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Home » Migranti

Ma quindi, Gesù, Giuseppe e Maria, erano o non erano dei profughi?

Immagine di copertina

Il presepe è uno dei simboli cristiani più strumentalizzati: sacra tradizione da rispettare secondo alcuni, emblema del dramma dei migranti e dell'accoglienza negata, secondo altri. Ma chi ha ragione? L'analisi

Se fino a qualche anno fa si identificava l’arrivo del Natale con le pubblicità del panettone Bauli, che con i suoi jingle ci ricordava che eravamo entrati in pieno clima natalizio, oggi l’arrivo del Natale è anticipato dalle sonanti polemiche sul presepe. Il tema riesce a scaldare gli animi e dividere addirittura più dell’altro must: il crocifisso nelle aule.

“Se sei razzista non puoi fare il presepe”, “Ipocrita!”, gridano alcuni. “Viva le tradizioni italiane, viva il presepe, il bue e l’asinello, ma a morte gli stranieri”, rispondono gli altri.

Da qualche anno vanno di moda le vignette che dipingono Gesù, Giuseppe e Maria come profughi.

In un paese della provincia di Bari hanno allestito un presepe in cui Giuseppe, Maria e Gesù sono raffiguranti come migranti che naufragano in un mare di plastica, che – inutile  dirlo – ha scatenato polemiche e critiche nel magico “mondo del web”.

Qualche giorno fa lo stesso effetto aveva fatto la provocazione di Don Luca Favarin, parrocco di Padova che su Facebook aveva scritto: “quest’anno non fare il presepio credo sia il più evangelico dei segni. Non farlo per rispetto del Vangelo e dei suoi valori, non farlo per rispetto dei poveri”.

“Basta con questo inutile teatrino delle statuette di Natale”, dice il religioso intervistato. “Oggi fare il presepio è ipocrita. Il presepe è l’immagine di un profugo che cerca riparo e lo trova in una stalla. Esibire fior di statuette, facendosi magari il segno della croce davanti a Gesù bambino, quando poi nella vita di tutti i giorni si fa esattamente il contrario, ecco tutto questo lo trovo riprovevole”, continua il prete.

La favoletta della nascita di Gesù, rappresentata iconicamente nel presepe, la conosciamo più o meno tutti. Reminiscenze di infinite – e traumatiche – recite natalizie ci portano alla mente la scena di Giuseppe che trascina un mulo dove siede una ragazzina incinta, stanca e sfinita, prossima al parto. Nessuno però dà loro accoglienza. Nelle locande non c’è posto. Negli alberghi neanche a parlarne. E allora che si fa? L’epilogo è noto a tutti: “e vieni in una grotta al freddo e al gelo”, ci racconta come finì quella sfiancante ricerca di un posto dove partorire: una mangiatoia, in una stalla, con il solo calore del bue e dell’asinello.

Il quotidiano Il Giornale, in questo articolo scrive: “Che i genitori di Gesù non fossero profughi è cosa nota, dato che Giuseppe stava andando a casa sua, a Betlemme, per un censimento”. “Maria e Giuseppe non furono allontati dalle case perché stranieri (abbiamo visto infatti che erano in piena regola), ma semplicemente perché non c’era posto per loro dato che molti avevano raggiunto Betlemme per poter adempiere ai doveri richiesti dal già citato censimento”.

Ma come stanno veramente le cose? La “sacra famiglia” era veramente una famiglia di profughi? Perché Gesù è nato in una grotta?

Andiamo alla fonte originale. La descrizione della nascita o natività di Gesù è contenuta nei vangeli di Matteo e Luca oltre che nell’apocrifo Protovangelo di Giacomo.

Il Vangelo secondo Luca riporta la notizia di un censimento, voluto da Cesare Augusto in tutto l’impero romano, secondo il quale ciascuno doveva tornare con la propria famiglia nella città dei propri avi (censimento di Quirinio). Giuseppe, discendente del re Davide che era nato a Betlemme, lascia Nazareth con Maria incinta e si reca nella città dei suoi avi. A Betlemme Maria dà alla luce Gesù, lo avvolge in fasce e lo depone in una mangiatoia degli animali. In seguito Giuseppe e la sua famiglia tornano a Nazareth.

Nel Vangelo secondo Matteo si racconta del parto di Maria. Poco dopo arrivano a Gerusalemme i Magi dall’oriente, i quali avevano letto nel sorgere di un “astro” l’annuncio della nascita del re dei Giudei. Il legittimo re, Erode, resta turbato, e li invia a Betlemme sulla base della profezia di Michea 5,1 con l’intento di avere informazioni su questo re illegittimo. Guidati dall’astro i magi arrivano “nella casa” e offrono a Gesù bambino “oro, incenso e mirra”.

I magi vengono avvertiti in sogno di non tornare da Erode, che voleva uccidere Gesù. Nel frattempo un angelo informa in sogno Giuseppe di fuggire in Egitto per sottrarsi all’ira di Erode. Questi infatti, non conoscendo l’identità del re neonato, fa uccidere tutti i bambini di Betlemme sotto i due anni (strage degli innocenti). La famiglia ritorna dall’Egitto solo alla morte di Erode, ma a causa della presenza sul trono del figlio Erode Archelao, in sogno un angelo indica loro di recarsi a Nazaret, in Galilea, affinché si avveri la profezia secondo la quale «sarà chiamato Nazareno».

È vero – secondo la Bibbia – che Giuseppe e Maria erano andati a Betlemme non da profughi, ma solo per il censimento, ma è vero anche che pochi giorni dopo la nascita di Gesù, la famiglia è costretta, per sfuggire alla furia omicida di Erode, a scappare in Egitto.

“Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”, si legge nel vangelo secondo Matteo (2,13-15).

Il profugo, secondo l’enciclopedia Treccani, è una persona “costretta ad abbandonare la sua terra, il suo paese, la sua patria in seguito a eventi bellici, a persecuzioni politiche o razziali, oppure a cataclismi”.

Perseguitati da Erode, e costretti ad abbandonare la loro terra, Gesù, Giuseppe e Maria, sono profughi. Senza alcuna ombra di dubbio.

L’accostamento alla vicenda dei migranti, completamente lontana nei tempi e nelle modalità, non appare per nulla forzata se si entra nel merito della questione. E sono in molti a pensarla così. Anche la stessa Chiesa.

Il pittore Renato Guttuso, incaricato di affrescare una cappella nei pressi del Sacro Monte di Varese con la scena “Fuga in Egitto”, decise di raffigurare Maria, Giuseppe e Gesù come una famiglia di profughi palestinesi, costretti a fuggire dalla loro casa.

Secondo il Pontificio Consiglio della Cultura, la vicenda storica di Gesù Cristo non è per nulla lontana da quella dei tanti migranti che oggi intraprendono pericolosi viaggi alla volta dell’Europa.

“La famigliola deve imboccare la via della clandestinità, riparando nel confinante Egitto. Come è evidente, è tutt’altro che artificiosa l’applicazione delle tormentate storie degli immigrati, dei nomadi, dei clandestini che occupano i nostri giornali alla vicenda del bambino Gesù di Betlemme”, si legge in un documento chiamato, non a caso, “Gesù Clandestino”.

Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie, scrive “Giuseppe portò il bambino in Egitto con Maria per sottrarlo alla furia di Erode. È la stessa vicenda dei rifugiati che approdano alle nostre coste: non dimentichiamolo”.

Nella sua ultima omelia di Natale da pontefice, Papa Benedetto XVI, il 24 dicembre 2012 diceva: “La grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi?”.

Anche papa Francesco, nell’omelia di Natale 2017, diceva: “Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza”. In quel caso tante furono le critiche al pontefice: “Non è vero che Gesù era un profugo”.

E in un’altra occasione il pontefice argentino aveva detto: “Sulla via dolorosa dell’esilio, in cerca di rifugio in Egitto, Giuseppe, Maria e Gesù sperimentano la condizione drammatica dei profughi, segnata da paura, incertezza, disagi”.

Ma in ogni caso, sull’accoglienza dei migranti, senza scomodare necessariamente l’esilio di Cristo, la Bibbia parla chiaro: “Vi sarà una sola legge sia per il nativo sia per lo straniero residente in mezzo a voi… Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli dovrete far torto, ma lo tratterete come colui che è nato fra voi; l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (Esodo 12, 49; Levitico 19, 33-34).

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