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Home » Esteri

Violentati e bruciati vivi: vi racconto il destino dei bambini stregoni in Congo

Immagine di copertina

Mario Perez, responsabile del centro Don Bosco di Mbuji-Mayi, spiega a TPI le violenze subite dai bambini congolesi, considerati portatori di sventura, abbandonati in strada dalle famiglie, stuprati e uccisi

Li chiamano enfants sorciers, bambini stregoni. Tacciati dalla società di essere posseduti dal diavolo perché malati, o affetti da disturbi del comportamento, da epilessia o albinismo. La loro colpa è solo quella di essere venuti al mondo.

Sono i figli maledetti del Congo, quelli che nessuno vuole. Nella capitale Kinshasa – secondo le stime fornite dell’antropologo Filip de Boeck durante una presentazione accademica – sono 23mila i bambini accusati di stregoneria. Vivono ai margini di una società che da anni assiste a un violento conflitto civile che non accenna a fermarsi.

Ogni giorno nella regione del Gran Kasai, a ovest della Repubblica Democratica del Congo, donne e anziani vengono picchiati o uccisi, e migliaia di bambini vivono in strada perché vengono abbandonati dalle famiglie che non possono mantenerli o, più spesso, perché accusati di stregoneria e quindi allontanati da casa. Al momento sono più di 30 le fosse comuni ritrovate nella regione.

Da ottobre del 2016 a oggi sono morte almeno 3.383 persone a causa degli scontri tra milizie locali, governo e civili. C’è stato un progressivo aumento delle violenze. Prima le milizie, poi le autorità stesse, poi i civili.

Le violenze e i massacri avvengono quotidianamente, ma è un meccanismo instaurato appositamente per creare disordini e non permettere nuove elezioni, in grado di far traballare la poltrona del presidente Joseph Kabila, al potere dal 2001. Il governo semina il panico per giustificare la propria presenza e a pagarne le conseguenze sono proprio le fasce più deboli, come anziani, donne e bambini.

A tracciare questo quadro desolante è padre Mario Perez, che oggi lavora in un centro Don Bosco per bambini e famiglie che giungono dai luoghi della guerra civile. Il suo ufficio si trova nel capoluogo di Mbuji-Mayi, nella provincia del Kasai orientale, regione del Gran Kasai, dove sono più acuite le violenze.

“Ci troviamo in una città da 3 milioni di abitanti. Un luogo però volutamente isolato, dove le strade sono inesistenti. La povertà è a livelli altissimi, nonostante ci troviamo a vivere sopra un dei giacimenti più ricchi di diamanti al mondo”, dice padre Mario Perez.

Padre Mario Perez ci ha raccontato come si vive e cosa accade ai bambini congolesi considerati stregoni.

Perché alcuni bambini vengono considerati stregoni, cosa vuol dire?

Le accuse di stregoneria rivolte ai bambini si basano su alcuni comportamenti che non vengono compresi, e che non sono quindi ritenuti socialmente accettabili: casi di sonnambulismo, albinismo, o deformità fisiche. A loro vengono imputate le piccole o grandi sventure quotidiane. Sono chiamati anche serpenti e qualunque cosa succede – da un furto a un incidente stradale – la colpa è attribuita alla loro influenza negativa.

Chi commette le violenze?

Sia i civili che le milizie se la prendono con i bambini che vivono per strada. Le violenze si consumano nelle famiglie, dove i bambini-stregoni vengono stuprati o uccisi, o per strada, per opera delle milizie che li violentano o li bruciano. Nel migliore dei casi vengono abbandonati e accolti dal nostro centro.

 

Una bambina del centro Don Bosco di Mbuji-Mayi scappata con la nonna. Ha perso la madre e il fratello.

Cosa fate al centro Don Bosco?

Prendiamo in custodia questi minori e le famiglie che fuggono dai massacri. Alcuni bambini vengono da soli, altri sono mandati dal tribunale, altri ancora sono solo dei neonati abbandonati. Abbiamo una media di presenza di 200 bambini, dall’inizio del 2017 abbiamo accolto più di 500 bambini. Per i casi di stregoneria cerchiamo anche di farli reintegrare nelle famiglie, ma non è sempre positivo perché i parenti non li vogliono, come nel caso di un bimbo che dovemmo salvare dopo il reintegro in famiglia: i genitori lo avevano legato e lo stavano violentando come rito di purificazione. Per cui è meglio farli restare qui, anche per evitare situazioni in cui esorcisti millantatori provano a “debellare presenze oscure”.

Alcuni bambini del centro Don Bosco: Debora, André, Cianda, Leontina e Jeana con in braccio Cele: sono tutti orfani accusati di essere stregoni.

Cosa dicono i bambini? Qual è il loro stato psicolgico?

Quando arrivano hanno una gran paura di tutto, ma qui c’è un clima familiare, sono accolti e in poco tempo si riprendono, anche quando appaiono senza speranza. inizialmente non vogliono mangiare, ma poi giocando con gli altri bambini ritornano alla vita e dicono “voglio vivere, voglio giocare, studiare”. C’è un bel clima.

Aimée, orfana, viveva in un orfanotrofio ma è stata cacciata via perché considerata strega, ha due tumori. La neonata è Dayana
Un bambino del centro Don Bosco

La situazione in Repubblica Democratica del Congo

Il fenomeno dell’accusa di stregoneria verso i minori ha iniziato a svilupparsi negli anni Novanta, in seguito al proliferare di sette religiose, all’esodo rurale dovuto alle difficoltà economiche e agli effetti devastanti della guerra civile.

La Repubblica Democratica del Congo è governata dal 2001 da Joseph Kabila, divenuto presidente all’indomani dell’assassinio di suo padre, Laurent-Désiré Kabila, a gennaio 2001. Da allora Kabila non ha più voluto abbandonare il potere, nonostante il suo mandato sia scaduto da tempo.

Per legittimare la sua presenza e non indire nuove elezioni, Kabila porta avanti la scusa delle instabilità interne al paese e della scarsa sicurezza.

Sono proprio le sue milizie però a creare disordini e a seminare il terrore tra i civili che scappano dai massacri che si compiono nella parte occidentale del Kasai – regione interna al Congo – terra di spietate conquiste, di corruzione e di concessioni per lo sfruttamento delle aree minerarie che generano affari internazionali miliardari.

In questa regione si consumano attacchi sanguinosi e uccisioni di massa che generano spinte migratorie verso il Kasai orientale e centrale, con tutto quello che questo comporta, in termini di assistenza nei confronti di gente costretta a lasciare tutto ciò che ha.

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