Brexit, il parlamento britannico boccia per la seconda volta l’accordo di Theresa May: ecco cosa succede adesso
Il parlamento britannico ha bocciato l’accordo negoziato dalla premier Theresa May e l’Unione europea sulla Brexit. Nella serata di martedì 12 marzo 2019 a favore hanno votato 242 deputati, mentre 391 hanno votato contro: una vera disfatta per la premier.
“I deputati della Camera dei Comuni devono decidere se vogliono la revoca dell’Articolo 50 (e dunque una proroga dell’uscita dall’Ue, al momento fissata al 29 marzo) oppure un secondo referendum”, ha detto la premier, Theresa May, a Westminster, commentando la bocciatura del suo accordo.
“Ci dispiace per il risultato del voto di stasera e siamo delusi che il governo britannico non sia stato in grado di assicurare una maggioranza sull’accordo di uscita concordato da entrambe le parti a novembre”, ha detto il portavoce del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, commentando la sonora sconfitta della premier britannica, Theresa May.
“Da parte europea, abbiamo fatto tutto il possibile per raggiungere un accordo. Visto le assicurazioni aggiuntive fornite a dicembre, gennaio e anche ieri, è difficile vedere cosa altro possiamo fare”, ha continuato il portavoce.
“Se c’è una soluzione all’attuale impasse, può essere trovata solo a Londra”.
La premier Theresa May aveva incontrato nei giorni scorsi il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, per un accordo last minute sul backstop, la questione del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda. Si trattava sostanzialmente dello stesso accordo già bocciato dal parlamento britannico lo scorso 15 gennaio 2019, con alcune leggerissime modifiche.
Il secondo accordo non ha convinto la maggioranza parlamentare. I parlamentari favorevoli a una hard Brexit hanno giudicato troppo rischioso per il Regno Unito l’accordo siglato dalla premier con l’Ue in merito alla questione del confine irlandese.
Dal momento che maggioranza dei deputati ha bocciato la mozione in votazione martedì, oggi, mercoledì 13 marzo, i parlamentari saranno chiamati a un secondo voto sull’ipotesi di un’uscita senza accordo, il temuto scenario del No deal.
I conservatori pro-Brexit e gli unionisti nordirlandesi del Dup avevano già annunciato di non appoggiare l’accordo sulla Brexit raggiunto con la Ue dalla premier Theresa May.
Secondo gli unionisti nordirlandesi del Dup, da cui dipende la maggioranza al governo, nonostante le garanzie “legalmente vincolanti” sul backstop, “l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito potrebbero rimanere intrappolati” in questo meccanismo, dopo la Brexit.
Della stessa opinione anche il Procuratore generale Cox, secondo cui, le intese raggiunte con Bruxelles non sono sufficienti per escludere il rischio che il Regno Unito rimanga intrappolato in modo indefinito e contro la sua volontà nel meccanismo del backstop, che assicura il mantenimento del confine aperto tra Irlanda e Irlanda del Nord, finché non verranno definite le relazioni future tra Londra e Bruxelles.
In sostanza, in caso di stallo nei negoziati sulle relazioni future, il Regno Unito “non avrebbe strumenti legalmente validi a livello internazionale per uscire dalle disposizioni previste dal protocollo di backstop”.
Il parlamento britannico è chiamato a un secondo voto domani, 13 marzo, sull’ipotesi di un’uscita senza accordo. Se il voto di domani non dovesse essere favorevole, si ricorrerà a un terzo voto il prossimo 14 marzo, che chiede di rimandare di 2 anni l’attuazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona e quindi l’uscita del Regno Unito al 2021.
In questo caso, se giovedì 14 marzo il parlamento si esprimesse a favore di questa opzione, il governo May sarebbe obbligato a chiedere una proroga ai negoziatori europei. La palla passerebbe poi al Consiglio europeo che il prossimo 21 marzo dovrebbe decidere se accettare la richiesta di proroga della May. A quel punto le due parti avrebbero altro tempo per trovare un nuovo accordo soddisfacente per tutti.
Il backstop, uno dei punti più complicati da risolvere in vista di Brexit, è la clausola che evita la creazione di una frontiera fisica tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Il backstop però implica che rimanga in piedi, anche dopo Brexit, l’unione doganale tra Regno Unito e Unione europea.
La clausola in questione è stata fortemente osteggiata dai membri più conservatori del partito della May e dal Dup nordirlandese poiché metterebbe repentaglio l’integrità del Regno Unito, dato che una sua parte (l’Irlanda del nord) rimarrebbe di fatto all’interno dell’Unione europea.
Nell’accordo raggiunto tra May e Juncker rientra un documento “legalmente vincolante” che consentirebbe al Regno Unito di sporgere denuncia ad un arbitro indipendente se l’Ue cercasse di “intrappolarlo” nel backstop.
E rientra anche un secondo documento, un addendum alla dichiarazione politica in cui il Regno Unito e l’Ue si impegnano a trovare soluzioni alternative al backstop entro dicembre 2020.