Quei reattori Made in Italy: il nostro Paese ha detto (due volte) No, ma resta all’avanguardia nel nucleare
Nonostante gli elettori in due occasioni si siano espressi contro l’energia nucleare, il nostro Paese è ancora all’avanguardia in questa tecnologia. Una settantina di aziende generano un fatturato da mezzo miliardo all’anno. Ma siamo forti anche nella ricerca
Mentre in tutta l’Unione europea imperversa il dibattito sull’utilizzo dell’energia nucleare, l’Italia – nonostante abbia rinunciato allo sviluppo di questa tecnologica dopo l’esito del referendum del 1987, decisione poi confermata in un altro quesito referendario risalente al 2011 – vanta ancora competenze all’avanguardia nel settore sia in termini di aziende che di ricerca.
Questo è assai sorprendente, se si pensa che lo sfruttamento dell’energia nucleare nel nostro Paese è cessato completamente nel 1990 con la chiusura delle ultime tre centrali ancora operative e funzionanti, decisa dopo il già citato risultato del referendum di tre anni prima, che vide l’80% degli aventi diritto schierarsi a favore dello stop all’energia nucleare.
Secondo uno studio realizzato sul settore, oggi sono 70 le aziende italiane specializzate nell’energia nucleare. Nel 2022, l’intero valore economico di queste aziende, che contano complessivamente 13.500 dipendenti, ammontava a 4,1 miliardi di euro, con 1,3 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto. Se si prende in esame solo il valore strettamente legato all’ambito nucleare generato dalle aziende di questa filiera, il fatturato generato nel 2022 ammonta a 457 milioni di euro, con circa 2.800 occupati.
Negli ultimi cinque anni la filiera italiana ha registrato una crescita del valore aggiunto del 29% a fronte di un aumento del fatturato del 18%.
Chi fa business
L’Italia si piazza addirittura al 15esimo posto a livello mondiale e al settimo tra gli Stati membri dell’Unione europea per export di reattori nucleari e componenti tra il 2018 e il 2022.
Il 75% delle esportazioni italiane è diretto verso altri Paesi dell’Ue, seguiti da Regno Unito (3,8%) e Turchia (3,3%). In particolare modo negli ultimi anni, il Regno Unito, la Bulgaria e il Belgio hanno trainato la crescita delle nostre vendite all’estero.
Secondo il Nuclear Trade Atlas, tra il 2018 e il 2022 l’Italia si è classificata 27esima per valore di export nel settore nucleare, con esportazioni totali di 140 milioni di euro, e 18esima escludendo il combustibile nucleare. E nel biennio 2021-2022, le esportazioni italiane sono più che raddoppiate rispetto al periodo 2018-2019 (+106%).
Quasi la metà dell’export (44,2%), come detto, riguarda componenti e strumentazione, con una particolare specializzazione nei componenti in tungsteno, che rappresentano il 37,5% del totale esportato (52,5 milioni di euro).
Chi studia
Ma non sono solo le aziende – il cui 60% è concentrato nel Nord-Ovest e in particolare modo tra Lombardia, Liguria e Piemonte – ad eccellere nel settore del nucleare. Come detto, infatti, anche in termini di ricerca il nostro Paese è all’avanguardia, disponendo di centri di eccellenza, tra cui l’Enea di Brasimone, sull’Appennino bolognese, e di numerose facoltà universitarie di ingegneria nucleare.
Questi elementi fanno sì che l’Italia sia oggi il quinto Paese al mondo per produzione scientifica sul nucleare (dopo Corea del Sud, Regno Unito, Francia e Germania) e il secondo per impatto delle pubblicazioni legate al nucleare, con una media delle citazioni per pubblicazione (5,7) seconda solo a quella del Regno Unito (7,6).
A dispetto dell’abbandono della produzione elettrica mediante reattori, inoltre, l’Italia è in grado di collaborare attivamente a molti progetti di ricerca internazionali sull’energia atomica. Basti pensare che la partecipazione ai progetti “Iter” e “Broader Approach” (entrambi incentrati sulla fusione nucleare) ha portato quasi 2 miliardi di euro di commesse alle aziende italiane coinvolte, rafforzando la leadership italiana nell’ambito della ricerca nucleare. Il dato è ancor più significativo se si considera che le commesse vengono assegnate attraverso gare d’appalto su base concorrenziale in cui viene selezionata l’offerta migliore secondo i criteri tecnico-economici, le regole e i principi della contrattazione unitaria.
L’Italia, insomma, vanta competenze lungo quasi tutta la filiera, eccetto ovviamente nei settori di arricchimento dell’uranio e fabbricazione del combustibile. Si tratta di un caso veramente unico a livello mondiale: un Paese che ha rinunciato a una tecnologia da oltre trent’anni ma che continua a investire e primeggiare in quel settore.
Ora che il nucleare è tornato centrale nel dibattito pubblico, alimentato anche e soprattutto dalla necessità di raggiungere obiettivi di decarbonizzazione nel minor tempo possibile, l’Italia potrebbe dunque ritrovarsi protagonista grazie a nuovi investimenti nel settore non necessariamente legati a un ritorno dell’energia nucleare nel nostro Paese.