Il fisico Nicola Conenna a TPI: “La strategia del Governo Meloni sull’idrogeno arriva in ritardo ed è insufficiente”
Il Governo ha reso pubblica la sua “Strategia Nazionale Idrogeno” il 29 novembre scorso. Alla presentazione ha partecipato anche il prof. Nicola Conenna, fisico, presidente dell’Associazione Green Hydrogen Community, fondatore dell’Università dell’Idrogeno in Puglia, e autore del libro “Idrogeno, il nuovo oro”, che ha condiviso con TPI le sue riflessioni in merito al piano.
Prof. Conenna, nel suo libro “Idrogeno il nuovo oro”, Lei sosteneva che il Governo fosse in tremendo ritardo per la presentazione di una strategia nazionale per l’idrogeno. Altri tre anni sono passati e finalmente, l’esecutivo l’ha presentata. Cosa ne pensa?
«Innanzitutto bisogna considerare che l’Europa sull’idrogeno ha fissato obiettivi molto ambiziosi perché lo considera fondamentale per la transizione ecologica verso un’economia post carbon al 2050. Invece la strategia tardivamente proposta dal governo per l’idrogeno torna indietro perfino rispetto agli obiettivi assolutamente insufficienti proposti da Draghi. Eppure speravo che dopo le critiche ricevute al Pniec – Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (un documento strategico che definisce la politica energetica e climatica di un Paese a lungo termine, ndr) e soprattutto dopo aver fatto un confronto con altri principali Paesi europei come Germania, Francia e Spagna, che sono tutti più avanti di noi, ne avrebbe tratto le dovute conseguenze…».
E invece l’Italia non si è posta nemmeno il problema di non sfigurare davanti alla Commissione von der Leyen-bis e agli altri Paesi d’Europa…
«Germania, Francia e Spagna hanno obiettivi molto ambiziosi miranti a produrre l’idrogeno verde e a raggiungere l’indipendenza energetica. La Germania poi ha sempre seguito le indicazioni europee, anzi in un certo senso potremmo dire che le ha anche anticipate con le sue strategie nazionali sull’idrogeno fin dal 2006 con il programma “Now – Nationale Organisation für Wasserstoff”, che ha investito oltre 40 miliardi di euro in 20 anni sulle tecnologie dell’idrogeno».
Ecco, parliamo della Germania…
«La Germania paga lo scotto di un fardello di decarbonizzazione industriale derivante dal carbone, con troppe industrie succubi di scelte fossili nella loro storia industriale. La decarbonizzazione dell’industria pesante dovranno farla con l’idrogeno. Stesso problema coi trasporti. E avrà dunque bisogno di tanto idrogeno verde perché deve decarbonizzare la sua industria pesante che è la più grande d’Europa e sicuramente sarà costretta a comprare idrogeno verde dagli spagnoli e anche dal Nordafrica. Proprio per questo non si capisce perché noi italiani non possiamo fare come la Spagna, che ha irradiazione solare e ventosità simili alle nostre».
Veniamo all’Italia allora…
«Il Governo Italiano parla di “idrogeno verde” (poco e male per la verità), ma anche di “idrogeno blu”, prodotto dai fossili e attualmente utilizzato non a fini energetici ma nel campo della chimica per la produzione di ammoniaca e simili. Inoltre lo “idrogeno blu” produce anidride carbonica e così siamo punto a capo, perché per catturare l’anidride carbonica viene proposto di ricorrere alla Cattura e Stoccaggio del Carbonio (Ccs)».
Può spiegarci meglio la questione CCS?
«La CCS è innanzitutto estremamente rischiosa e poi anche incredibilmente costosa. Comporta l’immissione dell’anidride carbonica nei pozzi di gas esauriti nel Nord Adriatico. Ammesso che si riesca a farlo, se la CO2 fuoriuscisse – cosa per niente impossibile visto il rischio sismico – potrebbero crearsi delle situazioni che sarebbero letali per gli abitanti di città come Ravenna, Ferrara, Forlì, Rimini, la stessa Venezia… In più, sempre ammesso che si riuscisse a farlo, costerebbe una fortuna. Stiamo parlando di almeno cento euro a tonnellata. Quando capiremo finalmente che il Governo deve finanziare l’idrogeno verde e non dare i soldi ai monopoli fossili per la cattura e lo stoccaggio della CO2?».
E sul piano della formazione, informazione, consultazione e partecipazione attiva della cittadinanza, il piano nazionale per l’idrogeno cosa ci dice?
«É previsto un processo di consultazione al quale naturalmente parteciperò portando il punto di vista della Transizione Energetica di Jeremy Rifkin che sottoscrivo pienamente. Sto già preparando il nostro contributo come Università dell’Idrogeno riprendendo i concetti principali di una proposta di legge di iniziativa popolare che lanciammo nel 2018, senza riuscire a portarla a buon fine perché la raccolta firme si rivelò estremamente complicata. Ma nel frattempo le regole sono cambiate e oggi la legge permette di raccogliere le firme anche in forma digitale. Contiamo perciò di presentare le nostre proposte in modo diplomatico e propositivo, e non antagonistico. Ma vorremmo anche ricordare che bisogna tenere presenti gli interessi delle piccole e medie imprese e non solo quelli dei grandi gruppi petroliferi come l’Eni. Una politica seria non si fa dettare l’agenda da un’azienda, anche se è una S.p.a. quotata in Borsa controllata dal ministero del Tesoro, ma tiene presenti anche le istanze delle sue Pmi e di giovani come quelli di Ultima Generazione, che scendono in piazza da anni contro il cambiamento climatico».