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Molto più che parole: quando la disinformazione sul Covid favorisce il contagio

Credit: Emanuele Fucecchi

Anche quando - oggettivamente parlando - in gioco c’è la vita delle persone, i pregiudizi politici continuano a ridefinire pericolosamente i fatti, minimizzando gli effetti delle misure di contenimento che potrebbero aiutarci ad uscire dalla pandemia. L’atteggiamento dei media e dei nostri rappresentanti giocano un ruolo fondamentale. C’è chi ha provato a misurare gli impatti della disinformazione sulla pandemia e la letteratura scientifica in quest’ambito è sempre più ampia. Abbiamo provato ad approfondire come politici, media, documentari online e fake bot condizionino la salute pubblica.

Di Alessandro Sahebi
Pubblicato il 24 Nov. 2020 alle 15:10

Nell’epoca della post-verità, dove nemmeno il parere di un medico viene considerato autorevole, la disinformazione ha effetti concreti e drammatici sulle vite delle persone. Se infatti il messaggio negazionista copia-incollato da vostro zio su Whatsapp potrà sembrarvi poco più che un gesto ingenuo ma innocuo, lo sono meno le conseguenze, economiche e sanitarie, che inevitabilmente ne derivano quando a veicolare messaggi sbagliati o fuorvianti sono politici e media.

All’estero il fenomeno viene attentamente monitorato e i risultati di diverse ricerche sembrerebbero evidenziare un preoccupante parallelismo tra disinformazione organizzata e contagi, soprattutto quando la prima trova eco nei discorsi dei rappresentanti o nelle colonne dei giornali. Un tweet o una dichiarazione alla sagra della castagna, secondo i ricercatori, pesano molto più di quanto si possa pensare.

Per un pugno di like: quando la politica è rischiosa per la salute dei cittadini
L’uso di dispositivi di protezione insieme ad un distanziamento fisico sono, secondo la stragrande maggioranza degli esperti, uno strumento utile per ridurre la diffusione del virus. Eppure all’autorevolezza dei tecnici si sono opposti spesso i politici che, soprattutto nelle prime settimane della pandemia e questa estate (quando il pericolo era solo apparentemente lontano), non hanno mancato di esibirsi in selfie e bagni di folla senza mascherina, a volte condendo le proprie uscite con slogan volti a minimizzare se non a negare in modo velato la pericolosità del virus.

I leader sono però anche fonte di ispirazione per i propri seguaci e lo scetticismo sull’utilità della prevenzione avrebbe contribuito all’adozione di comportamenti scorretti. Negli Stati Uniti e in Brasile è stato notato ad esempio che nelle aree con maggiore sostegno verso i presidenti in carica, Donald Trump e Jair Bolsonaro (notoriamente minimizzatori del Covid19 e in più casi sbugiardati nelle dichiarazioni in merito), le misure di sicurezza venivano più facilmente eluse o non rispettate dai loro stessi elettori, soprattutto nelle prime fasi della pandemia.

Le ricerche, condotte principalmente durante la prima ondata, hanno dimostrato che nelle aree dove si vota per politici che minimizzano gli effetti della pandemia “le persone cercano meno informazioni sul virus, cercano meno informazioni sui sussidi di disoccupazione e mostrano di adottare meno misure di contenimento”.

Gli studi in merito sono numerosi e in alcuni casi, come in un paper di John M. Barrios della University of Chicago Booth School of Business e Yael V. Hochberg e Rice University & NBER, si arriva a mettere nero su bianco un potenziale aumento di contagi nell’elettorato americano di area repubblicana proprio a causa di una cultura politica che ha voluto inseguire fino alle estreme conseguenze lo scetticismo popolare. La salute è dunque, sul piano politico, barattabile per un pugno di like.

I media: quando lo share veicola il contagio
Anche i media avrebbero una responsabilità diretta nella diffusione del contagio e questa non sarebbe solo data dai palcoscenici concessi ad esperti controcorrente o politici avidi di like. Sebbene in generale i canali mainstream abbiano cercato di usare un approccio quanto più cauto e oggettivo possibile, non sono infatti mancati spazi a chi metteva in dubbio la pericolosità di Covid-19.

Secondo uno studio dell’Università di Chicago dal nome emblematico, Misinformation During a Pandemic, i telespettatori di programmi che si sono dimostrati poco trasparenti sul tema Covid-19 sarebbero più esposti, a causa di processi cognitivi di minimizzazione del problema, a comportamenti superficiali e di conseguenza sarebbero più colpiti dalla malattia e dalla morte.

“In un mondo di “post-verità” e di “fatti alternativi” – spiega il paper – diversi media presentano prospettive sulla realtà divergenti e spesso contrastanti”. A causa di queste differenze, secondo lo studio, l’esposizione contemporanea delle informazioni da parte dei media condiziona alla base i modelli di sviluppo della malattia.

I docu-verità: la millefoglie della disinformazione
A far da padrone nell’ecosistema della disinformazione, tuttavia, è ancora una volta il Far Web. Che le Fake news si diffondano in Internet più velocemente è noto, che i nuovi professionisti della mistificazione si stiano strutturando e diventino sempre più autorevoli lo è meno. Sono infatti numerosi i casi di blogger ed ex giornalisti che si riciclano ad esperti di informazione per creare narrazioni alternative della pandemia: su Youtube, siti e App di messaggistica se ne possono trovare a decine, anche in Italiano.

Il fenomeno dei docu-verità (che di verità hanno poco) sono in crescita e fanno preoccupare gli esperti. Si tratta di ricostruzioni che possono alterare la percezione del pericolo e che fanno leva sull’effetto millefoglie della disinformazione: notizie vere, mescolate con fatti veri ma totalmente decontestualizzati (a cui viene data un’interpretazione strumentale) e a loro volta arricchite di notizie completamente false. Il prodotto è distruttivo e può creare vere e proprie sacche di resistenza alla prevenzione nella società.

Un caso celebre è Hold up, documentario cospirazionista ideato dal giornalista Pierre Barnérias e diventato un vero e proprio caso nazionale in Francia, tanto da spingere esponenti del governo a sconsigliarne la visione. Anche in questo caso l’effetto indesiderato, in uno dei Paesi più colpiti dalla seconda ondata come la Francia, è stato proprio quello di generare un forte sentimento di rancore verso la classe politica e le restrizioni imposte, con effetti prevedibili e se si assume che il pregiudizio politico determini comportamenti meno responsabili.

Il doping sui social sposta le opinioni
Che i social network condizionino i comportamenti nella vita reale oramai è acclarato. La guerra sui social è il più delle volte quantitativa: chi twitta di più, chi ha più like e chi ha più condivisioni vince. Chi vince, lo abbiamo visto sopra, condiziona i comportamenti (anche pericolosi) degli altri. Ci sono numerose ricerche, sviluppate soprattutto ai tempi dell’Ebola, che mettono in relazione le fake news con una maggiore difficoltà di controllo dei comportamenti di prevenzione.

Anche su questo terreno le posizioni sono diverse e ciò che emerge, per esempio da uno studio della Fas (Federation of American Scientist), è una sostanziale regia organizzatrice che promuoverebbe teorie che tendono a minimizzare il Covid. Una di queste, la “via dell’immunità di gregge”, per mesi è stata oggetto di dibattiti a livello internazionale.

L’idea alla base di questa strategia è quella di lasciar circolare il virus velocemente proteggendo le fasce di popolazione vulnerabile. Questa modalità di contenimento tuttavia è stata respinta da molti scienziati per diversi motivi etici e pratici e via via è diventata sempre meno popolare. Tuttavia nel bel mezzo del dibattito si è assistito ad un’attività insolita di bot e account Fake bot (algoritmi che fingono di essere persone reali).

Secondo la Fas in questo caso (ma si presume con facilità anche in altri contesti) il numero di account Fake impegnati nel sostenere teorie che tendono a minimizzare si aggira intorno al 45%. Quasi uno su due.

La disinformazione ha un importante alleato: l’impunità
La disinformazione minaccia la salute perché mina la fiducia nella scienza, mette in dubbio le motivazioni degli operatori di pubblica sicurezza, politicizza le attività sanitarie e crea problemi per le risposte alle sfide della malattia. Eppure sembra che per chi mente non ci siano particolari conseguenze, né in termini di consensi o share, né nelle sedi dei tribunali. Questo perché spesso la disinformazione cerca di catalizzare le paure e i bias delle persone per renderli carburanti di iniziative politiche, innescando fenomeni incontrollabili che possono lacerare a fondo il già debole tessuto sociale dell’Occidente moderno.

La bugia può avere conseguenze molto gravi ma evidentemente, e come è dimostrato sopra, non sono pochi coloro che, pur di strizzare l’occhio alla pancia delle persone, sono disposti a metterne in gioco la vita. La disinformazione non è ingenua né innocua. La disinformazione uccide.

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