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Esclusivo TPI, ex tesoriere Lega: “I 49 milioni? Li abbiamo spesi scientemente. Salvini era d’accordo”

Stefano Stefani sottoscrisse le spese che, in pochi mesi, svuotarono le casse della Lega. Nell'intervista esclusiva a TPI, ha rivelato a Giuseppe Borello e Andrea Sceresini: "Feci presente più volte a Maroni e Salvini che si stava spendendo troppo e troppo in fretta. Nessuno, all'interno del Consiglio Federale, si oppose a questa politica"

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Parla per la prima volta l’uomo che sottoscrisse le spese che determinarono, nel giro di pochi mesi, il quasi totale svuotamento delle casse del Carroccio. Si tratta di Stefano Stefani, tesoriere della Lega durante la segreteria di Maroni e successore di Francesco Belsito.

Incalzato dalle domande di Giuseppe Borello e Andrea Sceresini, in una intervista inedita ed esclusiva per The Post Internazionale, Stefani ammette: “Io non contavo un cazzo, ero un mero esecutore”.

Parte dei 40 milioni rimasti in cassa dopo le dimissioni di Bossi – frutto, almeno parzialmente, dei rimborsi elettorali nel mirino della magistratura – sarebbero stati spesi in modo ingiustificato, assumendo costosissimi professionisti esterni “amici di Maroni” e finanziando la campagna elettorale del futuro governatore della Regione Lombardia.

“Feci presente più volte a Maroni e Salvini, sia in pubblico che in privato, che si stava spendendo troppo e troppo in fretta – dice Stefani -. Mi fu detto che non potevamo fare altrimenti, perché in quel momento eravamo sotto schiaffo”.

“Nessuno, all’interno del Consiglio Federale, si oppose a questa politica – ribadisce l’ex tesoriere -. Tantomeno Salvini, che all’epoca aspettava solo di diventare segretario”.

Questa è la terza puntata dell’inchiesta di TPI su come sono svaniti nel nulla i soldi della Lega.

Nella prima puntata, una ex dipendente di alto livello della Lega, Daniela Cantamessa, storica ex segretaria di Umberto Bossi, ha raccontato che quando arrivò Roberto Maroni le finanze del Carroccio furono letteralmente dilapidate in poco più di due anni.

Il tutto con l’assenso di Matteo Salvini, che non mosse un dito nonostante la stessa Cantamessa gli avesse espressamente chiesto spiegazioni su cosa stesse accadendo alla Lega, allarmata perché le casse si stavano svuotando.

Dopo le sue rivelazioni a TPI, Daniela Cantamessa è stata interrogata dai pm di Genova e dagli uomini del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza.

Cantamessa è stata interrogata nell’ambito dell’inchiesta per riciclaggio sui 49 milioni che, secondo l’ipotesi accusatoria, la Lega avrebbe fatto sparire all’estero.

Nel portare avanti l’inchiesta ai due giornalisti Giuseppe Borello e Andrea Sceresini è stato impedito di riprendere la facciata esterna della storica sede milanese del Carroccio di via Bellerio.

Nella seconda puntata dell’inchiesta di TPI, l’ex segretaria di Umberto Bossi ha accusato anche Giancarlo Giorgetti.

“Giorgetti mi disse che bisognava mettere da parte un milione di euro per incentivare il personale a licenziarsi”.

“All’epoca (nei mesi successivi alle dimissioni di Bossi, nda) avevamo 40 milioni in cassa”, ricorda Cantamessa. “Tutte le attività vennero esternalizzate con spese allucinanti e il personale interno fu liquidato, nonostante costasse solo 4 milioni all’anno. Cosa pensammo? Che ci fosse in atto un’azione per chiudere la Lega”.

La cacciata dei dipendenti, secondo Daniela Cantamessa, sarebbe stata perfettamente funzionale all’operazione. “Il concetto era semplice”, spiega. “Io prendo dei mercenari e li pago per fare ciò che devono fare. I dipendenti, essendo anche militanti, avrebbero certamente rotto le scatole. Perciò andavano licenziati”.

E i licenziamenti effettivamente ci furono: tra il 2015 e il 2017, infatti, la quasi totalità dei dipendenti leghisti venne messa in mobilità.

TPI ha intervistato anche due ex impiegati del Carroccio, Roberto Callegari e Andrea Tampieri, i quali confermano le parole di Cantamessa.

“Dopo le dimissioni di Bossi tutti i soldi sono stati sperperati “, dicono. “Fu acquistato, ad esempio, un nuovo programma di contabilità che poi si rivelò inutilizzabile. Il costo, in questo caso, fu di 80mila euro. Anche altre attività furono esternalizzate, comprese quelle relative ai nostri licenziamenti. Siccome non avevano le palle per lasciarci a casa, il lavoro sporco lo hanno fatto fare alla PricewaterhouseCoopers”.

Il ministro dell’Interno e leader leghista Matteo Salvini ha sdoppiato in due il suo partito. Due formazioni parallele con statuti e simboli diversi. Il tesseramento taglia a metà la penisola: a Nord è (ancora) la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania. A Sud, la Lega per Salvini Premier. E, al telefono con TPI, gli uffici della Lega sostengono di “essere stati costretti a farlo per questioni giudiziarie”

di Ambra Orengo e Sara Del Dot inviate a Milano – Marta vive a Milano e Giacomo è di Taranto. Entrambi si sono iscritti alla Lega, ma le tessere che hanno ricevuto non sono uguali. Su una c’è scritto Lega – Salvini Premier, sull’altra Lega per Salvini Premier. A cambiare, all’apparenza, è soltanto il simbolo. In realtà è qualcosa che ha a che fare con i quasi mille chilometri che li separano.

Per chiarirlo, TPI ha chiamato il numero dedicato al tesseramento, reperibile sul sito della Lega. “Se lei è di Milano deve tesserarsi sul sito leganord.org. Il suo fidanzato pugliese, invece, deve accedere al link tesseramento.legapersalvinipremier.it”.

Chi risponde indirizza le persone a due link diversi in base alla provenienza geografica. E se le si chiede se le due tessere saranno quindi diverse, risponde: “Hanno lo stesso significato, sono tutte e due tessere da sostenitore. Diciamo che quella che si fa a Milano, dalla Valle D’Aosta a Marche e Umbria, è compresa come Lega Nord, e invece quelle che si fanno dal Lazio in giù sono Lega per Salvini Premier”. [Continua a leggere]

La formazione è nata alla fine del 2014 e si rivolgeva alle regioni del Meridione. Alcuni ex soci del gruppo di Pescara hanno raccontato a TPI le anomalie che esistevano nel movimento: a cominciare dall’apparente assenza di uno statuto fino alla mancata consegna di diverse tessere nonostante i soldi versati dai militanti

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