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“Picchiato e rinchiuso in carcere da 5 anni, ora lo vogliono morto”: parla l’avvocato del giornalista Shawkan, arrestato per aver fatto il suo lavoro

Immagine di copertina
Credit: AFP PHOTO / KHALED DESOUKI

La storia del giornalista egiziano arrestato mentre documentava il violentissimo sgombero di un sit-in della Fratellanza musulmana

“Mio fratello è forte, è rinchiuso da così tanti anni in una delle peggiori carceri d’Egitto, da innocente, che poteva impazzire, invece ce la farà. Io sento che quando uscirà tornerà a fare il giornalista, perché la macchina fotografica è il suo amore”.

A parlare è Mohamed Abou Zeid, fratello di Mahmoud Abou Zeid, detto “Shawkan”, giornalista egiziano in prigione da 4 anni e nove mesi.

“Mio fratello non si aspettava di essere arrestato mentre lavorava. Stava solo fotografando quanto accadeva in piazza. Per anni ha subito le prevaricazioni della polizia egiziana, le continue ispezioni in cella, le pressioni per confessare crimini mai commessi”, racconta a TPI Mohamed.

Egitto, le elezioni non fermano le sparizioni forzate: dov’è Islam Khalil? In questo articolo la storia di uno dei tanti egiziani spariti. 

Shawkan ha 30 anni, è stato arrestato il 14 agosto 2013 mentre svolgeva semplicemente il suo lavoro: quel giorno si trovava, per conto dell’agenzia fotografica Demotix di Londra, in piazza Rabaa al-Adawiya, al Cairo, a documentare il violentissimo sgombero di un sit-in della Fratellanza musulmana.

Da quasi cinque anni Shawkan vive rinchiuso in una cella di pochi metri quadrati nel carcere di Torah, al Cairo. (All’interno del carcere di Tora, a sud del Cairo, si trova l’ala di massima sicurezza Scorpion, considerata tra le peggiori prigioni d’Egitto, in questo articolo vi abbiamo spiegato come è fatta e cosa accade all’interno).

Ha subito violenze da parte degli agenti di polizia. La sua colpa è quella di aver fatto il suo lavoro. Per lui la pubblica accusa egiziana ha chiesto la pena di morte.

Quando rientro in cella, è tutto sottosopra. I nostri oggetti personali buttati a terra alla rinfusa, i nostri vestiti umiliati come i loro proprietari. Stavolta hanno fatto sul serio, 10 persone a ispezionare una cella di quattro metri per un tre! Continuo a chiedermi: perché? Per caso sono la Guida suprema della Fratellanza musulmana? Per caso sono Ayman al-Zawahiri, il capo di al-Qaeda? No, Zawahiri l’hanno scarcerato anni fa. E allora perché? Perché?”, scrive proprio Shawkan, in una lunga lettera inviata dal carcere nel 2015.

A raccontare la storia di Shawkan c’è anche il suo avvocato, Karim Abdelrady, che ci spiega come in questi anni le udienze del suo processo siano state rinviate per oltre 50 volte.

Nella prima a suo carico, svoltasi il 26 marzo 2016 e immediatamente aggiornata al 23 aprile, sono state elencate le imputazioni a carico di Shawkan, fino ad allora negate all’avvocato difensore, che dunque non ha potuto per oltre due anni e mezzo preparare una linea difensiva.

Le accuse contro di lui sono: “adesione a un’organizzazione criminale”, “omicidio”, “partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane”, “resistenza a pubblico ufficiale”.

Il 28 aprile si è svolta la 62ma udienza del maxi-processo contro 739 imputati iniziato il 12 dicembre 2015 al Cairo. Degli imputati fa parte anche Shakwan, le cui condizioni di salute sono sempre più precarie, in ragazzo soffre infatti di una forte anemia e non riceve le cure adeguate.

“Su di lui pendono ben 12 capi d’accusa e lui non fa che ripetermi che non capisce perché si trovi in prigione da innocente”, racconta l’avvocato.

A sua difesa è intervenuto anche il giornalista statunitense di BuzzFeed Micheal Giglio, che si trovava con Shawkan proprio il giorno dell’arresto.

“Stavo coprendo il susseguirsi degli eventi in Egitto, ero in piazza Rabaa al-Adawiya (…) dalla zona di protezione delimitata dalla polizia, anche Shawkan era con me, stava fotografando gli scontri. Chiedemmo alla polizia di superare la linea di demarcazione per fare alcune foto ma la polizia ci ordinò di restare in quell’area”, scrive il giornalista.

“Sembravano felici di avere giornalisti che immortalavano la scena ma improvvisamente, solo un’ora dopo, un nuovo ufficiale della polizia arrivò e decise di arrestarci, nonostante facemmo loro presente che eravamo due giornalisti”.

“Io e un altro giornalista fummo rilasciati subito, anche con le scuse della polizia. Shawkan rimase in custodia a causa della confusione di massa che ci fu quel giorno”, scrive ancora Michael Giglio.

“Shawkan non fu liberato perché è egiziano”, spiega il suo avvocato.

Prima del suo arresto, a Shawkan è stata diagnosticata l’epatite C e, in carcere, la sua salute è peggiorata rapidamente.

Tuttavia, il 20 maggio 2017, il pubblico ministero ha presentato il rapporto dell’Autorità medica forense sulle sue condizioni di salute al tribunale penale del Cairo.

Il rapporto affermava che Mahmoud Abu Zeid non soffre di alcuna malattia e che ha una salute “molto buona”.

Nella stessa sessione, il giudice ha ordinato un’indagine sulle accuse mosse da diversi detenuti, tra cui Mahmoud Abu Zeid, secondo cui l’amministrazione carceraria li avrebbe maltrattati trattenendo medicine e articoli da toeletta oltre ad aggredirli fisicamente.

La prossima udienza, la n. 63, si terrà il 5 maggio. Sul suo caso è aperto anche un appello di Amnesty Italia che ne segue le vicende da tempo, e che ne chiede la scarcerazione.

 Il 24 aprile Shawkan è stato insignito del premio Unesco per la libertà di stampa.

Il ministero degli Esteri egiziano ha espresso il proprio “profondo rammarico” dopo essere stato informato dell’intenzione dell’agenzia Onu di assegnare il premio al giornalista.

Un portavoce della diplomazia egiziana ha infatti condannato la decisione di assegnare il premio al giornalista, dicendo che l’Unesco “ricompensa una persona accusata di atti di terrorismo e altri reati”.

L’Egitto figura al 161esimo posto su 180 paesi nell’indice World Press Freedom 2017 compilato da Reporters Sans Frontieres.

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