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Che cos’è l’analfabetismo funzionale e perché riguarda la metà degli italiani

Immagine di copertina
Il neologismo coniato da Enrico Mentana

Il 47 per cento degli italiani, pur sapendo leggere e scrivere, non riesce a comprendere le informazioni e a interpretare la realtà. Ma chi è un analfabeta funzionale?

Sanno leggere, scrivere e fare i calcoli. Ma non sanno comprendere e interpretare la realtà che li circonda e le informazioni a cui sono esposti.

Non riescono a capire un articolo di giornale pur riuscendo a leggerne le parole, non riescono a compilare una domanda di lavoro o a interagire con strumenti e tecnologie digitali e comunicative e rimandano ogni informazione alla propria esperienza diretta.

Sono gli analfabeti funzionali.

L’analfabetismo funzionale – diverso da quello strutturale di chi non è in grado di leggere e scrivere – è un fenomeno sempre più diffuso, secondo cui un individuo ha imparato le basi della scolarizzazione, ma non è in grado di leggere i termini di un contratto, di compilare una domanda di lavoro, di interpretare o riassumere un testo.

Secondo la definizione del rapporto Piaac-Ocse, un analfabeta funzionale è più incline a credere a tutto quello che legge in maniera acritica, non riuscendo a “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.

In Italia il 47 per cento degli individui è analfabeta funzionale. Lo rivela lo Human development report 2009, un indice calcolato tra i paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). L’Italia, avendo un alto numero di analfabeti funzionali, si trova in una posizione alta in classifica.

“Una persona è funzionalmente alfabetizzata se può essere coinvolta in tutte quelle attività nelle quali l’alfabetizzazione è richiesta per il buon funzionamento del suo gruppo e della sua comunità e per permetterle di continuare a usare la lettura, la scrittura e la computazione per lo sviluppo proprio e della sua comunità”. Questa è la definizione di alfabetismo funzionale che dà l’Unesco nel 1978.

Analfabetismo è l’incapacità dell’individuo di decifrare l’ambiente e partecipare alla società in cui vive, incapacità di usare abilità in modo funzionale in attività tipiche della vita quotidiana, come leggere gli orari dell’autobus o usare un computer.

Quanti sono gli analfabeti funzionali in Italia?

Secondo Tullio De Mauro, noto linguista, gli analfabeti funzionali in Italia sarebbero addirittura l’80 per cento, dal momento che “soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”.

Le indagini statistiche a cui si riferisce De Mauro compaiono in due volumi diversi: La competenza alfabetica in Italia. Una ricerca sulla cultura della popolazione (Franco Angeli, 2000) e Letteratismo e abilità per la vita. Indagine nazionale sulla popolazione italiana 16-65 anni (Armando editore, 2006).

Negli anni Cinquanta l’analfabetismo vero e proprio in Italia riguardava il 30 per cento dei cittadini, che non sapevano né leggere né scrivere, ma con l’espansione dell’istruzione scolastica gli analfabeti assoluti sono diminuiti, fino a toccare oggi una percentuale bassissima.

Nel 1861, l’Italia contava una media del 78 per cento di analfabeti con punte massime del 91 per cento in Sardegna e del 90 per cento in Calabria e Sicilia. Due anni prima, nel 1859 fu introdotto per la prima volta l’obbligo di due anni di scuola, poi diventati tre nel 1877 con la legge Coppino e cinque nel 1904 con la legge Orlando. Nel 1923 la riforma Gentile porta l’obbligo scolastico ai 14 anni.

Nell’Italia repubblicana l’obbligo scolastico gratuito di 8 anni (elementari e medie) fu inserito in Costituzione con l’articolo 34. L’ultima importante riforma arriva nel 1963, e riguarda la scuola media unica, che porta al crollo definitivo del tasso di analfabetismo.

Secondo i dati Istat oggi gli analfabeti strutturali, coloro che non sanno leggere e scrivere, sono una minoranza. Secondo il Rapporto delle Nazioni Unite sul Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo 2013 l’Italia si trova al 54esimo posto su 179 paesi analizzati, con un tasso di alfabetizzazione del 99,2 per cento.

Secondo la ricerca Istat l’Italia in cifre del 2016, in Italia il 6,3 per cento dei cittadini maschi ha una licenza elementare, il 36 per cento la licenza media, il 6,8 per cento ha un diploma di 2-3 anni, il 35,6 per cento ha un diploma di 4-5 anni e il 15,3 per cento ha conseguito la laurea.

Per quanto riguarda le donne, l’8,2 per cento licenza elementare, il 30,5 per cento la licenza media, il 6,6 per cento ha un diploma di 2-3 anni, il 34,9 per cento ha un diploma di 4-5 anni e il 19,8 per cento ha conseguito la laurea.

Analfabetismo funzionale e social network

“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”, aveva affermato Umberto Eco, dopo aver ricevuto la laurea honoris causa in Comunicazione e cultura dei media a Torino, a giugno 2015.

Ormai il binomio analfabetismo funzionale-social network è sotto gli occhi di tutti, dal momento che tutti hanno lo stesso spazio per potersi esprimere.

Gli analfabeti funzionali sono definiti spesso coloro che non sono in grado di comprendere informazioni, post e articoli condivisi sui social network, creando polveroni e rivelandosi terreno fertile per la proliferazione incontrollata di fake news, condivise migliaia di volte in maniera acritica.

Il giornalista Enrico Mentana a tal proposito, coniò il neologismo webete, la crasi tra le parole web ed ebete, che ha più o meno le stesse caratteristiche antropologico-sociali dell’analfabeta funzionale che si affaccia nel mondo dei social network.

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