Ebree, musulmane, cristiane: “Abbiamo guidato 30mila donne nel deserto della Cisgiordania per la pace tra Israele e Palestina”
Le artiste Meera Eilabouni e Yael Deckelbaum hanno raccontato dell'imponente movimento di donne di tutte le etnie e religioni
Il 27 luglio 2017, oltre 30mila donne ebree, musulmane e cristiane attraversavano Israele e la Cisgiordania in un lungo cammino per raggiungere Gerusalemme, dando vita a una potente marcia in favore della pace tra Israele e Palestina.
Quelle donne hanno riempito il deserto con voci e canti di pace marciando all’insegna del movimento denominato “Women Wage Peace”.
Il movimento è sorto nell’estate del 2014, durante l’escalation di violenze tra israeliani e palestinesi e l’operazione militare “Tzuk Eitan”, nome in codice con il quale si indica la campagna militare iniziata l’8 luglio 2014 dalle Forze di Difesa Israeliane contro i guerriglieri palestinesi di Hamas.
Il 4 ottobre 2016, donne ebree e arabe si sono riunite nel progetto congiunto “March of Hope”, che sanciva i primi passi di un’idea ancora più grande e potente.
Migliaia di donne hanno marciato dal nord di Israele a Gerusalemme in un appello per la pace. Una chiamata che ha raggiunto il suo culmine il 19 ottobre, in una marcia di almeno 4mila donne, metà delle quali palestinesi e metà israeliane, a Qasr el Yahud (sul Mar Morto settentrionale).
La forza di quel movimento ai suoi albori, che coraggioso ha sfidato barriere religiose e politiche, è stato accolto e supportato dall’artista e attivista israelo-canadese Yael Deckelbaum.
Yael e il suo gruppo The Mothers, composto da dodici artiste di sinistra, destra, laiche, religiose, colone, arabe ed ebree ha accompagnato queste marce con la musica. Le loro impressioni e ispirazioni sono state raccolte in un video clip emozionante, che documenta i momenti più significativi di quel viaggio.
Da quell’unione è nata “Prayer of the Mothers”, la canzone che nel 2016 è diventata l’inno della Marcia della Speranza.
Durante l’ultima grande marcia, Yael Deckelbaum ha conosciuto la giovane artista palestinese Meera Eilabouni, l’ha chiamata sul palco, e insieme hanno cantato, per la prima volta, Prayer of the Mothers, di fronte a migliaia di donne unite per lo stesso intento.
TPI ha incontrato le due artiste che hanno raccontato come si porta avanti un movimento così coraggioso e qual è il ruolo delle donne nel raggiungimento della pace.
Cosa unisce le donne israeliane e palestinesi di Women Wage Peace?
Meera: Siamo uniti dagli stessi propositi, non vogliamo che proseguano più le divisioni tra israeliani e palestinesi, non vogliamo il procrastinarsi delle violenze, chiediamo che i nostri figli crescano al sicuro, che ci siano strade sicure dove andare a giocare. Condividiamo le stesse paure e abbiamo lo stesso desiderio che questa guerra finisca.
Yael: Beh, la prima cosa è che siamo donne, ancora prima delle motivazioni politiche. Ogni donna che ha partecipato alla marcia, israeliana o palestinese, ha avuto un’esperienza che le ha cambiato la vita, ha abbattuto i muri della paura che ci separano e ha permesso la comparsa di un nuovo orizzonte.
Ogni persona toccata da questa energia di guarigione non può fare a meno di ritrovare la speranza. La nostra missione è quella di diffondere questo messaggio, così che sempre più gente possa imparare e capire questo nuovo linguaggio, che trascende lo status della disperazione politica e ci insegna a percorrere un nuovo cammino.
Una marcia pacifica, supportata dalla sola musica, è sufficiente per raggiungere questo obiettivo di pace?
Yael: Le donne senza le bombe e le pistole possono attuare un cambiamento. Le donne, non solo quelle che occupano posizioni di potere, possono fare la differenza.Quando manifesti per ciò in cui credi, anche gli uomini con le pistole e le bombe hanno paura di te. Quel modo di manifestare in pace, fa paura anche ai potenti. Se custodisci una tua verità e se altre persone sono connesse con quella verità, puoi fare la differenza, attuare il cambiamento.
Questo cambiamento deve partire dalle donne, deve sì essere supportato anche dagli uomini, ma è dalle donne che deve cominciare.
Meera: Per settembre stiamo preparando un’altra marcia, che sarà ancora più importante e imponente. I leader dei vari paesi dovranno almeno sedersi a un tavolo e ragionare su una soluzione.
Cos’è la maternità per questo movimento? Nella vostra canzone, voi parlate molto della donna come madre. Ma una donna è solo questo?
Yael: Personalmente non sono una madre, nemmeno Meera lo è. Ma una donna ha delle qualità che vanno al di là del semplice concetto di mettere al mondo dei figli. Le donne sono fatte per dare la vita, per portare la vita, certo non siamo qui solo qui per essere madri. Essere madre, portare la vita, non significa solo mettere al mondo un figlio. Significa ragionare come solo una madre sa fare.
Tutte le religioni parlano di un padre, di un Dio, di un Dio-padre, hanno una forte impronta patriarcale. Dobbiamo inventare un nuovo Dio, ma il punto non è se esiste o meno un Dio, ma come lo immaginiamo. E possiamo finalmente pensarlo come una donna, come un’entità.
Possono le divisioni esistenti tra le religioni fermare in qualche modo i vostri obiettivi di pace?
Meera: Se vieni nel mondo reale, musulmani e cristiani vivono sono sotto le stesse etichette. Noi siamo fratelli, siamo uguali, questa è la mentalità. Tutte le religioni parlano di amore, tutte le siamo qui per insegnare l’amore e per prenderci cura l’uno dell’altro. E questo è ciò che dobbiamo prendere da ogni religione.
Yael: Tutte e tre le più importanti religioni monoteiste parlano dello stesso Dio, ma si accusano a vicenda su ciò che è stato tramandato. Tutte queste religioni in un modo o nell’altro derivano dalla stessa fonte e non dobbiamo dimenticarci che noi siamo persone, non importa quello che accadrà. Queste religioni parlano anche della stessa cosa, del giorno della redenzione.
Se ci atterremo alla fonte primaria dalla quale veniamo, saremo in grado di andare oltre le divisioni, e se c’è un Dio – maschio, femmina che sia – sarebbe molto fiero di questo. Credo che nessuno Dio voglia che i suoi figli stiano soli. Questo è il momento in cui abbiamo l’opportunità di affrontare questa divisione e trovare il modo di superarla, tornare all’origine. Non so cosa succederà, ma questo è l’inizio.
Cosa pensate della marcia del ritorno?
Yael: È molto triste come sono andate le cose, è difficile affrontare questa realtà, come israeliana mi vergogno di come i militari hanno reagito, io credo che dobbiamo fare il possibile per preservare la nostra sicurezza, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere. Dobbiamo fermare le provocazioni da entrambe le parti. È per questo che credo molto nel potere delle donne.
Meera: Da quando è iniziata la marcia del ritorno abbiamo attivato un piccolo presidio di pace, proprio al confine. Alcune persone mi hanno detto che non si sono mai sentite così felici in tutta la loro vita, ed è da loro che sto tornando.