Alcuni grandi operatori del settore, quali Google Cloud, Ibm e Salesforce, rischiano di non rientrare nella categoria dei “gatekeeper”, ovvero quelle piattaforme che, a causa delle loro dimensioni e delle quote di mercato coperte, sono in grado di controllare (e potenzialmente bloccare) l’accesso delle aziende concorrenti ad applicazioni, infrastrutture, dati dei consumatori. Inoltre, il Cispe chiede anche che nel Dma vengano regolamentate le licenze software per l’utilizzo dei servizi cloud: al momento, infatti, chi si affida a operatori come Microsoft o Oracle è sottoposto a vincoli di natura sia contrattuale sia tecnologica che gli impediscono di “migrare” verso servizi concorrenti, creando un tappo che impedisce ad altre realtà del settore di crescere e di competere. Molte delle aziende coinvolte nello studio hanno infatti affermato di avere paura a esporsi, nel timore di ritorsioni.
«Sono certo che i vantaggi ottenuti nell’attuale formulazione del Dma siano l’effetto di un’attività di lobbying da parte di queste grandi compagnie», dichiara a TPI Michele Zunino, amministratore delegato di Netalia, società italiana di servizi cloud che fa parte del Cispe e che è costretta a muoversi nel sistema anticoncorrenziale e monopolistico delle Big Tech. L’appello è che l’Unione europea non resti a guardare.
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