Stressati dal clima: così l’eco-ansia assale sempre più giovani
Panico, apprensione cronica e paura del futuro. L’angoscia climatica minaccia la salute dei giovani ed è figlia tanto del riscaldamento globale quanto dell’inerzia dei governi nel combatterlo
«Sono seduta a tavola con la mia famiglia. La casa è avvolta dalle fiamme e i miei restano immobili. Io urlo che dovremmo fare qualcosa ma loro non agiscono, non vedono. E tutto va avanti come nulla fosse». Questo è l’incubo ricorrente di Carlotta, 32 anni, di Milano.
Mentre racconta il suo sogno, Carlotta scoppia a piangere. È un pianto misto a rabbia. E paura.
Carlotta soffre di eco-ansia (in inglese eco-anxiety), un disagio forse ancora poco noto ma sempre più diffuso che colpisce le persone sensibili alle tematiche ambientali. Ansia cronicizzata, costante paura del futuro, malessere, stress, fino ai più gravi casi di attacchi di panico. Sono queste le diverse forme in cui si può manifestare l’ansia climatica.
«Ho scoperto di soffrire di eco-ansia tre anni fa, quando sono entrata a far parte del gruppo di attivisti XR (Extinction rebellion) dove ho trovato altre persone che come me provano questa angoscia legata all’emergenza del clima. Sentivo continuamente dentro di me un senso di irrequietezza mista ad apatia e senso di impotenza», racconta ancora Carlotta. Un malessere talmente forte che, in alcuni momenti, dice: «Non riesco a fare niente. Non riesco a lavorare. La magnitudine del problema ambientale è tale che non so da dove cominciare. Mi sento schiacciata». Confessa che sta persino pensando di lasciare il lavoro per occuparsi esclusivamente di attivismo ambientale. «Mi sembra di perdere tempo quando sono al lavoro e non mi occupo di emergenza climatica», racconta.
Il crollo del ghiacciaio della Marmolada, la siccità dei fiumi italiani, il caldo estremo, gli incendi sono solo alcuni degli eventi traumatici che stanno uccidendo non soltanto il nostro Pianeta, ma anche la nostra salute mentale. Diversi studi hanno infatti rilevato significativi livelli di disagio psicologico associato al cambiamento climatico, esacerbato dall’incapacità dei governi di agire rapidamente contro il global warming.
Il 79,9 per cento degli italiani ha paura del cambiamento climatico, in particolare dell’aumento di 1,5 gradi della temperatura della Terra. Lo dicono i dati dell’Osservatorio sulla sostenibilità realizzato dal Censis in collaborazione con Assogestioni. Ma a livello globale le ricerche stimano che siano le ragazze e i ragazzi nati dalla fine degli anni ‘90 i soggetti più esposti all’angoscia climatica.
Il più grande sondaggio mai condotto sull’ansia climatica nei giovani, “The Lancet. Planetary Health” rivela che tre quarti degli intervistati tra 10mila giovani di età compresa tra 16 e 25 anni provenienti da dieci diversi Paesi considerano il futuro “spaventoso”. La metà di loro si dichiara triste, ansioso, arrabbiato, persino colpevole della crisi climatica.
Martina Comparelli, classe 1993, attivista di Fridays For Future, racconta a TPI una delle ultime crisi di eco-ansia che ha vissuto: «Sabato scorso sono stata a un evento in cui si parlava, tra le altre cose, di ingiustizia climatica. Nel percorso che mi riportava verso casa ero a pezzi. Mi sono chiusa nel buio della mia stanza per calmarmi. Mi veniva da piangere».
«Sento una responsabilità che sfocia nel senso di colpa. E allo stesso tempo provo una forte impotenza perché mi sembra sempre di non riuscire a sensibilizzare abbastanza i miei concittadini. Quando vedo che le persone a me più vicine, come la mia famiglia, non capiscono la gravità dell’emergenza climatica mi chiedo se quello che sto facendo sia davvero utile», ci confessa Comparelli, attivista ambientale di primo piano, che durante lo Youth4Climate di Milano dello scorso settembre ha incontrato il presidente del Consiglio Mario Draghi insieme a Greta Thunberg e Vanessa Nakate.
Attivista di Fridays For Future è anche Anna Postorino, 24 anni, di Gorizia. Anche lei decide di raccontarci il suo rapporto con l’eco-ansia. «Gran parte della mia giornata la trascorro a lavorare per Fridays for Future e sono bombardata in continuazione da notizie sul clima. Quando poi smetto di lavorare e mi metto a scorrere i post su Instagram o mi dedico alla lettura di un giornale e mi imbatto di nuovo in un articolo in cui si parla per esempio di siccità mi pervade una sensazione di ansia». Anna ha capito subito che si trattava di ansia climatica: «Studio psichiatria all’università e ho intuito da sola che potesse esserci un’ansia collegata a eventi ambientali catastrofici o comunque alla situazione che stiamo vivendo».
Angelo, 26 anni, giovane ingegnere di Milano e attivista come Carlotta del movimento di Extinction Rebellion racconta invece che ha iniziato a provare l’eco-ansia una volta finito il liceo. È successo quando «mi sono interessato di più al mondo e a seguire le notizie, e quelle più paurose erano le rare notizie sul clima e l’ambiente, che ho poi approfondito da solo per capirne di più». Secondo Angelo, «se non attueremo un cambiamento profondo e radicale sulla nostra società, sarà la fine di tutto. L’estate era quel periodo dell’anno sinonimo di spensieratezza, adesso mi induce solo terrore perché ci offre un campione concreto di quello che tra poco sarà la normalità», spiega l’attivista.
Definita dall’American Psychological Association (Apa) come una «paura cronica del disastro ambientale», l’eco-ansia non è stata ancora inserita nel Diagnostic & Statistical Manual of Mental Disorders (Dsm-5), il manuale di riferimento i per disturbi mentali. Ma c’è chi ne ha fatto materia di approfondito studio, come lo psichiatra e psicoterapeuta cognitivo comportamentale Matteo Innocenti che ha fondato l’Associazione Italiana Ansia da Cambiamento Climatico (Aiacc) e ha scritto il libro “Ecoansia. I cambiamenti climatici tra attivismo e paura” (Erickson, 2022).
«L’eco-ansia non è ancora nella scala dei disturbi psichici, ma sono sempre di più i pazienti che ne soffrono», ci spiega Innocenti, che ha validato in italiano la scala di valutazione dei livelli di eco-ansia (Climate change anxiety scale) e quella sulla preoccupazione da cambiamento climatico (Climate change worry scale). «I cambiamenti climatici stanno stravolgendo la natura e ciò che ci circonda. Ma ci stanno anche riavvicinando all’ambiente. E dato che questo ambiente si sta deteriorando diventa fonte di preoccupazione. E ciò che ci viene in risposta da questo ambiente, è un sentimento di ansia. L’eco-ansia è legata alla sensazione che le basi ecologiche della nostra esistenza stiano venendo meno», continua l’esperto.
Soffre di eco-ansia chi comprende il cambiamento climatico. «Questa emozione sta esplodendo perché gli effetti del cambiamento climatico si stanno rendendo sempre più visibili», dice l’ecoterapista. «In genere i soggetti più vulnerabili all’ansia climatica sono quelli che più si interessano ai cambiamenti climatici. Dagli attivisti, agli studiosi passando per gli scienziati. Ma anche giovani con un livello socio-culturale elevato perché hanno maggiore fruibilità delle emozioni e riescono a leggerle meglio».
Sono persone che solitamente sono preoccupate per l’ambiente. Persone che si informano, studiano e che si sono rese conto del cambiamento climatico in atto. «Hanno assunto la consapevolezza che ha generato in loro l’emozione di eco-ansia», conferma il medico.
C’è chi si sente in colpa quando mangia carne o quando utilizza l’automobile per spostarsi. Chi si sente stressato e preoccupato nel leggere articoli di giornale o post social che parlano di emergenza climatica. E anche chi, pur desiderandolo tantissimo, mette in discussione l’idea di mettere al mondo figli per paura di consegnare loro un mondo che non sarà più lo stesso. «Dare alla luce un bambino in questa situazione climatica è una paura data dal futuro che si prospetta incerto e minaccioso. Pensare di dare alla luce un figlio che vivrà una situazione forse ben peggiore rispetto a quella che viviamo oggi spaventa e crea anche sofferenza perché si tratta di un istinto evolutivo», spiega il dottor Innocenti.
Alessandro Berti, anche lui attivista del movimento ambientalista Extinction Rebellion, che nel momento in cui scriviamo è impegnato in uno sciopero della fame a sostegno dell’organizzazione di una Assemblea dei Cittadini sul clima, approfondisce con noi, tra le altre cose, anche questo tema. «Al momento un figlio non lo farei. Sento troppo la responsabilità di mettere al mondo una persona che poi dovrà vivere, anzi sopravvivere, in un mondo del genere. In questo momento non me la sento. È troppo grossa la responsabilità. Non biasimo le persone che hanno deciso di averne, ma per la situazione globale di oggi lo ritengo un atto di irresponsabilità», dice Berti. Parlando della sua esperienza con l’eco-ansia, invece, Berti ci racconta di un episodio in cui ha provato un forte senso di disagio proprio di fronte a una bambina. «Stavo andando a prendere la verdura al km zero del mio comune in provincia di Verona quando ho incontrato una mia amica con sua figlia di soli due anni. C’era questa bambina che mi guardava e mi sorrideva. E io dentro di me ho pensato “Lei ride ma non sa che il prossimo futuro, cioè il suo futuro, è molto preoccupante”. Mi sono trovato a disagio davanti a una bambina piccola. Mi sentivo in colpa per lei. E ogni tanto questa cosa mi ritorna. Quando vedo bambini che giocano, li guardo e penso che loro questa emergenza climatica la prenderanno proprio in faccia», riflette l’attivista.
L’eco-ansia, però, non è soltanto la conseguenza sulla nostra psiche del collasso climatico in corso, ma è legata anche al fatto che non venga fatto molto per risolverla. L’incapacità da parte dei governi di rispondere alla crisi climatica è associata infatti a un aumento dell’ansia climatica. Sempre secondo i ricercatori dell’indagine pubblicata da “The Lancet. Planetary Health”, l’eco-ansia e l’insoddisfazione per le risposte del governo sono diffuse nei bambini e nei giovani nei Paesi di tutto il mondo e influiscono sulla loro pressione psicologica quotidiana. C’è un urgente bisogno di ulteriori ricerche sull’impatto emotivo del climate change sui più giovani ed è necessario che i governi riconoscano questa ansia climatica intraprendendo azioni urgenti per combattere il riscaldamento globale, concludono gli scienziati nel report.
«L’inazione dei governi aumenta l’eco-ansia perché da una parte chi ne soffre potrebbe arrivare a chiedersi “ma se voi non fate niente e noi stiamo peggio che senso ha affannarsi” e dall’altra non agendo i governi minano il senso di auto-efficacia del singolo. Si può scadere nel negazionismo inteso come se loro non fanno niente, allora vorrà dire che non c’è nessun problema», spiega lo psichiatra Matteo Innocenti.
L’eco-ansia tuttavia non va demonizzata. Anzi, secondo Innocenti: «Va aiutata, perché può essere il motore delle persone per risolvere il problema. Agendo io mi sento auto efficace e sento che sto risolvendo il problema». «L’ansia climatica si cura in più modi: riciclando, rispettando l’ambiente, mangiando meno carne, facendo qualcosa che ci toglie il senso di colpa e ci fa sentire più auto-efficaci e più efficaci al cambiamento. Fare rete. Fare gruppo con chi come noi condivide il problema. Ritrovare il contatto con la natura. Ri-approciarsi alla natura. Fare delle passeggiate nel verde. Piantare alberi, prendersi cura delle piante. Aiutare il più possibile. Perché questo fa sì che venga aumentato il proprio senso di efficacia», spiega lo psichiatra.
Il segreto è quindi incanalare questo tipo di angoscia in azione. Come ha fatto l’attivista Alessandro Berti: «Io penso di aver già trasformato l’emozione negativa dell’eco-ansia in azione. Nel mio caso è diventata disobbedienza civile non violenta. Lo sciopero della fame ne è un esempio. Anche perché se non riuscissi a trasformare questi sentimenti di ansia negativi in qualcosa di positivo andrebbero a ledere il mio benessere mentale. Sento che questo è l’unico modo per non perdere tempo e per elaborare e sviluppare questi sentimenti di eco-ansia».
Anche Martina Comparelli ha trovato l’aspetto positivo dell’eco-ansia. «Grazie ai social e al movimento dei Fridays for Future ho trovato diverse persone con le quali riesco a condividere questa ansia. Persone che mi capiscono e che io capisco», ammette l’attivista. «La cura, l’antidoto all’eco-ansia è la collettività. Il trucco è capire come incanalare questa angoscia. Dobbiamo cercare di trasformare questo senso di colpa in voglia di sistemare le cose e la rabbia in voglia di protestare perché le cose cambino», conclude Comparelli.
In questo modo l’eco-ansia potrebbe rivelarsi un combustibile efficace per accelerare e stimolare interventi più urgenti per combattere le cause dell’emergenza climatica.