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Home » Ambiente

Jeremy Rifkin a TPI: “L’uomo ha sfruttato il Pianeta Acqua come fosse sua proprietà, ora rischiamo l’estinzione”

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Jeremy Rifkin, 79 anni, economista e sociologo statunitense, presidente della Foundation on Economic Trends di Washington. È uno dei principali artefici dei piani economici dell’Unione europea e della Cina per la transizione a una Terza rivoluzione industriale che affronti il cambiamento climatico. Credit: AGF

“Nevicate eccezionali. Inondazioni. Siccità. Ondate di caldo record. All’origine di tutto c’è un malinteso: l’essere umano crede di vivere su un pianeta terrestre, ma il nostro è un pianeta acquatico. Abbiamo sfruttato la natura come fosse nostra proprietà. E ora l’idrosfera si ribella. Così andiamo incontro all’estinzione. Per salvarci serve un Blue Deal”

Nel presentare il tuo ultimo libro, “Pianeta Acqua” (Mondadori), l’imprenditore Richard Branson afferma che si tratta di una rivoluzione per il nostro rapporto con il pianeta.
«Più che con il pianeta, con l’idrosfera, la sfera più complessa e vitale che anima tutta la vita sulla Terra, e che sta cominciando a ribellarsi».

Perché solo l’idrosfera, e non anche l’atmosfera, la litosfera e la biosfera?
«Perché è l’idrosfera che subisce in modo più drammatico gli effetti del cambiamento climatico indotto dalle attività umane e che scatena le reazioni più catastrofiche: nevicate invernali eccezionali, inondazioni primaverili bibliche, devastanti siccità estive con ondate di caldo e incendi e mortali, uragani autunnali, scatenando il caos su ecosistemi, infrastrutture e società». 

In effetti è una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Basta vedere le inondazioni in Emilia-Romagna e nelle Marche proprio in questi giorni.
«Assolutamente! Ma dobbiamo capire che le inondazioni sono solo una delle facce della medaglia del cambiamento climatico, e sono la conseguenza atmosferica e meteorologica dell’eccesso di calore che provoca siccità e ondate di caldo senza precedenti in estate e non solo in estate. Bisogna capire che delle quattro “sfere” della Terra – litosfera, atmosfera, biosfera e idrosfera – è quest’ultima a reagire in modo più devastante al cambiamento climatico causato dai combustibili fossili, condizionando pesantemente le altre tre, specialmente la biosfera, e mettendo a rischio la sopravvivenza dell’essere umano e delle altre creature sul pianeta. È quindi l’idrosfera a suonare la campana a morto per la razza umana. Ma dobbiamo capire che è una situazione che abbiamo creato noi perché alla base di tutto c’è un grande malinteso». 

A quale malinteso ti riferisci?
«Abbiamo sfruttato le risorse del pianeta come se fossero proprietà da sfruttare e non preziosi beni comuni da tutelare perché abbiamo a lungo creduto (e ancora crediamo) di vivere su un pianeta terrestre quando in realtà viviamo su un pianeta acquatico. Ecco il grande malinteso. La litosfera è  presente su molti altri pianeti e così anche l’atmosfera, ma nel sistema solare l’acqua c’è solo sulla Terra. Ora l’idrosfera terrestre si sta quindi ribellando e ci sta portando verso un’estinzione di massa». 

Quindi tu suggerisci di difenderci dall’idrosfera impazzita.
«In realtà è lei, l’idrosfera che si sta difendendo da noi esseri umani responsabili del cambiamento climatico. L’idrosfera non ce l’ha con la razza umana e non è “malvagia”, ma sta solo adattandosi alla nuova normalità che noi abbiamo imposto bruciando combustibili fossili per secoli oramai… Immaginiamo l’incredibile arroganza di credere che la nostra specie possa sequestrare, privatizzare, mercificare e mantenere il dominio su tutte le acque del pianeta per i nostri esclusivi usi utilitaristici e affaristici. L’acqua non è una commodity e non può essere un business. Deve essere considerata un bene comune e la fonte di ogni forma di vita. E come tale deve essere preservata». 

In effetti, messa così, appare come una situazione insostenibile.
«Eppure è esattamente ciò che abbiamo deciso di fare seimila anni fa con la nascita delle civiltà idrauliche urbane in tutto il mondo. E ora ci ritroviamo intrappolati in un enorme colosso commerciale fatto di superdighe idroelettriche, laghi artificiali, bacini idrici e infrastrutture idriche onnipresenti che stanno crollando, colpite da un’idrosfera che reagisce ai cambiamenti climatici provocati dall’uomo». 

Questa analisi così catastrofica mette paura. Non c’è più speranza?
«Non ho detto questo. Possiamo ancora farcela, ma dobbiamo intervenire subito. Ci vuole un radicale cambiamento paradigmatico nei nostri rapporti con il pianeta acquatico che ci ospita. Dobbiamo ripensare, ripeto, le acque come una “fonte di vita” piuttosto che una “risorsa” e imparare ad adattarci all’idrosfera invece di adattare l’idrosfera a noi. Questo ci porta in un nuovo futuro in cui dovremo rivalutare ogni aspetto del nostro modo di vivere: come interagiamo con la natura, come governiamo la società, come concettualizziamo la vita economica, come educhiamo i nostri figli. In altre parole come realizzare l’interazione con un pianeta acquatico. La fase successiva dell’avventura umana sarà quella di “rinominare” il nostro pianeta natale Acqua e inaugurare una economia blu per accompagnare la Green Economy». 

Quindi, dopo la Green Economy, Jeremy Rifkin propone la Blue Economy?
«C’è bisogno di un vero e proprio Blue Deal, e non lo propongo solo io. In Europa negli ultimi mesi si è svolto un intenso dibattito che ha visto il presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo (l’austriaco Oliver Röpke, ndr) fare appello per un Blue Deal come prossimo stadio del Green Deal  dell’integrazione europea. E anche il G7 a guida italiana ha proposto la creazione di una Water Coalition che prenderà corpo entro la fine dell’anno». 

È un dibattito che riguarda solo l’Europa?
«Assolutamente no! L’agenda del Blue Deal sta emergendo anche in Cina e Corea come elemento centrale per ripensare la vita sul pianeta Acqua e anche in Nord America, Regno Unito e tante altre nazioni in tutto il mondo e emergerà  sempre di più nei prossimi mesi. Inoltre è incoraggiante constatare che il Comitato Economico e Sociale europeo, il Comitato delle Regioni, le industrie interessate, le associazioni di categoria, le comunità agricole, molti governi, il mondo accademico e la società civile si stanno tutti coalizzando attorno a un piano d’azione per affrontare i drammatici disastri causati da un’idrosfera in fase di reazione che sta uccidendo i nostri simili e mettendo in pericolo la nostra stessa specie su una scala senza precedenti nella storia». 

Tu parli dei governi, ma che mi dici di quello italiano?
«L’Italia, come leader del G7, ha abbracciato l’idea della Water Coalition che dovrebbe essere  definita in dettaglio nel prossimo vertice di fine anno. Inoltre, ormai è il mercato che dimostra che le politiche di transizione ecologica sono convenienti anche sul piano economico e non solo su quello ecologico, come emerge dalle analisi di tanti organismi di ricerca prestigiosi fra i quali il Lazard Institute di Londra. Se questo governo vuole un’economia competitiva, deve andare in questa direzione e sottrarsi alle sirene incantatrici delle grandi lobby fossili (in gran parte straniere) per fare gli interessi delle piccole e medie imprese locali (in gran parte italiane) e dare un senso allo slogan “Italians first”». 

Puoi spiegare meglio l’idea del Blue Deal?
«L’idea del Blue Deal va di pari passo con l’attuale Green Deal e sarà il fulcro della nuova agenda ampliata dell’Unione europea. La strategia del Blue Deal si concentra su una serie di temi critici, tra cui la demolizione di superdighe e bacini artificiali obsoleti, la costruzione di nuove infrastrutture idriche resilienti, l’introduzione di onnipresenti reti idriche distribuite e microreti idriche, dispositivi portatili di desalinizzazione e sistemi di purificazione dell’acqua, calendari idrici e corridoi climatici sicuri che garantiscano il diritto dei fiumi a scorrere liberi. Bisogna implementare infrastrutture per l’idrogeno verde, gestire laghi, fiumi e corsi d’acqua come beni comuni condivisi, affrontare la terribile minaccia dell’esaurimento delle falde acquifere. Rinforzare il nesso acqua-energia-cibo, perseguendo un cambiamento paradigmaticilo nella scienza e nella tecnologia su un pianeta che – dobbiamo prenderne atto una volta per tutte – è un pianeta acquatico e non litosferico». 

Da dove si può cominciare a sviluppare il nuovo approccio alla gestione delle risorse naturali che tu proponi?
«Dalla  pedagogia, dai programmi di studio e di ricerca moltiplicando i progetti avanzati e gli incubatori a livello di scuola secondaria ma anche di università. Si tratta di un punto di svolta fondamentale nel modo in cui la famiglia umana si relaziona con l’acqua sul pianeta, che comporta un ripensamento nell’implementazione di politiche e pratiche future, ponendo la Blue Economy accanto alla Green Economy in cima all’agenda delle nazioni in tutto il mondo». 

In tutta l’intervista hai parlato sempre di «Pianeta Acqua», anziché di Terra. Stai proponendo il cambio di denominazione del nostro pianeta?
«Sì, ma solo come gesto simbolico iniziale verso una nuova narrazione e visione del mondo per ripensare la vita sul nostro pianeta, e realizzare un solido programma per ridefinire l’essenza stessa della nostra esistenza su un pianeta acquatico e non terrestre. E per preservare il futuro della nostra specie».

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