Quando parliamo di sorveglianza biometrica di massa è immediato il richiamo alla società orwelliana di “1984”, dove il Grande Fratello controlla tutti i cittadini, o alla narrazione distopica di “Minority Report”, che narra di una società priva di crimini poiché i colpevoli vengono arrestati ancora prima di compiere un reato. Chiave di volta di queste narrazioni è il rapporto tra controllo, tecnologia e sicurezza. Sul tema si dibatte ormai apertamente, soprattutto data l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale (IA) nel campo della sicurezza e alla presenza sempre più massiccia di sistemi di videosorveglianza potenzialmente utilizzabili per il riconoscimento facciale “di massa”.
La posta in gioco è alta, e fino a che punto i soggetti pubblici possano far uso di queste tecnologie è al centro del dibattito in Italia e nell’Ue. Su input del democratico Filippo Sensi (Pd) e con la recente conversione in legge del decreto-legge 139/2021 l’Italia è diventata uno dei primi Paesi a dotarsi di una moratoria sull’uso di sistemi di videosorveglianza con riconoscimento facciale, che sono sospesi fino al 2023. Mentre molto spesso si sentono ragionamenti del tipo: “Ma se non ho nulla da nascondere, che problema c’è?”, in verità il passaggio dalla videoripresa semplice alla sorveglianza biometrica non è una questione da poco. Al contrario, il cambio di rotta su questo aspetto in materia di sicurezza è problematico, in primo luogo per l’impatto su diritti fondamentali, come il diritto all’anonimato e alla privacy. Ne abbiamo parlato con Vincenzo Tiani, dell’Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights…
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