere come a Bagan hanno fatto la loro parte fondamentale. (trova qualcosa di analogo per aggiungere poesia a una valle un paesaggio, a una città, a un borgo).
Ogni regione dovrebbe chiedersi le seguenti cose: cosa c’è qui che non c’è altrove, cosa non conoscono fuori di qui di questa regione, come raccontare in modo intelligente quello che si conosce già, come portare qui chi qui non ci verrebbe mai. Un museo, dovrebbe porsi per prima quest’ultima questione. E se l’unica riposta che ti sai dare è “portandoci la Ferragni”, sei fuori strada. Questo paese bellissimo è accomodato su una narrazione vecchia e un’idea vetusta del turismo. Siamo così belli, che non dobbiamo meritarci nulla. Siamo l’amica figa che non si trucca, che tanto è già figa così.
L’Italia non è neanche tra i 10 paesi più visitati del mondo. Ci battono la Francia, la Spagna, il Regno Unito e perfino la Germania. La Germania, che con rispetto parlando, non ha un millesimo di quello che ha questo paese a livello di storia, mare, natura, cibo e nella lista metteteci quello che volete voi. Dobbiamo tornare a essere competitivi, specie sul turismo interno e in questo la pandemia potrebbe essere un’opportunità che dobbiamo cogliere.
E non attraverso Raoul Bova. Dobbiamo chiederci perché viaggiare all’estero ad agosto, costi mediamente molto meno che viaggiare in Italia. Dobbiamo imparare ancora tanto a livello di accoglienza e turismo, specie le regioni “giovani”. E’ il primo anno, dopo tanti, che ho prenotato una vacanza in Italia: non dirò chi e dove, per ora, ma in un luogo bellissimo, che costa una fortuna, mi hanno chiesto oltre alla fortuna che avrei già avrei speso (in un luogo davvero fuori mano, poco conosciuto) 15 euro al giorno per il cane, 4 euro per il lettino in piscina, 2 per il telo, sovrapprezzo per la colazione salata. Ho detto no grazie, e non per quei 30 euro al giorno in più. Ho detto no perché quella non è accoglienza. Non è competitività. E non te li meriti, i miei soldi.
Il tempo dei turisti cinesi da raggirare con conti stellari e perculate arroganti è finito da un po’. Tanto più che i cinesi siamo noi, ora. Dobbiamo imparare a raccontare questo paese magnifico, e non è la Ferragni che ci salverà. Anche, forse, se usata bene, ma bisogna smettere di sbadigliare.
Siamo il Colosseo, ma lo sanno già tutti. Dobbiamo iniziare ad essere anche la costa dei trabocchi in Abruzzo, le gole dell’Alcantara in Sicilia, l’anfiteatro di Larino in Molise (o quello spettacolare di Santa Maria Capua Vetere in Campania), le miniere del Sulcis in Sardegna, la fortezza di Lucera in Puglia, Craco il paese fantasma in Basilicata, le acque cristalline del Trebbia nel piacentino (Brugnello chi lo conosce?), il giardino di Ninfa nel Lazio e la lista potete finire di compilarla voi. È infinita e aspetta solo che qualcuno di svegli. Possibilmente non cercando la soluzione in un hashtag, ma avendo bene in mente una meta. Che poi credetemi, puntare una meta è saper viaggiare. Nel web e in giro per l’Italia, non è vero che improvvisare è meglio.