Se il finale perfetto di Game of Thrones fosse l’uragano Harvey
Le conseguenze del cambiamento climatico sono reali e devastanti: ce lo ricordano le inondazioni distruttive in Texas, in Africa e in Asia. E l'ultima stagione della serie tv più vista di sempre
Oltre 56 milioni di milioni di litri d’acqua sono caduti sul Texas negli ultimi giorni, causando almeno 20 morti, centinaia di migliaia di sfollati e danni per decine di miliardi di dollari. Harvey è la tempesta tropicale più potente nella storia degli Stati Uniti, superiore anche all’uragano Katrina del 2005, quando morirono oltre 1.800 persone, a causa anche del crollo di alcune dighe.
Nelle ultime settimane, le piogge torrenziali hanno fatto più di duemila morti tra l’Africa e il sud dell’Asia. In Sierra Leone, una frana ha spazzato via interi quartieri della capitale Freetown, mentre in India, Bangladesh e Nepal i morti per le alluvioni sono più di 1.200.
Nel frattempo, domenica sera è andata in onda l’ultima puntata della settima stagione di Game of Thrones, la serie tv di HBO che ha battuto ogni record di spettatori.
Esiste un collegamento tra un programma televisivo seguito da milioni di persone, e fatti accaduti a migliaia di chilometri di distanza tra loro, su piani di realtà completamente diversi? Sì, c’entra il cambiamento climatico, e più precisamente il riscaldamento globale del pianeta causato dagli esseri umani.
Attenzione: da qui in poi ci sono alcuni spoiler sul finale della settima stagione di Game of Thrones (e su come funziona il cambiamento climatico).
Cosa c’entra il cambiamento climatico con Harvey?
Il cambiamento climatico non causa gli uragani e le tempeste tropicali. Sono sempre esistite e sempre esisteranno, soprattutto in aree del pianeta come il Golfo del Messico e l’Asia meridionale. Chiedersi se l’aumento delle temperature “causi” fenomeni di questo tipo è una domanda mal posta. Non si tratta di un rapporto causa-effetto di tipo deterministico: se accade X, allora succede Y.
Quello su cui gli scienziati concordano, però, è che il cambiamento climatico ha sicuramente un ruolo nell’aumentare la probabilità che si verifichino eventi così distruttivi.
“Il cambiamento climatico significa che abbiamo fenomeni come Harvey, in cui la quantità di pioggia è più grande di quella che avremmo avuto se le temperature non fossero cambiate”, ha detto Clare Nullis, portavoce dell’Organizzazione metereologica mondiale, nel corso di un incontro delle Nazioni Unite a Ginevra.
E il perché di questo fatto è semplice, come spiegato dal giornalista Jonathan Watts sul Guardian. Mari più caldi evaporano più velocemente e correnti d’aria più calde raccolgono più vapore acqueo. Così se le temperature della Terra aumentano – come successo negli ultimi decenni per responsabilità degli esseri umani –, i cieli raccolgono più umidità, che viene riversata poi sotto forma di acqua in maniera più intensa.
È una legge fisica nota come equazione di Clausius-Clapeyron: a ogni d’aumento di temperatura di mezzo grado centigrado, corrisponde un 3 per cento in più di umidità contenuta nell’atmosfera. Sembra poco, ma rapportato su scale enormi e complesse come quelle della meteorologia, si intuisce subito quale impatto possa avere.
Il riscaldamento globale ha inoltre causato nell’ultimo secolo un aumento del livello dei mari, facilitando le inondazioni delle zone costiere.
“Il contributo dell’essere umano alla potenza distruttiva di Harvey è del 30 per cento”, ha detto a The Atlantic il climatologo Kevin Trenberth. “Sarebbe stato lo stesso una grande tempesta, avrebbe causato in ogni caso molti problemi, ma il cambiamento climatico causato da noi ha amplificato notevolmente i danni”.
In sostanza, l’aumento delle temperature è stato uno dei fattori – insieme per esempio allo sviluppo urbanistico di città come Houston – ad aver reso Harvey più potente e distruttivo.
Game of Thrones, ossia una metafora sull’ambiente
La settima stagione di Game of Thrones si è conclusa con il crollo della Barriera, e con l’ingresso degli Estranei e dei non-morti nelle terre del Nord. Un evento atteso dalla prima stagione, e con un significato fortemente simbolico.
Non è un segreto, infatti, che l’intera serie tv di HBO può essere vista come una metafora sul presente e futuro dell’ambiente sulla Terra.
Gli Estranei sono una minaccia per l’intera umanità, ma invece che unirsi e combattere insieme, le casate di Westeros spendono il loro tempo a farsi la guerra, perdendosi tra complotti, intrighi e lotte sanguinose per il potere. Per quasi sette stagioni, la minaccia esterna è stata ignorata, o meglio, negata: la sua esistenza non era considerata reale, un’invenzione.
Vi ricorda qualcosa? È il problema internazionale del cambiamento climatico. “L’inverno sta arrivando”, e con lui gli Estranei, che non sono altro che la rappresentazione dell’aumento delle temperature e degli scenari disastrosi annessi.
Paesi come Stati Uniti, Russia, Cina e Unione europea sono le casate che ambiscono al trono di spade, e si muovono su uno scenario geopolitico in cui davvero in pochi vogliono fare qualcosa per mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
È vero, a dicembre 2015 quasi 200 paesi erano per la prima volta concordi nel dire che fosse necessario fare qualcosa per ridurre le emissioni di anidride carbonica, sforzandosi di fermare l’aumento delle temperature entro un grado centigrado e mezzo. Il consenso sembrava globale, ma l’1 giugno 2017 il presidente statunitense Donald Trump ha mostrato al mondo le crepe dell’Accordo di Parigi, ritirando il suo paese – come una Cersei Lannister qualunque – dai patti siglati in precedenza da Barack Obama.
A questo, si aggiungono sia la gestione dell’emergenza in Texas da parte di Trump – che ha mostrato secondo David Graham di The Atlantic una scarsa empatia nei confronti delle vittime della tempesta – sia le note posizioni del presidente degli Stati Uniti sul cambiamento climatico, definito nel 2012 come una bufala inventata dai cinesi.
“Non si può più fare finta di niente”
La vita di ogni essere umano è influenzata dal clima del nostro pianeta. Gli effetti si vedono sull’agricoltura, l’economia, la cultura e l’organizzazione delle città. È il contesto su cui si inseriscono tutte le vicende geopolitiche più urgenti della nostra epoca, dalle migrazioni di milioni di persone in fuga dalla desertificazione ai conflitti per ottenere l’accesso a risorse naturali sempre più limitate.
Da anni, attivisti, organizzazioni, scienziati e cittadini combattono perché questo banale dato di fatto sia al centro delle agende politiche di tutti i paesi del mondo. Così come è un dato di fatto che Harvey sia stata la tempesta più intensa a colpire gli Stati Uniti nella loro storia.
“Non ci sono parole per descrivere cosa è successo negli ultimi giorni in Texas”, ha scritto lo scienziato Eric Holthaus su Politico. “Adattarsi a un futuro in cui inondazioni simili spazzeranno via città è più difficile che prevenire l’intensificazione di questi fenomeni. Il nostro mondo non è stato costruito tenendo conto del cambiamento climatico, ma non possiamo più fare finta di niente”.
Storie come quella di Harvey, della Sierra Leone, di India, Nepal e Bangladesh interessano prima di tutto la vita di milioni di persone che vivono in quei luoghi. Ma devono anche far parte di una narrazione più ampia, in grado di trasformare le immagini e le conseguenze di eventi così distruttivi in iniziative globali di contrasto al cambiamento climatico.
“Il processo di ricostruzione è un’opportunità per creare un nuovo percorso. La scelta non è tra sinistra e destra, tra chi crede o nega l’esistenza dei cambiamenti climatici. La scelta è tra il successo e il fallimento”, conclude il suo articolo Holthaus.
Tra video e foto di città sommerse dall’acqua, il crollo della Barriera e l’avanzata degli Estranei sono il ritratto di una minaccia reale, che non è più possibile negare. Così le parole di Jon Snow, pronunciate di fronte ai pretendenti al trono di spade, sembrano più reali che mai: “C’è solo una guerra che conta, la Grande guerra. Ed è qui”.