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Il governo spagnolo prenderà il controllo della polizia catalana

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Agenti dei Mossos d'Esquadra nella sede dell'Assemblea Nazionale Catalana a Barcellona. Credit: Reuters

L'ordinanza proviene dalla procura territoriale della comunità autonoma e mira a impedire l'organizzazione del referendum indipendentista previsto per il 1 ottobre e dichiarato illegale da Madrid

Il 23 settembre, il capo della procura territoriale catalana, José María Romero de Tejada Gómez, ha ordinato al ministero dell’Interno spagnolo di assumere il coordinamento delle forze di polizia presenti in Catalogna per impedire il referendum sull’indipendenza della regione, previsto per il 1°di ottobre.

L’ordinanza del procuratore territoriale generale prevede che Madrid coordini direttamente le attività non solo della Guardia Civil e della Policía Nacional, ma anche dei Mossos d’Esquadra, il corpo di polizia regionale della comunità autonoma catalana.

A riferirlo è stata l’agenzia di stampa spagnola EFE.

A fronte di questa decisione, il consigliere dell’Interno della Generalitat catalana, Joaquim Forn, in accordo con Josep Lluís Trapero, il capo dei Mossos d’Esquadra, ha dichiarato ufficialmente che il corpo di polizia catalano non accetterà alcun coordinamento del rappresentante dello stato spagnolo con le altre forze di sicurezza.

Lo scontro tra Madrid e Barcellona

Il clima in Catalogna si è fatto incandescente all’avvicinarsi della data del referendum sull’indipendenza voluto dalle autorità della comunità autonoma, nonostante le proteste del governo di Madrid.

Il 22 settembre il ministro dell’Interno spagnolo Juan Ignacio Zoido aveva annunciato, in una nota ministeriale, l’invio di rinforzi che dovevano aggiungersi ai cinquemila agenti di polizia già presenti in Catalogna per “mantenere l’ordine” nella Generalitat.

Nella stessa giornata, il Tribunale Costituzionale della Spagna aveva poi imposto una multa fino a 12mila euro al giorno a tutti i funzionari catalani complici dell’organizzazione del referendum per l’indipendenza.

Inoltre, il 20 settembre la Guardia Civil aveva arrestato 14 persone e proceduto alla perquisizione di diversi uffici del governo di Barcellona. A seguito di queste operazioni, la polizia spagnola era riuscita a sequestrare 10 milioni di schede elettorali necessarie per l’organizzazione della consultazione.

Queste vicende avevano spinto migliaia di persone a scendere in piazza per protestare contro le autorità di Madrid. I catalani hanno infatti manifestato contro le cosiddette “forze di occupazione” spagnole, brandendo striscioni indipendentisti e bandiere della Catalogna.

Proprio in occasione delle proteste, Josep Lluís Trapero, il capo dei Mossos d’Esquadra, aveva chiesto ai propri agenti di non usare la forza contro i dimostranti se non in casi strettamente necessari a garantire l’incolumità degli agenti.

Il corpo di polizia della regione autonoma era stato così accusato di tenere un atteggiamento troppo morbido nei confronti degli indipendentisti.

 

La battaglia per il referendum

Il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, ha definito gli arresti e le perquisizioni avvenute nella regione autonoma come un’imposizione di fatto di una sorta di stato di emergenza.

Puidgemont ha accusato Madrid di aver “violato lo stato di diritto e attuato uno stato di eccezione” in Catalogna, confermando la convocazione del referendum per il 1 ottobre.

Anche la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha criticato la decisione del governo di Madrid di procedere agli arresti, denunciandoli come “uno scandalo democratico”.

Le autorità del governo spagnolo hanno però risposto confermando la legittimità delle operazioni di polizia e dei sequestri di documenti da parte della magistratura, sostenendo che non è stato imposto alcuno stato di emergenza.

“Il governo tutela i diritti di tutti gli spagnoli”, ha detto Mariano Rajoy durante una seduta del parlamento di Madrid. “I giudici si sono espressi contro il referendum e come democrazia abbiamo l’obbligo di far rispettare la sentenza”.

Le autorità catalane erano infatti state avvertite dal governo di Mariano Rajoy di non sfidare la decisione della Corte Costituzionale di impedire la consultazione. “Questo referendum non si terrà” aveva detto il primo ministro.

Il 14 dicembre 2016 il Tribunale costituzionale spagnolo aveva infatti bloccato i piani per il referendum secessionista. La stessa Corte poi aveva sospeso, all’inizio di settembre 2017, la legge regionale che convocava la consultazione.

Inoltre, il procuratore generale della Spagna, Jose Manuel Maza, aveva affermato di essere intenzionato a denunciare i membri del parlamento catalano che non volessero rispettare la decisione della Corte.

I legislatori catalani avevano risposto di essere pronti ad andare in prigione pur di permettere ai cittadini della Generalitat di esprimersi sull’indipendenza. Il procuratore generale spagnolo aveva infatti detto ai giornalisti di aver chiesto alle forze di polizia di indagare su qualsiasi preparativo da parte del governo catalano in previsione del referendum.

Tra le attività sotto indagine figuravano la stampa di volantini elettorali o la preparazione di sondaggi in merito alla consultazione. Insegnanti, funzionari di polizia e amministratori  locali rischiano multe o addirittura la perdita del posto di lavoro, se dovessero rendersi complici delle operazioni elettorali.

Infatti, nonostante il governo presieduto da Mariano Rajoy abbia dichiarato la consultazione referendaria illegale e gli arresti e i sequestri hanno reso il voto più difficile, centinaia di sindaci della regione autonoma e diversi funzionari della Generalitat hanno affermato la volontà di tenere comunque il referendum.

Oriol Junqueras, vicepresidente della Catalogna, ha ammesso che le operazioni di polizia portate a termine mercoledì 20 settembre hanno colpito duramente l’organizzazione del voto.

“È evidente che non potremo votare come sempre, ma con il resto dei miei collaboratori cercheremo di essere responsabili e all’altezza delle circostanze”, ha detto Junqueras.

Nella regione – una delle più sviluppate della Spagna – vivono almeno 7 milioni di persone. Il Pil pro capite della Catalogna è al di sopra della media spagnola, superandola di quasi il 20 per cento.

La Generalitat contribuisce così in modo determinante all’economia nazionale, eppure, a causa dei trasferimenti interni verso il governo di Madrid, Barcellona non riesce a spendere quanto potrebbe per i servizi ai propri cittadini.

Tuttavia, nonostante i sondaggi in merito alla consultazione referendaria siano stati rari, un’indagine statistica commissionata dal governo catalano a luglio 2017 suggeriva come il 41 per cento degli elettori sostenesse l’indipendenza, mentre il 49 per cento avrebbe votato “no” alla secessione da Madrid.

 

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