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“C’è una barca in mezzo alle onde, è una barca che porta speranza” | Diario di bordo da Mediterranea

Immagine di copertina
Credit: Mich Seixas

Il diario di Valerio Nicolosi

Valerio Nicolosi, giornalista e videomaker, si trova a bordo della nave Mare Ionio, impegnata nell’operazione Mediterranea e salpata il 4 ottobre 2018 per svolgere un’attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della situazione nel Mediterraneo.

Il progetto vede tra i promotori varie associazioni, onlus, ong tra cui Arci nazionale, Ya Basta di Bologna, la ong Sea-Watch, il magazine online I Diavoli e l’impresa sociale Moltivolti di Palermo.

I garanti del progetto sono un gruppo di parlamentari, tra cui Nicola Fratoianni ed Erasmo Palazzotto, con il sostegno di esponenti del mondo della cultura e della società civile.

Ecco il diario di bordo di Valerio Nicolosi per TPI.it:

Ultimo giorno – sabato 13 ottobre 2018
Credit: Mich Seixas

“Marenostro ascolta ti prego, questa notte porta pazienza, c’è una barca in mezzo alle onde, è una barca che porta speranza.”

Sono tutti vivi e questa è la cosa più importante. 61 persone tra cui un neonato e due donne incinte.

La notte è stata lunga e piena di notizie contrastanti arrivate dalla Guardia costiera italiana, da quella maltese e da un peschereccio tunisino che ha incontrato sulla sua rotta il barcone con le 61 persone a bordo.

Erano partiti da Zawarah, una località ad ovest di Tripoli giusto davanti le piattaforme petrolifere in cui l’ENI ha molti interessi e attorno alle quali si gioca una fetta importante della partita libica.

Dopo 35 ore di navigazione i migrnati sono arrivati in acque italiane a bordo di una barca di legno da 8 metri, piccola, piccolissima per quel numero di persone.

La fase operativa della Mare Jonio inizia alle 20 circa quando arriva un NAVTETX (sistema di messaggi ai naviganti di diverso tipo tra cui casi di barche in pericolo o comunicazioni sul meteo) in cui si segnala un gommone con circa 70 persone a bordo in “distress”, ovvero in “pericolo imminente” in zona SAR Maltese, ma a poche miglia a sud di Lampedusa.

In quel momento la posizione della Mare Jonio era distante dalle coordinate fornite ma iniziamo una lunga corsa durata 7 ore, tante miglia percorse e soprattutto una lunga serie di chiamate con la Guardia costiere italiana e quella maltese oltre che una lunga chiamata con Gino Scaccia, il capo di gabinetto del Ministro Toninelli.

“Le coordinate ce le ha fornite Phone Alarms e noi non possiamo intervenire, non abbiamo assetti navali disponibili” ci dice la guardia costiera maltese a pochi minuti dal messaggio NAVTEXT. “Phone Alarms” è un’organizzazione che raccoglie le chiamate satellitari e le riversa alle autorità competenti. In questo caso, appunto, la guardia costiera maltese. Viene chiesto il numero di telefono satellitare da cui hanno chiamato in modo da avere un contatto diretto con il gommone, ma le autorità maltesi ci dicono che non hanno altre informazioni da passarci. “Quando arrivate in zona informateci sulla situazione”, questa è lo loro chiosa.

“Non siamo stati noi, non ne sappiamo nulla” è il senso della mail di Phone Alarms arrivata pochi minuti dopo a bordo della Mare Jonio su sollecito dell’armatore Beppe Caccia e che inizia a mettere i primi dubbi sulla trasparenza delle comunicazioni che andranno avanti per tutta la nottata.

A quel punto non resta che sollecitare le autorità italiane sia perchè sono quelle di bandiera della Mare Jonio sia perchè Lampedusa è davvero vicina a quelle 70 persone e noi invece oltre che lontani incontriamo anche un pessimo mare.

“Mi dispiace Onorevole ma il gommone è in zona SAR maltese, noi non possiamo intervenire” è invece la risposta del comandate della Guardia Costiera italiana alla chiamata di Erasmo Palazzotto, deputato di LeU e membro della squadra di soccorso della Mare Jonio. “Voi potete arrivare sicuramente prima di noi e siete più attrezzati, per favore intervenite e non lasciate queste persone in mare”. È quanto chiedeva Palazzotto alla Guardia Costiera italiana.

Sullo stesso tono, chiuso dietro al burocratese, è la risposta del capo di gabinetto del ministro Toninelli. Il fatto che siano a meno di 20 miglia da Lampedusa ma in zona Sar maltese fa rimpallare le responsabilità tra le autorità e intanto le persone restano in mare.

“Sono loro la storia del grano, il fuoco che torna al tramonto, il pane spezzato e diviso alla fine del giorno. Mare ti prego stanotte non li affogare, mare nostro mare”.

“Mettiamo in mare il nostro gommone e andiamo a prenderli, magari aspettiamo che arrivi la Guardia Costiera ma intanto non li lasciamo soli” è quanto penso e dico sul ponte mentre si continuano a susseguire le chiamate ed è un pensiero condiviso da molti. La pressione politica è importante quanto è importante chiedere aiuto a chi è più competente però in mare quando si è in queste situazioni bisogna sapere contare sulle proprie forze se si è dei professionisti e nell’equipaggio ci sono dei professionisti.

“La distanza è nettamente diminuita rispetto a quando abbiamo ricevuto la chiamata e se davvero il motore è in avaria siamo arriviamo nel giro di pochi minuti” ci dice il comandate della nave che ha appena aggiornato i calcoli per la distanza tra noi e il gommone in “distress”.

“Si parte, scendiamo in mare!” ci dice Erasmo Palazzotto che di fatto è il capo missione a bordo.

La scena vissuta altre volte si ripete. L’ansia di scendere in un mare nero, la luna che di solito ti fa da faro questa notte è piccolissima, uno spicchio quasi inesistente, e la paura sale ma se riesco ad incanalarla bene e l’adrenalina prende il sopravvento. “Solo gli stupidi non hanno paura” è una frase che ripeto spesso a chi mi chiede del mio lavoro e a volte ascolta storie che sembrano assurde però è davvero così. La paura ti fa aumentare il livello d’attenzione e quando sei impaurito poche cose scappano al cervello. E poi la paura può diventare adrenalina e l’adrenalina ti fa essere più resistente ai fattori esterni e nel caso di un soccorso può farti trovare forze che non pensavi di avere.

Incrocio Elena Stancanelli, Marco Mensurati e Nello Scavo, colleghi con i quali in questi giorni abbiamo sempre lavorato insieme e senza mai un problema. Un bel gruppo di persone prima che colleghi. Ci scambiamo un sorriso o una pacca sulla spalla. Pochi gesti prima di scendere ma che bastano a capire la vicinanza. Loro restano a bordo e io scendo. Il mio lavoro è vedere e raccontare quello che vedo dentro l’obiettivo. Loro daranno una mano a bordo in caso di soccorso perché a bordo di una nave per un evento così eccezionale tutti sono fondamentali.

Scendiamo, è il momento. Le facce sono tese perché non sappiamo cosa incontreremo e soprattutto se lo incontreremo vista la corrente del mare e la possibilità che si siano spostati.

“Non ci sono!” è la resa a questa prima ricerca durante un po’ e fatta in maniera congiunta dalla Mare Jonio e dal Rhib. Intanto è arrivata anche una comunicazione di Malta che segnala il gommone a 14 miglia a nord in direzione Lampedusa. Stranissimo che abbiamo percorso tutte quelle miglia con il motore in avaria ma comunque non possiamo fare altro che riprendere la corsa e capire in che condizioni siano. Ci segnalano inoltre la presenza di due pescherecci tunisini nelle vicinanze che a quanto pare mantengono il contatto con il gommone. Il Fauzi e l’Adamir hanno dato l’allarme alle autorità maltesi.

“Marenostro tu sai chi li guida, è quel Dio che non ha frontiere, che cammina sull’acqua e sul fuoco e che spezza tutte le catene”.

Praticamente li seguiamo a poche miglia di distanza, se fossero davvero fermi li raggiungeremmo in meno di un’ora e a quel punto potremmo effettuare noi il trasbordo oppure aspettare l’arrivo delle prima imbarcazioni italiane o maltesi libere per poi effettuare il salvataggio.
Però se continuano la navigazione vuol dire che hanno il motore e non trovano il mare mosso che stiamo incontrando noi. È una sorta di “scorta a distanza” sulla rotta per Lampedusa.

Nelle ore successive entrambi i pescherecci non sono raggiungibili e nel giro di poco capiamo che dopo aver dato l’allarme se ne sono andati. Intanto le autorità maltesi continuano a darci aggiornamenti della posizione mentre quelle italiane ce ne danno un’altra. La distanza è di 10 miglia, praticamente un’ora di navigazione a buon passo. La cosa strana è che Malta ci da delle coordinate in che si trovano in acque italiane mentre l’Italia ci da delle coordinate in acque maltesi.

Sembra di giocare a tennis con il Commodor 64, ricordate? Al centro la pallina e ai lati due barre che si muovevano su e giù per rimpallare la pallina composta da pochi pixel.
Solo che quei pixel stanotte sono circa 70 persone e sono su un’imbarcazione piccola al centro del Mediterraneo.

“Mare nostro portali a riva, prima che muoia l’ultima stella, prima del cambio di guardia che non li veda la sentinella”.

Con la Mare Jonio arriviamo nel punto indicato dalle autorità italiane e quindi ancora in zona SAR maltese. A poche miglia dal punto esatto scendiamo di nuovo con il gommone per cercarli ed è come se fosse un deja vù, qualcosa di già visto ma con meno tensione e stanchezza perché nel frattempo si sono fatte le 3 di notte e l’adrenalina di prima non riesce a compensare completamente la stanchezza.

Ci prepariamo e scendiamo di nuovo. L’impressione prima di scendere è che non li troveremo perché Malta sembra più affidabile negli aggiornamenti di posizione e quindi realisticamente sono ancora di poco davanti a noi.

Iniziamo a pattugliare in zona ma a parte qualche lucetta dei pescherecci in giro c’è veramente poco. L’unica speranza che siano praticamente arrivati a Lampedusa e che siano in salvo.
Mentre penso questo vedo davanti a me un fulmine che illumina il mare. Uno spettacolo bello e pauroso al tempo stesso. Come sentirsi piccolissimi in mezzo a quel buco nero in cui stai navigando in 4 in 5 metri di gommone.

“Rhib 1 qui Mare Jonio, rientrate a bordo. Sono arrivati a 2,7 miglia da Lampedusa e la Guardia Costiera italiana li ha salvati e portati in porto”. La notizia lasciava in sospeso qualcosa e il mio cervello in mezzo a quel nulla più totale inizia a pensare a cose brutte.

“Quanti erano? Quanti stanno bene? Sono tutti vivi? Quanti bambini…” ma pochi istanti dopo la radio ripendere a parlare. Beppe Caccia aggiunge: “Stanno tutti bene, tante donne e tanti bambini. Sono tutti in salvo”. L’adrenalina scende e la stanchezza arriva tutta insieme come se mi avessero dato una bastonata sulla schiena.

Il tempo di rientrare a bordo, scambiare alcune parole con Marco, Nello e Elena e poi crollo dal sonno. Sono le 4:30 e le ultime ore sono state dure.

Al risveglio l’umore dell’equipaggio è buono perché nonostante non si sia fatto il soccorso in prima persona abbiamo accompagnato a diverse distanze queste persone per 7 ore. La missione “Mediterranea” nasce anche per questo e stanotte comunque le persone sono arrivate, quel Dio di cui parla la canzone dei Gang li ha accompagnati, protetti, scortati come se davvero fossero tutti suoi figli.

Oggi è il giorno dello sbarco. Si chiude così un’altra missione e un altro diario. A differenza delle altre sapevo che sarebbe stata sperimentale e che avrebbe assunto risvolti differenti ma era importante esserci e raccontare di come la prima nave umanitaria italiana arrivasse a largo della Libia e pattugliasse la zona.
C’è ancora molto lavoro da fare sull’organizzazione e la logistica ma un seme è stato gettato grazie ai tanti volontari e volontarie che hanno lavorato duramente in questi mesi per mettere in mare questa nave.

Ecco il testo della canzone “Marenostro” dei Gang

Marenostro ascolta ti prego
questa notte porta pazienza
c’è una barca in mezzo alle onde
è una barca che porta speranza

Non ha vela e non ha motore
non c’è porto e non c’è faro
ma son tanti lì sopra li vedi
quella barca è il loro riparo

Marenostro guardali bene
sotto i piedi portano il mondo
e negli occhi chissà quanta cenere
quante lacrime avranno sepolto

Sono loro la storia del grano
il fuoco che torna al tramonto
il pane spezzato e diviso
alla fine del giorno
Mare ti prego stanotte
non li affogare
mare nostro mare

Marenostro tu sai chi li guida
è quel Dio che non ha frontiere
che cammina sull’acqua e sul fuoco
e che spezza tutte le catene

è il Dio di tutti i colori
che combatte la fame e la guerra
e per lui nessuno è straniero
come in cielo così come in terra

Sono loro la storia del grano
il fuoco che torna al tramonto
il pane spezzato e diviso
alla fine del giorno
Mare ti prego stanotte
falli passare
mare nostro mare

Mare nostro portali a riva
prima che muoia l’ultima stella
prima del cambio di guardia
che non li veda la sentinella

e la terra non sia galera
né manette né foglio di via
ma sia strada bagnata dal sole
non sia mai strada cattiva

Sono loro la storia del grano
il fuoco che torna al tramonto
il pane spezzato e diviso
alla fine del giorno
Mare ti prego stanotte
falli arrivare

Photo credit Mich Seixas
Settimo giorno – mercoledì 10 ottobre 2018

“Uomo in mare, uomo in mare!” è una frase che tutti abbiamo sentito e letto nei giornali e che purtroppo capita a chi fa pattugliamento e soccorso in mare, soprattutto in questa zona.

Nel nostro caso era solo un’esercitazione per mettere a punto un team nuovo di soccorso della Mare Jonio perché, nonostante stiano lavorando in cooperazione con la Open Arms, è pur sempre la missione 1 di questa nuova esperienza italiana.

L’uomo in mare è Roberto Scaini, medico di bordo con una grande esperienza in zone di conflitto e anche in fase di soccorso in mare. Oggi si è prestato per farci perfezionare i movimenti del nuovo team in cui ci sono Erasmo Palazzotto, deputato che ha partecipato alla missione 47a di Open Arms (quella in cui recuperarono Josefa) , Roberto, un marinaio siciliano con anni di esperienza in mare, Till, un ragazzo tedesco di Sea Watch che ha partecipato a numerose missioni della Ong tedesca e io, che oltre alla missione 47b di Open Arms ho preso parte anche alla missione Mare Nostrum nel 2014.

A coordinare il tutto c’è Ani, la soccorritrice di Open Arms con la quale condivido il turno di guardia notturno sulla Astral. Lei ha brevetti da soccorritrice e mi ha raccontato che a breve vuole prendere anche quello di soccorso in elicottero. Roberto invece, prima di prestarsi come “uomo in mare”, mi racconta un po’ del suo passato e delle missioni per Medici Senza Frontiere dove ha coperto emergenze come quella yemenita, l’ebola in Sierra Leone e quella del Darfour con i campi profughi in Etiopia.

“Quando ti muoiono 6 bambini al giorno per malnutrizione o ti arrivano neonati con le mosche che gli stanno mangiando gli occhi pensi che la vita sia uno schifo e che non ci sia via d’uscita. In Etiopia chi soffrivano di più erano proprio i bambini, arrivavano a piedi insieme agli adulti ma essendo più deboli li vedevamo morire come le mosche senza poter far molto. Il risultato è stato passare da 6 al giorno a 7 a settimana. Uno al giorno, capisci?”

“Poter essere felici per aver messo una toppa su di un problema molto più grande di noi, ti rendi conto? Oppure in Sierra Leone quando avevo solamente  30 posti e dovevo uscire e decidere io chi poteva entrare e chi no. Come lo spieghi agli altri che hai solo 30 posti? Pensi che il mondo possa finire in quel momento ma poi quei 30 guariscono e ti senti un po’ meglio. Però la cosa che più fa male sono i loro occhi che ti si attaccano addosso e non ti mollano più”.

Il pugno allo stomaco arriva secco e lui se ne accorge e cerca di “rimediare” chiedendomi delle missioni a cui ho partecipato e forse il risultato non è quello sperato. Gli racconto degli occhi che ho conosciuto e di quelli che non ci sono più. Di ragazzi morti a 30 anni sotto il fuoco dei cecchini israeliani e gli racconto degli occhi di quel ragazzino di 15 anni che la notte del 2 agosto mi si sono attaccati addosso durante il soccorso di un gommone al largo della Libia e che mi hanno fatto piangere solamente 36 ore dopo.

Gli mostro quella foto e il magone diventa condiviso e con uno slancio di leggerezza dice: “Alla fine siamo fortunati. Viviamo cose forti che fanno male ma che altre persone non possono vivere. L’importante è raccontarle, ma non sempre trovi chi ti sta ad ascoltare. Guarda qua, siamo in mezzo al niente a pattugliare il nulla. Siamo una sorta di Don Chisciotte, però un pizzico di follia ci vuole”.

È vero, siamo così e ognuno con il suo ruolo partecipa a questa follia.

L’esercitazione è andata bene e Roberto è stato recuperato più volte in diverse situazioni facendo anche resistenza come purtroppo accade quando i migranti pensano che le navi da soccorso siano libiche e non europee.

In serata arriva una notizia politica che sembra secondaria ma non lo è: il ministro Moavero ha detto che “la Libia non può essere considerata un porto sicuro” e questo potrebbe rappresentare un punto di svolta nella politica del governo italiano. Se si pensa che solo ieri il Ministro dell’Interno ha ringraziato la Guardia costiera libica per aver “soccorso” due gommoni in mare la volta è netta e apre nuovi scenari, soprattutto in fase di soccorso quando il coordinamento di soccorso marittimo di Roma rimanda a Tripoli in quanto “autorità competente”.

Forse siamo davvero dei Don Chisciotte che invece dei mulini a vento combattono contro dei nemici intangibili al di la del mare che si chiamano trafficanti spietati e militari libici.

Sesto giorno – martedì 9 ottobre 2018

mediterranea nave migranti

1.300 sbarchi sulla rotta Marocco-Spagna, 220 a Malta soccorsi dalla Guardia Costiera dell’isola al centro del Mediterraneo.

Gli sbarchi ci sono ma si sono spostati di rotta e questo conferma che è un fenomeno mondiale e europeo che non possiamo pensare di fermare con qualche muro sparso tra mare e terra.

“Ao, ma che bombardano?”, è la domanda che mi viene spontanea al secondo tracciante che vedo e soprattutto alla prima esplosione.

La direzione è nord quindi in pieno mare aperto ma i lampi delle esplosioni sono incredibili. Ricordo di aver letto uno degli avvisi che arrivano attraverso il sistema Navtex nel quale si diceva che di notte ci sarebbe stata un’esercitazione militare e a quanto pare è proprio questa.

Per un’ora guardo questi lampi e mi sembra tutto assurdo, proprio come nel film che mi diceva Ani ieri, ma al tempo stesso mi dà la possibilità di ragionare su quanto sia militarizzato questo mare che pensiamo molto pacifico.

Ad ogni angolo si combatte una battaglia a bassa intensità per il controllo del petrolio e le flotte militari sono una costante consolidata. Vedere questa esercitazione in mezzo al mare risulta assurdo ma non posso far a meno di guardarla fissa fin quando la rotta me lo consente.

Chiacchierando finiamo a parlare di quando la guardia costiera libica ha sparato alla Astral e di quando alcuni “Signori della guerra” della Libia hanno provato ad intimorirla.

La Ong Open Arms è quella accusata di maggiori contatti con i libici e i trafficanti perché si è sempre spinta vicino alla costa libica dove i soccorsi erano più necessari.

“Possibile che oggi non abbiamo incontrato nessuna barca in tutto il giorno?”, chiedo al Comandante Riccardo Gatti. In realtà mentre dico la frase mi viene in mente proprio l’esercitazione notturna e la militarizzazione dell’area e penso che le due cose possano essere collegate.

Un giorno interno di pattugliamento più della metà del quale passato sul tetto del ponte per avere qualche metro di visibilità in più. All’orizzonte solo uccelli, pesci e migliaia di meduse che negli ultimi mesi hanno invaso il Mediterraneo infestandolo.

È chiaro che la frustrazione è grande e che anche con gli altri membri dell’equipaggio cerchiamo di capire cosa stia succedendo ma è chiaro che dalla Libia tutto sembra fermo. Insieme alla nave italiana Mare Jonio stiamo pattugliando un vasto pezzo di mare cercando di essere sulle rotte “tradizionali” anche se sappiamo che negli ultimi mesi tutto è cambiato e non poco.

L’ultimo soccorso che ha fatto la Proactiva Open Arms è stato quello del 2 di agosto quando io ero a bordo e da lì ci sono stati solamente due soccorsi di Aquarius e tutti molto più a nord.

Con questa situazione ostile il pattugliamento diventa fondamentale e anche tenere alto il livello d’attenzione.

“Vale, ci fai vedere i tuoi video della missione di luglio e agosto?” mi chiede Riccardo e in pochi minuti organizziamo una piccola proiezione per spiegare ai colleghi de La Repubblica e di Avvenire quali sono le fasi del soccorso e come bisogna muoversi.

In questi casi i video sono la cosa migliore perché ti fanno capire le diverse tipologie di intervento e come bisogna procedere in ciascuna di esse. Loro non prenderanno parte al soccorso ma lo racconteranno dal ponte della Jonio ma sapere come muoversi e cosa faranno i soccorritori è fondamentale.

Il tramonto ci regala una luce spettacolare e non appena si fa buio in lontananza si vedono le luci di Tripoli. Stanotte il mare è mosso ma noi siamo vicini, molto. Vedremo se stanotte può essere quella giusta.

Quinto giorno – lunedì 8 ottobre 2018
mediterranea nave migranti
Credit: Valerio Nicolosi

“Ma ti rendi conto di quanto sia assurda questa situazione? Se non fossimo abituati a questo sembrerebbe un film di spionaggio!”.

Me lo dice Ani, una delle persone più in vista della Ong “Proactive Open Arms”, famosa per i suoi capelli blu e gli occhi azzurrissimi, quasi di ghiaccio.

Con Ani ci siamo conosciuti a luglio nel porto di Maiorca quando, proprio come capo missione, stava rientrando dal salvataggio di Josefa, la donna nigeriana rimasta in mare 48 ore senza cibo e acqua ma con tanta fede in Dio tanto da pregare ininterrottamente fino a poco prima dell’arrivo della nave spagnola.

Ani doveva ripartire con me e il resto della missione ma “quel salvataggio fu peggio di tanti altri fatti con tante persone morte. Quegli occhi non te li togli di dosso”.

Effettivamente anche io la notte successiva a quel soccorso non sono riuscito a dormire e ricordo esattamente come la mattina chiesi di imbarcarmi e pochi giorni dopo conobbi proprio Ani, Riccardo e quella che è diventata la “famiglia di Open Arms”.

“Sono le 4.30 del mattiamo, siamo in due al timone e siamo in mezzo al Mediterraneo, nel buio più totale, attorno a noi ci sono solamente i fuochi delle piattaforme petrolifere libiche con a bordo le loro milizie e poco fa abbiamo avvistato una nave militare e abbiamo detto: ‘Ah, una nave militare, tutto ok!’. Se lo racconti a qualcuno o pensa che siamo matti o pensa che sia una film”.

Come darle torto! Non si tratta di film o meno, si tratta di vivere una situazione poco normale a cui ti abitui dopo alcune notti passate qui. Quello a cui non mi sono abituato e credo a cui non mi abituerò mai è la bellezza della via lattea vista da qui e a quella maledetta frase: “Sono arrivati prima i libici”.

Mi chiede di Gaza e di come possa essere poco “interessante” la questione palestinese per la gran parte delle persone. Lei è stata a Lesbo per molto tempo e ogni 15 giorni cambiava un mediatore per i siriani.

Molti di essi erano siriano-palestinesi e alcuni arrivavano direttamente dalla Palestina e quello che le hanno raccontato lo trova assurdo, soprattutto per la “normalità” in cui raccontavano l’occupazione israeliana e come vengono tolte le case e la terra ai palestinesi.

La guardia iniziata alle 3.00 finisce alle 6.15 e questo non aiuta la stanchezza accumulata.

Sulla Astral questa notte siamo in troppi perché manca una delle navi di appoggio e quindi non resta che buttarmi a terra con un lenzuola e usare la felpa come cuscino.

Alle 7:30 la nave è in piena attività e oggi c’è molto da fare a bordo della Jonio, quindi faccio finta non essere stanchissimo e insieme agli altri inizio tutte le procedure per passare da una nave all’altra in piena sicurezza.

“Vedi la bandiera, dovrebbe essere l’aereo SAR spagnolo”, dice Riccardo Gatti mentre lui è al timone e si sta avvicinando un aereo militare. “È un Hercules spagnolo… Viene proprio sopra di noi”.

In realtà alla fine di giri ne ha fatti tre e tutti a bassa quota. Il motivo non è ben chiaro ma di sicuro c’è che se ha trovato altre barche (a parte la nostra) a noi non è arrivata nessuna comunicazione.

La “Mar Jonio”, vista dalla gommone, è un classico rimorchiatore con l’aggiunta a poppa di una cabina/ospedale e una struttura di ferro che servirà proprio oggi a stendere un tendone grazie al lavoro dei tanti attivisti che sono a bordo delle imbarcazioni di questa flottilla.

Marta, Giulia, Mario, Alvise e altri sono tutti giovani attivisti che invece di passare l’ultimo momento caldo della stagione in vacanza hanno deciso prima di lavorare sodo nel porto di Augusta per allestire la nave al meglio e ora continuano a farlo in mare con noi.

Alcuni sono del centro sociale Esc di Roma mentre altri sono dell’associazione Ya Basta! A bordo con noi c’è anche Maso Notarianni, una vita nel sociale tra Emergency e Arci e che in questa missione risulta fondamentale per il suo ruolo di vice Skipper e factotum a bordo vista la sua grande esperienza.

Sono proprio loro a stendere e fissare il telone che va a ricoprire il ponte di poppa che permetterà alle persone che recupereremo in un eventuale soccorso di non essere esposti direttamente al sole. In realtà una parte importante del lavoro la stanno facendo anche le Ong Sea Watch, direttamente a bordo della Mare Jonio e Proactiva Open Arms con l’equipaggio della Astral.

Fare un soccorso in mare è qualcosa di molto difficile e non si improvvisa, quindi anche per il futuro il personale che ha esperienza sta formando quello con meno esperienza. Quello che è certo è che nessuno andrà sui gommoni di salvataggio senza essere pronto per farlo anche se poi non si è mai pronti e la storia di Ani e del soccorso di Josefa ce lo insegna.

Nel tardo pomeriggio si redistribuiscono gli equipaggi. A bordo della Astral restiamo io, Marco Mensurati di Repubblica, Nello Scavo di Avvenire, la scrittrice Elena Stancanelli che sta tenendo un blog per Repubblica e Mich Seixas, che si trova qui per produrre foto direttamente per la missione. Tutti gli altri tornano sulle navi d’appoggio e il saluto è come una separazione.

Utilizzando la lingua dell’Astral ci diciamo: “Cuidado!”. Navigheremo a poche miglia di distanza ma comunque questi giorni avevano creato un equipaggio affiatato e si sa, in questi momenti i saluti sono sempre difficili! La giornata ha il tempo di regalarmi solo un ultimo giro sul gommone attorno all’Astral.

Oscar Camps è il pilota e non si risparmia sulla velocità. Approfittiamo per fare un check per un eventuale soccorso notturno e io approfitto per fare delle foto a questo fantastico veliero che è stato prestato da un ricco imprenditore italiano alla Ong.

Stanotte forse faremo qualcosa o forse no. Continuiamo ad essere pronti all’azione.

Quarto giorno – domenica 7 ottobre 2018
mediterranea nave migranti
Credit: Valerio Nicolosi

“C’è un target a 120 miglia da voi, noi siamo a 70 miglia e stiamo arrivando”. Tradotto vuol dire che noi siamo su di una barca a vela che non arriverà mai e che la Mar Jonio e la Astral stanno andando dove c’è un gommone alla deriva.

Ovviamente la frustrazione professionale è molta, ma in quel momento la speranza più grande è che arrivino in tempo per poterli salvare.

Seguono ore concitate in cui cerchiamo di capire cosa stia succedendo, ma le comunicazioni sono difficili ma all’improvviso arriva la comunicazione: “sono arrivati prima i libici, li hanno intercettati e riportati in Libia”.

Questa è al frase che ormai troppe volte ho ascoltato ma che ogni volta fa male come una pugnalata. Ripenso a Mohammed, Khaled e agli altri ragazzi del gommone soccorso la notte del 2 agosto scorso e ricordo che quando arrivammo, pensando che fossimo libici, preferirono buttarsi in acqua rischiando di morire invece che tornare in Libia.

Riesco a dormire poco e penso a quante persone si siano buttate in acqua e a tutte le altre tornate in Libia come se fosse il monopoli quando si pesca la carta “Ripassare dal via”.

Le prime luci dell’alba mi sorprendono ancora con questi pensieri ma l’avvicinamento di Astral alla nostra barca e lo spostamento di parte dell’equipaggio a bordo della nave della ONG Proactiva Open Arms è quasi un momento di festa.

Io ho la possibilità di abbracciare di nuovo Riccardo Gatti. Poche settimane fa in una cena a Roma ci eravamo promessi di riabbracciarci in mare e così è stato.

Da questo momento Astral sarà la nostra base e quotidianamente saremo a bordo della Jonio per raccontare questa “flottilla umanitaria”.

“È bellissimo, te lo consiglio!”, mi dice Riccardo mentre sfoglio “Autobiografia di una rivoluzionaria” di Angela Davis.

In realtà l’ho letto un annetto fa e anche a me piacque molto. Iniziamo una bella chiacchierata insieme agli altri su come le lotte sociali siano cambiate e su quanto sia importante oggi essere presenti in mare a testimoniare ed essere una piccola goccia che argina questa strage continua a poche miglia da casa nostra.

“Circa 120 persone in un gommone, posizione N34° 30′ E 013° 02’”. La guardia costiera maltese manda questo avviso pochi minuti dopo essere saliti sulla Jonio e aver incontrato per la prima volta l’equipaggio.

L’adrenalina sale, calcolando i tempi sarà un recupero notturno e quindi non facile. Ognuno pensa a quello che dovrà fare nelle prossime ore. Per me il primo pensiero va alle batterie della macchina fotografica e della videocamera.

Ne ho a sufficienza per alcune ore d’operazione in mare e poi in coperta della Jonio.

Iniziamo a mettere a punto le ultime cose del gommone quando arriva la comunicazione della Guardia costiera maltese che quel messaggio d’emergenza era stato già risolto la mattina stessa.

A quel punto lo sgomento è inevitabile. Perché Malta invia un messaggio generale di soccorso ad un gommone attorno alle 17 del pomeriggio quando la mattina stessa aveva già risolto il problema?

Io non amo il complottismo ma, come altre volte è successo e di cui sono stato testimone (come nel caso della Asso 28), alcune “chiamate” sembrano fatte di proposito per sviare le navi di soccorso umanitario.

Questa è un guerra fredda che si sta combattendo a colpi di sequestri di barche, denunce e annunci in cui si dice che dalla Libia non stiano partendo più barconi mentre questi due casi in poche ore dimostrano il contrario.

Il fatto è che non ci sono navi umanitarie in mare e quindi nessuno può denunciare quello che avviene, salvo poi piangere lacrime di coccodrillo quando in superficie affiorano corpi di persone affondate.

Psicologicamente è un brutto colpo ma come sempre le missioni in mare sono così. Non si deve essere pronti solamente al recupero delle persone in mare ma anche a tutto quello che c’è attorno.

Rientriamo sulla Astral e, mentre ci organizziamo per le cabine e i turni, Riccardo mi chiede: “Chi è che fa il turno 03-06?” effettivamente ancora non abbiamo deciso perché è il peggiore di tutti ma visto che siamo ospiti mi sembra davvero brutto dirlo e così rispondo spontaneamente: “Yo, no te preocupes”. “Bien nos vemos a las 3”. Meglio andare a dormire che la giornata è stata lunga.

Terzo giorno – sabato 6 ottobre 2018

Il battesimo della Burlesque avviene dopo neanche 24 ore di navigazione quando incrociamo una piccola barca di legno con 12 persone a bordo. Ci dicono che vogliono arrivare a Lampedusa e che hanno un secondo motore, cibo, acqua e benzina sufficiente per arrivarci.

Proviamo a spiegargli che il meteo non sarà buono e che la notte precedente ci siamo lasciati alle spalle una bufera che anche noi abbiamo faticato a passare con serenità, ma la risposta è decisa: “Abbiamo lasciato quel poco che avevamo sapendo a cosa andavamo incontro, non vi preoccupate”.

Questo nella testa di chi è in mare per salvare le persone può diventare un cortocircuito difficile da risolvere, ma credo che l’autodeterminazione delle persone viene prima di tutto e dopo aver comunicato con il MRCC di Malta (il centro che coordina la zona SAR maltese) per un eventuale soccorso in caso di bisogno, decidono di ripartire.

I visi delle persone a bordo non sono quelli che ho incontrato in passato. Hanno piccole reti a bordo e sono tutti ragazzi tra i 20 e i 35 anni, gente in forza che scappa dalla povertà assoluta, talmente povera da mettere a repentaglio la propria vita anche quando il rischio è così concreto.

Effettivamente la nottata precedente non è stata il massimo, da quando siamo partiti fino a mezzanotte il mare è stato molto mosso e soprattutto avevamo il vento contrario. Nonostante la “Burlesque” sia una barca a vela da 15 che tiene bene il mare, è stata dura per molti di noi (anche per me) tanto che la xamamina è stata per molti l’unico pasto consumato.

“Cado!” è l’unica parola che riesco a dire mentre rischio di cadere dal letto posizionato nella parte alta della cabina. Con una mano riesco a reggermi all’armedietto accanto a me e inizio ad aspettare che la barca torni in posizione retta, ma a quanto pare abbiamo “sbandato” in modo permanente, tanto che mi arrendo e scendo dal letto dopo 10 minuti di equilibrio precario.

Il cielo è sorprendentemente stellato e uno spicchio di luna ci illumina da est. La via lattea è sempre bella, ma ogni volta che la si vede in questo modo lo è ancora di più. Mi ero dimenticato di quante stelle ci fossero nella galassia e di quanto piccoli ci si possa sentire su 15 metri di barca al centro del Mare Nostrum.

Non poter dormire diventa da punizione a spettacolo e il momento dell’alba è tutto ancora più bello con la luce calda che riscalda noi e il cielo. Si chiacchiera e ci si racconta. La barca che è stata definita “dei centri sociali” dal Ministro dell’Interno italiano, ma su questa barca ci sono professionisti del mare, studenti universitari, lavoratori che hanno preso le ferie per poter essere d’aiuto in questa missione che sta tentando di rilanciare la solidarietà nei confronti dei migranti.

Non sarà facile, credo. Le migrazioni sono diventate qualcosa di molto divisorio.

Secondo giorno – venerdì 5 settembre 2018

mediterranea nave migranti

“Sta per partire una nuova missione umanitaria in mare ed è la prima volta che una nave batte bandiera italiana. Vorremmo che la documentassi tu, che ne dici?”.

“Solo se posso partecipare alle operazioni di recupero dal gommone, ci state?”. “Affare fatto!”

In questa breve conversazione avuta con un amico c’è la sintesi del perché io mi trovi a bordo di questa nave. Da un lato la voglia di rilanciare la battaglia per salvare le vite in mare dopo che le Ong sono state decimate da blocchi amministrativi spesso pretestuosi che hanno impedito alle navi di svolgere il proprio compito, non ultima la bandiera di Panama tolta all’Aquarius.

Dall’altra la voglia di tornare in prima linea sul gommone dopo le esperienze fatte sulla Open Arms e sulle navi militari italiane. Essere sul gommone lanciato a 35 nodi verso un target ti dà l’adrenalina dell’azione e l’idea di essere utile.

Unire il proprio lavoro a qualcosa di utile è qualcosa di straordinario che tutte le persone dovrebbero provare.

A Pantelleria arrivo per primo insieme a Maso Notarianni e Nello Scavo, rispettivamente Arci e il quotidiano Avvenire: atterriamo in questa splendida isola a poche miglia dalla Tunisia che nessuno di noi ha mai visto e che in questa stagione regala panorami bellissimi.

Piano piano l’isola si riempie di tutti i componenti dell’equipaggio. La cosa bella è che sono tutti ragazzi e ragazze giovani che hanno scelto di fare il volontari in questa missione. Essere partigiani, ovvero persone che parteggiano e che decidono di fare una scelta, oggi vuol dire anche andare in mare per salvare le persone.

La questione dei migranti è diventata centrale e anche se oggi sembra essere controproducente da un punto di vista elettorale, questo non può influenzare negativamente le persone che vogliono essere utili e che pensano che la solidarietà sia un valore e non un crimine.

Dopo due giorni d’attesa e preparazione siamo pronti a salpare. A mezzanotte e mezza del 4 ottobre riceviamo l’ok da parte di tutti i capitani delle navi. Astral, Mar Jonio, Burlesque e Juna si incontreranno in zona SAR per effettuare l’operazione di pattugliamento e recupero.

“Dobbiamo stare attenti, il mare è troppo grosso per queste barche a vela” ci dice Riccardo, lo skipper spagnolo della barca su cui mi trovo. Ha optato di scendere sotto costa della Tunisia per poter evitare i venti che avrebbero messo a dura prova il nostro albero.

Così, mentre la Mare Jonio esce da Augusta, noi a mezzanotte proviamo ad uscire con le due barche a vela di supporto. Purtroppo a poche miglia dal porto la Juna ha un problema al timone e dobbiamo rientrare.

Un incidente di percorso che influisce sul morale ma che di fatto rallenta solamente di poche ore la nostra missione. La Juna resterà a terra per il momento mentre noi stavolta siamo pronti a salpare.

Stavolta non sarà facile, questa esperienza parte in salita e abbiamo bisogno di tutte quante le persone coinvolte in questa operazione. Io sarò nel gommone di salvataggio ma navigare in flotta e pattugliare in queste condizioni non sarà uno scherzo. Noi comunque siamo pronti.

Primo giorno – giovedì 4 ottobre 2018

“Monitoraggio, testimonianza e denuncia della drammatica situazione che vede costantemente donne, uomini e bambini affrontare enormi pericoli nell’assenza di soccorsi, nel silenzio e nella complice indifferenza dei governi italiano ed europei”. Sono queste le motivazioni che hanno spinto diverse associazioni e ONG a iniziare una nuova avventura nel Mediterraneo Centrale con la nuova missione “Mediterranea”, la prima con una nave battente bandiera italiana.

Arci nazionale, Ya Basta di Bologna, la ONG Sea-Watch, il magazine online I Diavoli e l’impresa sociale Moltivolti di Palermo e alcuni parlamentari di Sinistra Italiana tra cui Nicola Fratoianni e Erasmo Palazzotto, già presenti nelle ultime missioni di Open Arms, tra cui quella in cui recuperarono Josefa, la donna nigeriana trovata dopo 48 ore in mare alla deriva con due cadaveri. 

Dopo mesi in cui la sinistra istituzionale e non è stata messa all’angolo sul tema dei migranti, questa operazione è una controffensiva in piena regola in cui la nave che batte bandiera italiana vuole essere lo strumento per scardinare il piano di Salvini che negli ultimi mesi ha vietato l’attracco alle barche straniere che fanno recupero e soccorso.

Una sorta di sogno che la sinistra italiana corona dopo anni in cui il protagonismo in mare è stato di navi spagnole, francesi e nord europee ma che in questo momento con l’Aquarius a cui è stata tolta la bandiera da Panama su pressioni internazionali, la Sea Watch ferma a Malta, la Open Arms reindirizzata nel sud della Spagna per il fronte marocchino che si è aperto negli ultimi mesi a causa dell’instabilità in territorio libico e la Iuventa ancora sotto sequestro, l’operazione Mediterranea vuole essere il nuovo punto di riferimento nel pattugliamento in mare insieme alla “Astral”, il veliero della Proactiva Open Arms comandato dall’italiano Riccardo Gatti. Ed è proprio con loro che si pensa di organizzare una “flottilla umanitaria” nella zona SAR libica. 

Il rischio di un nuovo “caso Diciotti” è forte e gli organizzatori ne sono consapevoli, ma è proprio la contraddizione di una nave italiana a cui non viene consentito lo sbarco in un porto italiano che potrebbe far scoppiare un nuovo caso che politicamente potrebbe andare a vantaggio della Mediterranea. 

• I diari di Valerio Nicolosi per TPI.it dalla nave Open Arms e dalla Striscia di Gaza.

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