La crisi delle falde: stiamo finendo l’acqua, anche sottoterra
Le piogge che calano. Le temperature che aumentano. Lo sfruttamento crescente da parte di agricoltura e industria. Così il 71% delle falde idriche nel sottosuolo si sta prosciugando. Un rischio enorme per la sopravvivenza di molte specie. Inclusa quella umana
Quando nell’agosto 2021 Elon Musk è volato a Grünheide, paesino a 60 chilometri da Berlino, per inaugurare la prima fabbrica europea di Tesla, una giornalista gli ha domandato cosa pensasse dei timori avanzati dalla comunità locale per l’alto consumo di acqua che richiede produrre auto elettriche. Musk ha risposto con una fragorosa risata: «Guardati intorno», ha detto rivolgendosi alla cronista, «qui c’è acqua ovunque. Ti sembra un deserto? È ridicolo».
Il plurimiliardario fondatore di Tesla è un imprenditore visionario e di successo, ma su questo punto, oggettivamente, si sbagliava. Sebbene si trovi in una zona boschiva e vicino a tre fiumi, Grünheide da anni ha un grave problema di scarsità d’acqua. Secondo l’istituto di ricerca tedesco Igb, la regione di Berlino-Brandeburgo è una delle più povere d’acqua della Germania, con bassi livelli di precipitazioni e lunghi periodi di siccità. I ricercatori dell’istituto hanno avvertito che la regione avrebbe bisogno di una «maggiore ritenzione idrica», mentre – al contrario – la fabbrica di Musk determina un fabbisogno idrico aggiuntivo da 1,4 milioni di metri cubi all’anno, pari a quello di una città di 31mila abitanti.
A preoccupare i cittadini della provincia berlinese, peraltro, non è solo la carenza di acqua in superficie, ma anche la diminuzione dei livelli idrici nel sottosuolo, che negli ultimi trent’anni sono precipitati. La diminuzione dei livelli delle falde acquifere, sottolinea sempre l’Igb, «è problematica anche per gli ecosistemi dipendenti dalle acque sotterranee come torbiere, foreste e alberi urbani».
Impoverimento
Quello del prosciugamento delle falde è un problema che investe sempre più aree del mondo e che rappresenta un allarme rosso per la sopravvivenza di molte specie, inclusa quella umana. Le acque sotterranee, infatti, sono come dei serbatoi nel sottosuolo dai quali dipendono interi ecosistemi: una sorta di “polizza” per la vita sulla Terra.
Le falde acquifere si formano in seguito all’assorbimento dell’acqua piovana nel terreno. Se piove abbastanza e il terreno è sufficientemente permeabile, l’acqua scende in profondità incuneandosi tra granelli di roccia, sabbia e ghiaia e andando a formare la falda. Nel sottosuolo, si crea così una rete naturale idrica che può alimentare fiumi e laghi e che viene utilizzata nei processi agricoli e industriali, ma anche per fornire acqua potabile nelle abitazioni.
Le falde rappresentano il 30% delle acque dolci presenti sul pianeta (il 68% è contenuto nei ghiacciai, mentre fiumi e laghi coprono solo il 2%). Paesi come la Danimarca e l’Austria fanno affidamento interamente su di esse per soddisfare il fabbisogno di acqua potabile e secondo le Nazioni Unite proviene da lì il 25% dell’acqua utilizzata per l’irrigazione a livello globale.
Ma abbiamo un grave problema. Mentre alcune regioni – soprattutto in Africa – utilizzano in modo insufficiente le acque sotterranee, privandosi di una risorsa preziosa contro la siccità e la crisi climatica, altre aree del pianeta ne sono diventati eccessivamente dipendenti.
La Banca Mondiale l’anno scorso ha messo per iscritto che «l’esaurimento delle falde freatiche, il degrado della qualità delle acque sotterranee e la crescente competizione per questa risorsa ne minacciano la sostenibilità».
L’eccessivo sfruttamento delle acque sotterranee, ad esempio, è all’origine della catastrofe ambientale che sta investendo Jakarta: la capitale dell’Indonesia sta letteralmente collassando su se stessa e rischia di essere sommersa dal mare, al punto che il Governo nazionale ha deciso di programmare lo spostamento della capitale in una città di nuova costruzione, che si chiamerà Nusantara, a mille chilometri di distanza.
Uno studio dell’Università della California, pubblicato lo scorso gennaio sulla rivista Nature, ha esaminato i dati di quasi 1.700 falde in tutto il mondo, scoprendo che nel 71% dei casi l’acqua sotterranea sta diminuendo.
Secondo la Banca Mondiale, addirittura il 92% delle falde transfrontaliere in Medio Oriente e Asia meridionale mostra segni di esaurimento, ma il problema investe pericolosamente anche l’Europa. L’Università del Saskatchewan in Canada ha analizzato vent’anni di dati satellitari: tra il 2002 e il 2022 il Vecchio Continente ha perso in media quasi 84 gigatonnellate di acqua all’anno.
Il caso italiano
In Italia abbiamo grandi disponibilità di acque sotterranee: l’assetto idrogeologico del nostro territorio consente ogni anno una ricarica delle falde pari a quattro volte il consumo idrico complessivo nazionale e l’84% dei prelievi per uso potabile viene proprio dai bacini presenti nel sottosuolo.
«Senza l’acqua sotterranea la crisi idrica che stiamo attraversando avrebbe già messo in ginocchio la nostra economia e avrebbe avuto effetti gravi anche sull’approvvigionamento idropotabile», ha messo in guardia l’anno scorso in audizione al Senato il professor Marco Petitta, vicepresidente dell’Associazione Internazionale Idrogeologi.
Il problema è che l’avanzare della siccità registrato negli ultimi anni ha fatto aumentare anche nel nostro Paese lo sfruttamento di questa risorsa.
Questione ambientale
L’incremento delle estrazioni dalle falde acquifere su scala globale è strettamente legato al cambiamento climatico. La diminuzione delle precipitazioni e l’aumento delle temperature, infatti, da un lato riducono le infiltrazioni di acqua nel sottosuolo e dall’altro determinano un intensificazione dell’utilizzo dei bacini sotterranei per irrigare i campi.
Ma tra i responsabili dell’impoverimento delle falde ci sono anche alcuni settori industriali che per produrre necessitano di elevati consumi di acqua: in particolare, l’alimentare, il tessile e il siderurgico. In altre parole, agricoltori, industrie e reti idriche urbane stanno pompando sempre più acqua da sempre più in profondità per compensare la mancanza di precipitazioni e il caldo record.
«La riduzione della ricarica, assieme al sovrasfruttamento degli acquiferi, può portare ad intaccare le riserve idriche, che sono risorse non rinnovabili. Questo può compromettere la qualità e la disponibilità di acqua per le generazioni future», avverte l’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
Ma il problema non investe solo la specie umana. Lo scorso dicembre la rivista scientifica internazionale Global Change Biology ha pubblicato un lavoro corale sulle acque di falda firmato da più di cinquanta autori – coordinato da Mattia Saccò, ricercatore italiano dell’Università australiana Curtin di Perth – che dimostra come un’elevata biodiversità degli ecosistemi terrestri e delle acque superficiali coincida con un certo grado di interazioni con le acque sotterranee: in particolare, è stata calcolata un’interconnessione medio-alta con le acque sotterranee in più del 52% delle terre emerse (nel 75% se si escludono i deserti e le alte montagne).
Che fare?
A fronte di questo quadro a tinte fosche, la Banca Mondiale auspica politiche mirate in grado di scongiurare «lo sfruttamento eccessivo, il degrado e la cattiva gestione delle risorse idriche sotterranee e dei loro ecosistemi dipendenti». Le misure da intraprendere possono riguardare le tecniche di irrigazione, lo stoccaggio delle acque di superficie ma anche incentivi al risparmio idrico. La Danimarca, ad esempio, negli ultimi trent’anni ha dimezzato il consumo di acqua pro-capite intervenendo sui prezzi e sulle tecnologie di riciclo. «È giunto il momento – sottolinea la Banca Mondiale – che i politici prestino alle acque sotterranee l’attenzione che meritano».