Caporalato, cos’è e cosa prevede la legge del 2016
Paghe basse, anche inferiori ai due euro all’ora, per raccogliere pomodori nei campi sotto il sole cocente dalle prime ore del mattino fino alla sera: queste sono le condizioni di lavoro nella realtà del caporalato, il fenomeno illegale dello sfruttamento dei lavoratori agricoli.
Sabato 4 e lunedì 6 agosto 2018, nella provincia di Foggia, in Puglia, si sono verificati due incidenti stradali che hanno provocato in totale la morte di 16 persone. Le vittime erano tutti cittadini stranieri che tornavano dai campi dopo aver raccolto pomodori e che viaggiavano a bordo di un furgone assieme ad altri compagni di lavoro.
Il procuratore di Foggia Ludovico Vaccaro, che sta indagando sull’incidente, ha rilasciato un’intervista a TPI.it in cui racconta: “Ne ho viste tante nella mia vita, ho visto i morti ammazzati, sparati, però, vedere tutti quei corpi, 12 persone più due feriti, all’interno di questo furgone, stipati, con mani e braccia spezzate, mi ha sconvolto. Alcuni erano molto giovani, sembrava una scena da girone infernale dantesco”.
Ma cos’è il caporalato e cosa è cambiato per i lavoratori e per i datori di lavoro con la legge approvata?
Cos’è il caporalato?
L’espressione “caporalato” indica l’intermediazione illegale tra lavoratore e datore di lavoro. I caporali sono coloro che reclutano manodopera per impiegarla presso terzi in condizioni di sfruttamento. Il fenomeno interessa prevalentemente il settore agricolo, ma può registrarsi anche nell’edilizia.
Secondo il rapporto Agromafie e Caporalato, pubblicato a maggio 2016 dall’Osservatorio Placido Rizzotto del sindacato Flai-Cgil, esistono diverse figure di caporali. C’è ad esempio quella del “caporale lavoratore”, anche detto “caponero”, che organizza le squadre e si occupa del trasporto; quella del “caporale tassista”, che si limita a gestire il trasporto; e quella del “caporale venditore” che organizza le squadre e impone la vendita di beni di prima necessità, in alcuni casi fornendo anche l’alloggio.
Esistono anche il “caporale aguzzino”, che utilizza la violenza sistematica, la sottrazione dei documenti e impone condizioni di alloggio indegne; il “caporale amministratore delegato”, che gestisce per conto dell’imprenditore l’intera campagna di raccolta con l’obiettivo di massimizzare i profitti attraverso pratiche illecite; e il “caporale mafioso” colluso con la criminalità organizzata.
I lavoratori sono in genere persone che si trovano in difficoltà economica o stranieri senza il permesso di soggiorno. In media vengono obbligati a lavorare dalle otto alle dodici ore al giorno e retribuiti con paghe fino al 50 per cento inferiori rispetto a quelle stabilite dai contratti di lavoro nazionali.
Non godono dei diritti garantiti da un regolare contratto e dalla legge, come periodi di ferie o malattia. Inoltre, il 60 per cento di coloro che lavorano sotto caporale non ha accesso ad acqua o servizi igienici.
In Italia il fenomeno coinvolge almeno 400mila lavoratori sia italiani che stranieri. È stato riscontrato in diverse aree del paese e in settori dell’agricoltura anche molto diversi tra loro.
La diffusione del caporalato ha visto un aumento costante negli ultimi anni, parallelamente alla crescita del lavoro irregolare nell’agricoltura.
Secondo i dati dell’Istat, negli ultimi dieci anni questo tipo di occupazione è cresciuto di circa il 23 per cento, quasi il doppio rispetto alla media degli altri settori economici nazionali (circa 12,8 per cento). Le ragioni di un tale aumento sono legate sia alla crisi economica sia al flusso migratorio, fonte di manodopera a basso costo.
Le ispezioni condotte tra gennaio e settembre 2015 dal ministero del Lavoro sulle imprese agricole hanno rilevato irregolarità in circa metà delle imprese controllate.
Cosa è cambiato con la legge del 2016?
La legge 199 del 2016 per il contrasto al caporalato riscrive il reato, con la possibilità di condannare non solo il caporale ma anche il datore di lavoro che impiega personale reclutato dai caporali.
Il testo, presentato su impulso dell’allora ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dell’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, mira a contrastare il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori agricoli.
Il caporalato, prima della legge contro il caporalato del 2016, era già punibile in base al codice penale e in particolare all’articolo 603-bis (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro). Tuttavia, la legge 199 modifica alcuni aspetti della disciplina come la fattispecie del reato, vale a dire la descrizione del comportamento punibile, e l’entità della pena.
Inoltre, mentre la disciplina precedente disponeva che per essere punibile il caporale dovesse utilizzare comportamenti violenti o intimidatori, spesso difficili da provare, la legge approvata nel 2016 può essere applicata anche ai casi che prescindono da questi atti.
Il caporale sarà punito con la reclusione da uno a sei anni e con una multa da 500 a mille euro per ogni lavoratore reclutato. La detenzione può arrivare a otto anni se viene usata qualche forma di violenza o minaccia (in questo caso la sanzione rimane uguale a quanto già disposto dal codice penale). La legge prevede anche la possibilità di attenuanti in caso di collaborazione con le autorità.
Si introduce inoltre l’obbligo di arresto per chi viene colto in flagranza di reato e, in alcuni casi, è disposta la confisca dei beni. Si prevede che i proventi delle confische convergano nel Fondo antitratta, cui si attingerà per gli indennizzi alle vittime del caporalato.
La legge stabilisce infine alcune misure di sostegno e tutela del lavoro agricolo. Tra queste vi sono norme in merito alla sistemazione logistica e al supporto dei lavoratori stagionali, ai contratti di riallineamento retributivo e alla Rete del lavoro agricolo di qualità, alla quale possono essere iscritte le imprese agricole più virtuose.
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