Hanno distrutto anche l’ultimo giardino fiorito di Aleppo
Il suo proprietario, Abu Ward, è rimasto ucciso dopo un bombardamento, e ora nessuno si occupa più delle sue piante e dei suoi fiori
Tra gli edifici bombardati del centro di Aleppo, in Siria, Abu Ward e suo figlio di tredici anni, Ibrahim, erano soliti rilassarsi su un divano sgangherato, dopo una lunga giornata trascorsa a piantare dei semi all’interno di barattoli di latta, dove ben presto sarebbero spuntati dei fiori.
Anche tra i rumori delle bombe che cadono, tra le esplosioni e le devastazioni di una guerra che dura oramai da cinque anni, Abu Ward era convinto che si potessero creare degli angoli in cui la vita continuava, in cui la terra poteva dare i suoi frutti e che permettesse di far crescere delle rose o degli alberi.
Questa era la filosofia di Abu Ward, il cui nome tradotto dall’arabo significa appunto “padrone dei fiori”. Considerato uno degli ultimi venditori di fiori di Aleppo, l’uomo con l’aiuto di suo figlio si prendeva cura di un vivaio-giardino fiorito, offrendo così ai residenti della zona un angolo di tranquillità lontano dalla guerra.
Nato e cresciuto ad Aleppo, da quando era iniziato il conflitto Abu Ward non aveva mai smesso di prendersi cura dei suoi fiori e delle sue piante. Aveva creato così una sorta di giardino-vivaio che, in origine, rappresentò la sua principale fonte di reddito, ma con l’inizio della guerra quel piccolo polmone verde era diventato il suo orgoglio e l’unico spazio in cui regnava la pace.
Come l’aveva sempre definito lui stesso, la sua oasi nel bel mezzo dell’inferno.
L’abbondanza di verde e i colori scintillanti dei fiori che lo animavano e lo arricchivano erano un bel colpo d’occhio per chi arrivava qui e voleva trascorrere un momento di riposo. Per Abu Ward quel giardino era il suo mondo, l’unico dove poter stare.
“Il suono della guerra è come la musica di Beethoven”, aveva raccontato in una recente intervista, mentre le sue mani laboriose versavano della terra all’interno di un vecchio barattolo di latta. “Ci siamo abituati a questa musica, senza di lei non possiamo lavorare”, aveva scherzato l’uomo.
Abu Ward non si allontanava mai dalle sue creature. Con delicatezza accarezzava le foglie verdi di un piccolo arbusto legato a un bastone di legno.
“Questo è stato colpito dalle schegge di una bomba-barile. Ma è ancora vivo, grazie a Dio. Come questo albero è riuscito a sopravvivere, anche noi faremo lo stesso”.
La maggior parte delle persone non si preoccupano di piantare fiori o alberi in tempo di guerra, ma alcuni dei clienti di Abu Ward hanno continuato ad acquistarli con l’intento di piantare i fiori e gli arbusti nelle rotatorie delle strade lì intorno, creando delle piccole isole di vitalità in mezzo alla morte e alla distruzione.
“Per noi creare delle rotatorie abbellite di fiori colorati e verde regala anche un senso alle nostre vite”, ha raccontato uno dei clienti del giardino-vivaio di Abu Ward. “Motiva le persone. Così non vediamo solo la distruzione, ma anche la costruzione di qualcosa. Noi continuiamo a vivere e ricostruire ciò che è stato distrutto”.
Ma questo raro faro di speranza non è durato. Sei settimane dopo l’intervista rilasciata al network americano Nbc News, Abu Ward è stato ucciso sul colpo da una bomba caduta nei pressi dell’oasi verde che si era rifiutato di abbandonare.
Attualmente il vivaio-giardino è chiuso e su quello spazio di verde e di colori sgargianti ora regna la desolazione, segno indelebile di una città continuamente devastata dalle bombe.
Il giovane Ibrahim, devastato dalla perdita di suo padre, non sa che fare. “I fiori ci aiutavano a creare un mondo migliore, ma senza di loro non c’è più bellezza”, ha raccontato fra le lacrime ricordando Abu Ward.
Egli era solito ripetere che i fiori sprigionavano un odore che riempiva il cuore e l’anima, e che questi – con i loro petali e i loro colori – potessero rappresentare l’essenza stessa del mondo.
Il video qui di seguito, di Channel 4 News, racconta la storia dell’ultimo giardino di Aleppo.
Nella foto qui sotto: Abu Ward in compagnia di suo figlio Ibrahim nel loro vivaio-giardino distrutto dalle bombe