Gli scienziati hanno scoperto che cosa ha ucciso gli Aztechi
Dopo 500 anni è stato identificato il batterio responsabile di una delle epidemie più letali della storia
Nel 1545 scoppiò la misteriosa patologia che in cinque anni uccise 15 milioni di Aztechi, ossia circa l’80 per cento della popolazione della grande civiltà precolombiana.
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Gli Aztechi la chiamavano “cocolitzli”, che in lingua Nahuatl, uno degli idiomi da loro parlati, significava pestilenza.
I malati lamentavano febbre alta e mal di testa e perdevano sangue da occhi, bocca e naso. Tutti morivano nel giro di tre, quattro giorni.
Per circa cinquecento anni gli studiosi si sono interrogati sulla causa dell’epidemia che sterminò la popolazione che abitava l’odierno Messico e parte del Guatemala.
Già all’epoca i medici avevano escluso che si trattasse di malaria o morbillo, dato che i sintomi non corrispondevano, ma nessuno aveva ancora mai individuato la patologia precisa.
Lunedì 15 gennaio 2018 però un gruppo di ricercatori di varie università ha identificato quello che sembra essere il batterio responsabile. Nello studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Ecology Education spiegano che la famigerata cocolitzli era probabilmente una febbre tifoide.
Analizzando il DNA raccolto dai denti di 29 scheletri sepolti in uno dei cimiteri creati per raccogliere le vittime dell’epidemia, gli scienziati hanno trovato il genoma del batterio della salmonella enterica, responsabile di varie patologie tra cui il tifo.
Oggi questo sottotipo di batterio (il Paratyphi C) infetta gli uomini solo di rado, ma all’epoca provocò una delle epidemie più letali della storia, vicina per vittime alla peste bubbonica che nel quattordicesimo piegò l’Europa uccidendo 25 milioni di persone.
Quella che pare quindi essere salmonella enterica colpì gli aztechi solo 20 anni dopo che il vaiolo aveva già fatto almeno cinque milioni di vittime, nel periodo immediatamente successivo allo sbarco degli spagnoli sulle coste centroamericane.
Secondo gli studiosi, il batterio si diffondeva attraverso cibo e acqua infetti, e potrebbe essere arrivato in Messico attraverso gli animali domestici dei soldati spagnoli.
“Abbiamo fatto dei test per ogni batterio patogeno e virus a DNA di cui siano disponibili i dati genomici” ha spiegato al Guardian Alexander Herbig, uno degli autori dello studio.
Il batterio della salmonella enterica è stato l’unico microbo identificato, ma è possibile che alla malattia abbiano contribuito altri agenti patogeni sconosciuti o non più rintracciabili.