La verità è che i sovranisti temono tremendamente Greta Thunberg
La giustizia climatica può diventare una nuova pagina della storia, una prospettiva che potrebbe mettere la parola fine a chi in questi anni ha messo radici in vecchi paradigmi
Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito. Nonostante le evidenze scientifiche non lascino spazio a dubbi l’argomento centrale sul tema ambientale in questi giorni sembra essere diventato uno solo: la sedicenne Greta Thunberg. Poco importano i milioni di cittadini scesi in piazza in tutto il mondo, poco importa la catastrofe climatica annunciata dagli esperti dell’Ipcc, poco importa che l’unico momento per affrontare l’argomento seriamente sia proprio questo: ciò che importa è esprimere la propria opinione su un’adolescente e per non parlare di ciò che rappresenta. Perdendo oltretutto l’ennesima buona occasione per starsene zitti.
Ditini puntati e sopracciglia alzate se ne sono visti nella sinistra delle opinioni paternalistiche, per fortuna corrente ancora minoritaria, e soprattutto a destra, là dove per destra si intende il nuovo fronte sovranista che in Italia trova la sua rappresentazione politica nella Lega di Matteo Salvini. Ed è proprio dal ministro dell’Interno che già sabato sono arrivate le prime (pessime) battute e i tentativi di delegittimare la battaglia di giovani e meno giovani che nel Paese hanno manifestato per l’ambiente. Una campagna di screditamento che non ha risparmiato colpi bassi nemmeno per ciò che concerne l’aspetto della celebre attivista e che mette in luce un dato politico incontrovertibile: i sovranisti temono tremendamente Greta Thunberg.
Hanno il terrore del suo messaggio innanzitutto perché parlare di ambiente vuol dire affrontare le sfide di oggi con una visione solida del domani. La retorica sovranista sin dalle origini si è infatti appoggiata al mito di una moderna Restaurazione: dalla promessa del ritorno di centralità del Regno Unito con l’improbabile escamotage della Brexit fino al Make America Great Again di Trump, passando nel nostro Pese per le citazioni fasciste e il “rivoglio l’Italia dei miei nonni” di Matteo Salvini. Il messaggio sovranista è infatti sempre sostenuto dalla stessa spina dorsale retorica: “Ieri si stava meglio che oggi, bisogna tornare allo sfarzo antico”.
Greta Thunberg e i milioni di manifestanti in tutto il mondo dall’altra parte ci hanno ricordato che ciò che abbiamo fatto fino ad oggi ha dei limiti, che la sfida per un nuovo mondo è possibile e che le vecchie risposte ai problemi nuovi non possono che risultare profondamente inadeguate. La giustizia climatica può diventare una nuova pagina della storia, una prospettiva che potrebbe mettere la parola fine a chi in questi anni ha messo radici in vecchi paradigmi.
Ciò che terrorizza ulteriormente è il carattere internazionale di questo nuovo movimento ambientalista; il filo rosso che unisce sovranismo mondiale, le cui uniche basi sono nell’“ognuno pensa per sé”, semplicemente non ha alcuna possibilità di salvare il pianeta Terra. Nonostante il gossip circa le abitudini e l’età di Greta Thunberg, le richieste di Fridays For Future si articolano in due colonne portanti: una rigida osservanza delle linee guida dell’Ipcc, l’organismo più autorevole in materia di cambiamenti climatici, e il rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima. Condizione necessaria per raggiungere questi obiettivi è inevitabilmente una cooperazione fra Stati in cui le aggregazioni (Unione europea in primis) potrebbero diventare protagoniste virtuose ed efficaci. Il modello individualista sostenuto dal fronte sovranista messo di fronte alle richieste degli attivisti e degli scienziati apparirebbe, ancora una volta, inefficace.
Cio che i sovranisti definiscono “male”, la solidarietà fra Stati, potrebbe trasformarsi nell’unica speranza per il futuro della specie umana. Non è poco e i sovranisti lo temono più di ogni altra cosa.
C’è un terzo aspetto, più sottile, che terrorizza gli avversari di Greta Thunberg e di Fridays For Future: per salvare il pianeta è necessario mettersi in discussione. La banalità, tipica posizione di chi si ferma alla prima impressione, deve essere superata da una nuova forma di razionalità capace di ripensare il futuro in maniera complessa. Parlare di ambiente significa fermarsi, rallentare, prestare attenzione. Il modello politico sovranista ha un enorme potenziale là dove può fare leva sugli istinti più immediati, quali paura e brutalità, ma risulta inefficace se posto in un campo di gioco diverso dal proprio. Parlare di ambiente vuol dire ribaltare le priorità, abbassare la difesa, essere obbligati a superare la naturale diffidenza nei confronti del prossimo. Parlare di ambiente oggi vuol dire disegnare con chiarezza un modello per il domani.
La storia insegna come ogni forma reazionaria sia destinata a perire se posta di fronte ad un paradigma che ne renda la visione inadeguata. Quando la Reazione si accorge di perdere terreno lo fa sempre mostrando le unghie e i denti, e lo fa con estrema ferocia e cinismo.
Quel di cui non sempre ci si accorge è che quando questo accade chi si comporta come un lupo il più delle volte prova la paura dell’agnello. E di lupi, dopo sabato 15 marzo, se ne son sentiti ululare parecchi.