Cop26 Glasgow, tanto rumore per nulla?
L’obiettivo principale della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Glasgow aveva un obiettivo su tutti: azzerare le emissioni a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C
I cambiamenti climatici sono un fenomeno reale, che possiamo osservare nella nostra quotidianità o comunque incontrare frequentemente nella cronaca dal mondo. Anche in questi giorni abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione delle conseguenze concrete del climate change, con il terribile alluvione che sta devastando parte della Sicilia. Danni enormi, vittime, feriti: di questo parliamo, quando facciamo riferimento agli effetti dell’emergenza climatica. E dunque la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la “COP 26”, che si sta svolgendo a Glasgow, è senza dubbio un passaggio istituzionale delicato e fondamentale rispetto al tema e alle prospettive di questa immane battaglia che l’umanità sta ingaggiando con se stessa. “Questa non è la fine, e nemmeno l’inizio della fine. Ma forse è la fine dell’inizio”, disse Winston Churchill dopo la seconda battaglia di El Alamein, che nel 1942 segnò la prima grande sconfitta di Hitler e Mussolini in Africa. Un buon risultato della COP26 sarebbe esattamente questo: l’inizio della fine del progressivo ma inesorabile innalzamento delle temperature causato dalle emissioni inquinanti. I parametri e le scadenze per raggiungere questa enorme vittoria ci sono: azzerare le emissioni entro il 2050 e limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi. Una data precisa, un dato numerico definito. Impossibile sbagliare, quelli sono gli obiettivi da raggiungere per provare ad evitare il disastro.
Un risultato che è molto difficile da raggiungere, perché va decisamente contro gli interessi di diversi paesi del mondo. I produttori di petrolio e di combustibili fossili, innanzitutto: e con loro le multinazionali di settore. I paesi in forte via di sviluppo, che dovrebbero trovare strade sostenibili e “green” sulle quali proseguire la corsa della loro crescita industriale. I paesi che hanno livelli di consumo tali da richiedere molti sforzi per “riconvertirsi”, e magari per motivi elettoralistici hanno difficoltà o non vogliono proprio sentir parlare di riduzione delle emissioni o di limiti alle possibilità di ulteriore sviluppo. Insomma, arrivare al 2050 con un successo totale è difficile, e richiede un livello di decisionismo e collaborazione molto alto. Ed infatti proprio l’unitarietà della visione e degli intenti è un altro degli “obiettivi forti” della COP26. Collaborazione “globale”, l’unica strada per raggiungere gli obbiettivi necessari ad evitare un disastro ambientale. Ma, come purtroppo spesso accade in caso di decisioni politiche scomode, c’è il forte rischio che l’accordo tra le nazioni possa essere decisamente al ribasso.
Purtroppo, il rischio che la montagna partorisca il topolino, come recita un antico proverbio, è molto concreto. Nonostante l’enfasi con la quale questa Conferenza è stata introdotta anche dalle dichiarazioni di intenti espresse nel G20 di Roma, il documento finale della COP 26 sembra al momento essere decisamente deludente. La bozza di accordo “non è un piano concreto per risolvere la crisi climatica, è solo un incrociare le dita e sperare che vada meglio l’anno prossimo”: questa è stato il commento di Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International, non appena è stato chiaro in che direzione stesse andando la volontà dei leader politici.“Non è nient’altro che una timida richiesta ai governi di fare di più, forse, al prossimo vertice. Non è accettabile e i negoziatori non dovrebbero nemmeno pensare di poter lasciare Glasgow senza un vero accordo che affronti l’urgenza della crisi climatica in corso” ha aggiunto la Morgan, che ha ricordato che “è stato appena pubblicato uno studio che mostra che ci stiamo dirigendo verso un aumento della temperatura globale di 2,4 gradi centigradi. Il compito di questa conferenza è sempre stato quello di limitare questo aumento entro 1,5 gradi, ma se il testo non verrà modificato significa che i leader mondiali vogliono semplicemente rimandare l’obiettivo al prossimo anno. Se questo è il meglio che sanno fare, non c’è da meravigliarsi che le nuove generazioni siano furiose con loro”. Una critica condivisa e rilanciata da molti movimenti ambientalisti, che temono un clamoroso e pericolosissimo “nulla di fatto”.
Un piccolo sospiro di sollievo, emesso più in virtù della speranza che per un reale cambiamento in atto, è provocato dalla notizia di un accordo tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ed il leader cinese Xi Jinping: i due capi di stato si incontreranno in un meeting virtuale per cercare un terreno comune di iniziativa e di lavoro nella lotta ai cambiamenti climatici. I due Paesi hanno concordato di intensificare gli sforzi con “azioni concrete”: in una dichiarazione congiunta viene fatto riferimento ad “azioni climatiche più forti negli anni 20” sulle linee guida di Parigi, anche con nuovi e più significativi obbiettivi di tagli alle emissioni entro il 2025. La Cina ha inoltre promesso di limitare il metano come stanno facendo gli Stati Uniti. L’accordo prevederebbe regole “concrete e pragmatiche” in materia di decarbonizzazione, riduzione delle emissioni di metano e lotta alla deforestazione. “Entrambe le parti riconoscono che c’è un divario tra lo sforzo attuale e l’accordo di Parigi, quindi rafforzeremo congiuntamente l’azione per il clima e la cooperazione rispetto alle nostre rispettive situazioni nazionali” ha infine dichiarato l’inviato della Cina Xie Zhenhua: “Entrambi vediamo che la sfida del cambiamento climatico è esistenziale e grave. Ci prenderemo le nostre dovute responsabilità e lavoreremo insieme”.
Anche in questo caso dichiarazioni, promesse di impegno, riferimenti abbastanza vaghi a futuri accordi che – finalmente!– entreranno nel merito della questione. Ed è questa l’impressione che la COP 26 suscita: siamo consapevoli, sappiamo cosa fare, la prossima volta decideremo. Promesso! Ma il tempo scorre, e la situazione peggiora. Ce ne stiamo accorgendo tutti, nonostante ci sua ancora chi (sempre di meno) prova ad attribuire solo alla natura la colpa dei disastri ambientali, delle temperature in aumento, della siccità sempre più intensa, degli incendi enormi ed indomabili, del caldo asfissiante in Canada, delle tempeste tropicali nel Mediterraneo. Ce ne stiamo accorgendo, ma di fatto non stiamo agendo. Lo faremo, forse, il prossimo anno.