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La vera storia della nave USS Indianapolis

Immagine di copertina
La USS Indianapolis in un'immagine d'epoca

La nave affondata dai giapponesi nel luglio 1945 è protagonista di un film appena uscito nelle sale italiane con Nicholas Cage

Il 19 luglio è uscito nelle sale cinematografiche italiane USS Indianapolis, film del regista statunitense Mario Van Peebles e con l’attore Nicholas Cage. Quella che viene narrata è una storia vera, avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale, ma che seppur poco famosa vale la pena di essere raccontata.

Secondo alcuni, quanto avvenuto alla nave da guerra USS Indianapolis, è una delle più grandi tragedie che abbiano mai colpito la potente marina militare statunitense.

Lo USS Indianapolis era un incrociatore pesante in forze alla marina statunitense, varato nel 1932 e che combatté nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Nel luglio del 1945 ormai in Europa la guerra era terminata e in Giappone era ormai chiaro che l’Impero del Sol Levante sarebbe caduto, ma ancora non si sapeva quando e a che costo per gli Stati Uniti. In quel luglio l’USS Indianapolis si trovava nel mare delle Filippine, aveva da poco combattuto al largo di Okinawa dove aveva subito alcuni piccoli danni da parte di un attacco dei kamikaze giapponesi e si apprestava a una nuova missione: il trasporto dell’uranio di una delle due bombe atomiche che gli Stati Uniti avrebbero poco più tardi sganciato sul Giappone con l’obiettivo di piegare definitivamente la tenace potenza nemica, da portare presso l’isola di Tinian, nelle Marianne.

Il 31 luglio la nave procedeva nel mare delle Filippine con una certa tranquillità, al punto che non le era neanche stato dato l’obbligo di muoversi a zigzag, importante misura di sicurezza per le navi in tempo di guerra. Durante il percorso, però, la nave venne intercettata dal sottomarino giapponese I-58, capitanato da Hashimoto Mochitsura, che lanciò sei siluri contro la nave USS Indianapolis, colpendola.

La nave fu pesantemente danneggiata e iniziò a riempirsi d’acqua, costringendo coloro che tra i 1.196 membri dell’equipaggio non erano morti nell’attacco a cercare di mettersi in salvo quanto prima per non morire annegati. Ma la tragedia di questa nave era appena iniziata.

Come succedeva in questi casi, fu inviato un segnale di allarme che arrivò a tre diverse stazioni, che però per diverse ragioni non intervennero. Il primo capostazione era infatti ubriaco, il secondo aveva chiesto ai suoi collaboratori di non disturbarlo e il terzo lo interpretò come un’azione di disturbo dei giapponesi. Gli uomini della USS Indianapolis rimasero dunque abbandonati a loro stessi.

Circa 900 uomini si erano salvati nell’attacco, e rimasero in mare attaccati ai relitti, in mezzo al carburante tossico della nave che stava invadendo le acque della zona. Nelle prime ore del mattino furono visti da un aereo statunitense cui mandarono una segnalazione, il quale la inoltrò ai superiori che gli dissero di non preoccuparsi “perché era un problema della Marina”, senza però farne seguito.

Gli uomini dello USS Indianapolis rimasero dunque in balia del mare, con pochissime scorte di acqua potabile e carne in scatola messe in salvo dall’affondamento della nave. In breve tempo, molti di loro iniziarono a soffrire di intossicazioni dovute al carburante, disidratazione per la mancanza di acqua potabile, insolazione, attacchi da parte degli squali oltre a casi di follia dovuta alla situazione disperata in cui i superstiti versavano.

Attraverso i relitti, alcuni uomini riuscirono ad organizzare piccole imbarcazioni e cercarono di razionare il pochissimo cibo disponibile.

Il 2 agosto un aereo statunitense che stava facendo normale attività di pattuglia vide i naufraghi e gettò loro alcuni gommoni, per poi avvisare i propri superiori e dare inizio alle operazioni di salvataggio. Quando il 6 agosto gli Stati Uniti lanciarono la prima bomba atomica su Hiroshima, chi nel naufragio della USS Indianapolis non era morto non poteva sapere cosa fosse accaduto.

Solo l’8 agosto alcune navi statunitensi riuscirono a mettere in salvo 316 uomini che da nove giorni erano in mare abbandonati a loro stessi, circa un quarto del totale equipaggio della USS Indianapolis. Il giorno seguente, gli Stati Uniti sganciarono la seconda bomba atomica su Nagasaki, portando così il Giappone alla resa e alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale.

Il comandante della USS Indianapolis, Charles Butler McVay III, si salvò e nel novembre del 1945 finì di fronte alla corte marziale, dove inizialmente fu considerato colpevole di quanto accaduto alla sua nave: l’ammiraglio Chester Nimitz decise però di annullare la sentenza. McVay fu infatti riabilitato perché la sua nave era stata mandata senza scorta, non era stato informato che l’aereo che avrebbe dovuto tenere d’occhio la sua nave era stato abbattuto e perché il comandante del sottomarino giapponese che lo aveva colpito aveva detto che il fatto di non aver zigzagato non era stato determinante per le sorti della USS Indianapolis.

Ciononostante, McVay si vide schiacciato moralmente da chi gli attribuiva le responsabilità di quanto accaduto, e nel 1968 si suicidò sparandosi un colpo di pistola. Solo nel 2000 il Congresso degli Stati Uniti approvarono una risoluzione, firmata dal presidente Bill Clinton, che McVay era da considerarsi a tutti gli effetti prosciolto dalle accuse di responsabilità per il disastro della USS Indianapolis, ponendo fine alla questione.

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