Il business dell’accoglienza: così il decreto sicurezza sta favorendo la finanza speculativa
La nuova normativa introdotta dal ministro Salvini ha attirato tre holding del nord Europa che puntano a prendere in mano la gestione dei migranti. Ma, secondo un dossier presentato alla Camera, per lo Stato non ci sarà nessun risparmio: anzi, i costi rischiano di aumentare
Come si arricchiscono le holding finanziarie nordeuropee inserite nella gestione dei centri di accoglienza per migranti? Ha provato a rispondere in un dossier presentato il 29 gennaio alla Camera dei deputati la redazione di valori.it, testata giornalistica della fondazione Finanza Etica.
Il dossier in sei articoli ricostruisce il quadro degli interessi economici intorno all’affare dell’accoglienza. Interessi che hanno attirato in particolare tre holding del nord Europa, che sarebbero pronte a puntare sull’Italia anche grazie al decreto sicurezza. Si tratta del gruppo privato svizzero ORS, della norvegese Hero e della tedesca Homecare.
L’ORS ha annunciato il 22 agosto il suo ingresso in Italia. La società è controllata da investitori londinesi (il private equity Equistone Partners, legato alla banca Barclays), ha forti legami con il mondo politico svizzero e austriaco (tra i suoi consiglieri ci sono ex ministri di entrambi i paesi), ma alle sue spalle ci sono anche investitori istituzionali statunitensi e un’agenzia governativa dell’Arabia Saudita. Nel 2015, inoltre, la holding è stata coinvolta in polemiche sulla pessima gestione del centro rifugiati di Traiskirchen, in Austria. È la prima grande società dell’accoglienza del nord europa che ha aperto un ramo in Italia.
La seconda società opera in Norvegia dal 1987 ed è stata creata dai fratelli Roger e Kristian Adolfsen, con quote di minoranza per la DNB (controllata dal ministero dell’Industria e da Deutsche Bank, Schroders e Blackrock). Nel 2016 gestiva 90 centri in Norvegia e 10 in Svizzera.
L’ultima holding, la European Homecare, valutata oggi 400 milioni di euro, è la regina dei sistemi di accoglienza in Germania, con interessi nella regione di Francoforte, ma anche in Polonia e Austria. È stata coinvolta anche in una vicenda giudiziaria presso la Corte distrettuale di Siegen, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, dopo che 31 operatori del centro Homecare di Burbach sono stati accusati di maltrattamenti ai danni di rifugiati. Un altro procedimento, contro altri 7 dipendenti, è aperto, e le persone coinvolte avrebbero già in parte confessato.
Ma l’ingresso di queste holding farà risparmiare soldi al nostro paese? Non secondo i dati pubblicati dal dossier. La chiusura degli Sprar (centri di accoglienza diffusa in mano ai comuni) in favore dei Cas (centri di accoglienza straordinaria in mano ai privati) rischia di triplicare i costi, azzerando di fatto i servizi.
Mediamente, un migrante costa circa 6.300 euro per i 6mesi in cui resta in uno Sprar. In un Cas, costa da 10 a 14mila euro, in funzione del periodo di permanenza e della regione (la permanenza arriva fino a 18 mesi).
“È singolare che una forza politica che si proclama sovranista abbia creato l’humus ideale per una colonizzazione dal nord Europa”, sottolinea Emanuele Isonio, direttore di valori.it. “Questo avviene mentre l’Austria di Sebastian Kurz sta tornando a un modello di gestione pubblica anziché privata”.
Il deputato Fratoianni (Sinistra italiana) ha presentato un’interrogazione parlamentare sul tema. “L’immigrazione viene gestita ancora come un’emergenza”, sottolinea Fratoianni alla presentazione del dossier. “È vergognoso che i 47 migranti della Sea Watch siano tenuti in ostaggio, avendo la sola colpa di essere stati salvati”.
“Nell’interrogazione parlamentare”, aggiunge il deputato di SI, “abbiamo avanzato anche tre richieste. Chiediamo qualche informazione in più su ORS Italia, vorremmo sapere se ha già preso contatti col ministero o sia già stato affidato qualche centro in gestione. Chiediamo anche una spiegazione sul fatto che i costi di questo sistema sembrano aumentare. Terzo, chiediamo cosa vuole fare il governo sul terreno dei meccanismi di affidamento. Si può continuare ad agire così, senza avvisi pubblici e trasparenza?”.
“Questo modello lavora sulla riduzione costi e la massimizzazione del profitto, che vuol dire cancellare una parte decisiva nel sistema di accoglienza: l’integrazione”, aggiunge Fratoianni. “C’è il rischio che il sistema finisca per assomigliare sempre di più ai centri di detenzione statunitensi”.
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