«Come padre di due bambine, poche cose mi spaventano di più del cambiamento tecnologico portato avanti senza trasparenza e controllo democratico. Le Big Tech sono creature affascinanti, con la loro capacità di innovare e rendere indispensabili nuovi prodotti e servizi. Ma a causa delle loro dimensioni e delle loro pratiche, come la raccolta illimitata di dati, i modelli di business predatori e gli algoritmi di clickbaiting, hanno messo in trappola le nostre democrazie e le nostre stesse vite». A parlare, in esclusiva per TPI, è Georg Riekeles, condirettore dello European Policy Centre, think tank che si occupa di analisi e consulenza sulle politiche dell’Ue.
Riekeles conosce le Big Tech molto da vicino: dal 2010 al 2014, il commissario europeo per il Mercato interno Michel Barnier, del quale era consulente, gli affidò la responsabilità di occuparsi del mercato digitale comunitario. In seguito, ha coadiuvato lo stesso Barnier nei negoziati per la Brexit, in qualità di consigliere diplomatico. Oltre 12 anni a Bruxelles, molti dei quali all’interno della Commissione europea, e con ruoli di responsabilità nella regolamentazione del settore tecnologico. In pochi hanno avuto una conoscenza più diretta del potere delle Big Tech e della loro capacità di pressione lobbistica sulle istituzioni: «Quando ripenso agli ultimi 20 anni, mi rendo conto che le grandi piattaforme tecnologiche sono riuscite a orientare il dibattito politico nell’Europa su vari temi. Per esempio, hanno fatto pressione per allentare le norme Ue sul copyright, distogliendo l’attenzione dal fatto che stavano diventando troppo grandi e potenti e dalle loro pratiche anticoncorrenziali».
Il caso YouTube
Alcune attività di lobbying venivano portate avanti dalle Big Tech in maniera mascherata: «Vi racconto questa storia, che è emblematica. Uno degli argomenti inerenti al diritto d’autore, di cui mi occupavo, riguardava i “contenuti generati dagli utenti”, come i video pubblicati su YouTube. Il punto era: la musica utilizzata da uno YouTuber deve essere soggetta al pagamento di diritti d’autore e, soprattutto, le piattaforme hanno l’obbligo di adottare misure per prevenire le violazioni? Nei negoziati su questo tema, non ho mai incontrato direttamente YouTube come azienda. Abbiamo avuto invece incontri con molti cittadini e gruppi di stakeholder.
Sono venuti alla Commissione, hanno fatto domande ai parlamentari. A un certo punto mi sono chiesto: ma chi sono queste persone? Ho fatto una ricerca su Google, ironia della sorte, e ho scoperto che il coordinatore di uno di questi movimenti era, guarda caso, anche consulente di Google, la casa madre di YouTube… L’ho riferito ad alcuni colleghi, che mi hanno detto: “È senza dubbio una campagna di astroturfing”. Astroturf, in inglese, è il rivestimento artificiale degli stadi, quando cioè non viene usata l’erba naturale. Nel lobbismo, quindi, si tratta della falsa creazione di un movimento spontaneo di stakeholder per rappresentare gli interessi commerciali delle grandi aziende»…
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