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Un anno senza sequestri

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Gli attacchi dei pirati nell'Oceano Indiano hanno registrato una drastica riduzione. Ecco il perchè

“we are on board your ship, come out, come out!”

E’ il quindici dicembre e sulle frequenze radio viene intercettata questa comunicazione. Sono pirati, che dopo aver attaccato la nave cisterna Kristina, nei pressi di Muscat, chiedono ai ventiquattro membri dell’equipaggio di uscire dalla “cittadella” in cui si sono rifugiati e arrendersi. Tre ore dopo, l’intervento della nave della marina militare danese Iver Huitfeldt li metterà in fuga, riuscendo così a sventare l’attacco.

Operazioni di questo tipo sono sempre meno frequenti nell’Oceano Indiano. L’impegno della comunità internazionale nel contrasto alla pirateria marittima sta dando i suoi frutti. Una quarantina di Stati sono coinvolti a vario titolo, tra coalizioni e interventi autonomi.

“L’ultimo sequestro risale al dieci maggio del duemiladodici, più di un anno fa”, ci ha detto l’Ammiraglio Antonio Natale, al comando della missione Ocean Shield della Nato. “Si sono verificati degli attacchi che non hanno avuto esito e abbiamo preso in custodia dei pirati che aspettano di essere processati”.

Nel duemilatredici la Nato ha registrato ad oggi, nelle acque di competenza, zero attacchi e nessun sequestro. Solo un paio di tentativi sventati. Due anni fa gli assalti furono centoventinove e i sequestri ben ventiquattro.

Un risultato dovuto al pattugliamento delle acque al largo delle coste somale, all’utilizzo di guardie private e militari a bordo delle navi mercantili (l’Italia usa i “nuclei militari di protezione”, di cui facevano parte anche La Torre e Girone, i due marò sotto processo in India) e all’intervento della missione Amisom in Somalia.

Il novanta per cento del commercio internazionale si svolge via mare e un container su due transita nell’Oceano Indiano. Circa ventiduemila navi ogni anno attraversano il golfo di Aden. Bab el Mandeb, tra lo Yemen e Djibouti, è uno dei nove principali “chokepoints”, i punti di passaggio più trafficati delle rotte navali.

Il volume di affari derivanti dal sequestro di mercantili è notevole. Nel biennio 2009/2010, durante il quale si è registrato il picco delle attività di pirateria, nella sola Somalia sono stati pagati riscatti per un totale di circa trecentocinquantacinque milioni di dollari.

Il prezzo medio di un riscatto è salito dai seicentomila dollari del duemilasette agli attuali cinque milioni e mezzo di dollari. Nel 2011, per il rilascio della nave Irene, fu pagata la cifra record di tredici milioni e mezzo di dollari.

Un rapporto della Banca Mondiale ha stimato in dodici miliardi di dollari il costo della pirateria per l’economia globale nel duemilaundici. “Lo scorso anno questa cifra è stata ridotta a sette miliardi di dollari” ci ha riferito l’Ammiraglio Natale.

Le operazioni della Nato sono attualmente sotto il comando italiano. Quattro navi: la statunitense USS Nicholas, la turca Gokova, la danese Huitfeldt e l’italiana San Marco, con a bordo i nostri marò. Una missione nata nell’agosto del duemilanove per scortare le navi con gli aiuti umanitari del World Food Programme e che oggi svolge una più ampia azione di contrasto alla pirateria. E di “capacity building” a sostegno dei Paesi rivieraschi, affinchè questi possano, in futuro, autonomamente gestire e controllare la rispettive aree di responsabilità. La collaborazione della Marina Militare Italiana con la Tanzanian People Defense Forces Navy ne è un esempio.

La missione Nato opera nell’area occidentale dell’Oceano Indiano: da Bab el Mandeb, nel golfo di Aden e lungo il Corno d’Africa fino al Mozambico e a est fino alle coste pakistane e allo stretto di Hormutz. Le navi possono giuridicamente operare anche nelle acque territoriali somale.

Nell’area opera anche l’Unione Europea, con la missione Atalanta. E la Combined Maritime Forces. Ventisette nazioni sotto la guida statunitense. E poi gli Stati che si muovono in maniera indipendente, come Cina, Russia e Giappone. Dal dispiegamento di forze descritto, l’Oceano Indiano potrebbe sembrare come un mare “pieno di navi da guerra” e pertanto un’area facilmente controllabile. In realtà è come se due pattuglie della polizia controllassero un’area corrispondente all’intera Europa Occidentale.

Un altro fattore che ha contribuito alla riduzione del fenomeno è l’utilizzo di procedure e regole comuni a bordo delle navi private, le cosiddette “best management practices”. Ovvero l’uso di deterrenti, come l’utilizzo di idranti per respingere gli assalti e di recinzioni di filo spinato ai bordi delle navi. E la “cittadella”, una camera blindata in cui i marinai possono rifugiarsi in attesa dei soccorsi.

I pirati, nel corso degli ultimi anni, hanno raggiunto un livello notevole di preparazione tecnica e militare, migliorando le tecniche di assalto e arrivando ad attaccare a centinaia di miglia dalla costa. Favoriti dall’assenza di un contesto legislativo efficace, e attratti da facili guadagni. Che i somali, ad esempio, fossero degli ottimi combattenti, già si sapeva. “Hanno anche dimostrato di essere degli straordinari uomini di mare” ha confermato il comandante danese Kristian Haumann.

Inoltre, la cooperazione internazionale in mare aperto ha registrato eventi e attività senza precedenti. Il quattordici aprile per la seconda volta Nato e Cina hanno svolto un’esercitazione congiunta in mare. E per la prima volta nella storia un elicottero della Nato è atterrato su una nave cinese, la Harbin. Una pietra miliare nella storia delle relazioni internazionali.

Altre attività sono state poste in essere con la Russia Federation Pacific Fleet Task Group. La missione Nato si contraddistingue anche per le attività di assistenza medica e umanitaria a favore delle popolazioni dei Paesi rivieraschi.

La chiave per eradicare definitivamente il fenomeno della pirateria nell’Oceano Indiano resta la stabilizzazione della Somalia. Le missioni in mare conservano un puro carattere di deterrenza e contenimento. L’ultima conferenza di Londra, tuttavia, non sembra aver dato risposte concrete in tal senso.

Intanto, le missioni internazionali proseguono, e gli uomini della Marina Militare Italiana continuano il loro lavoro. Un lavoro fatto in silenzio e spesso lontano dagli occhi del mondo”, come ci ricorda il Comandante di nave San Marco, il Capitano di Vascello Massimo Esposito.

 

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