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Auto elettriche, a che punto è l’Europa? Intervista ad Andrea Boraschi di Transport&Environment: “Nel 2025 si giocherà la partita vera”

Di Redazione TPI
Pubblicato il 26 Set. 2024 alle 09:30

A che punto è il mercato dell’elettrico in Europa?  Ne parliamo con Andrea Boraschi, direttore dell’ufficio italiano di Transport & Environment, la principale ONG europea che si occupa di decarbonizzazione dei trasporti. Rispetto a chi dice che l’adozione dell’elettrico in Europa e in Italia è in stallo, cosa rispondete?
Facciamo chiarezza. I media hanno dato larga diffusione alla notizia del crollo del mercato automotive nel mese di agosto, di cui l’elettrico sarebbe il maggiore responsabile. Ma le analisi su periodi di trenta giorni lasciano il tempo che trovano. Nella contrazione del 44% delle BEV vendute in Europa ad agosto 2024, rispetto ad agosto 2023, il fattore principale è la riduzione comparativa registrata in Germania, dove lo scorso anno stavano per finire gli incentivi e tutti i consumatori si sono affrettati a comprare, facendo registrare un picco di immatricolazioni di full electric. Ora gli incentivi non ci sono, nessun analista sensato avrebbe potuto prevedere un andamento diverso.La realtà è che negli ultimi otto mesi l’elettrico ha perso in Europa l’1% circa del suo market share, un calo del 5,5%: non certo un crollo, piuttosto una dinamica già osservata alla vigilia dell’entrata in vigore di nuovi standard di emissione. È nel 2025 che si giocherà la partita vera: ovvero, sarà quello l’anno in cui, in termini industriali e soprattutto commerciali, le case auto cercheranno di massimizzare le vendite di auto elettriche in Europa”.

E l’Italia?
In questo quadro, il nostro Paese continua a rimanere molto indietro rispetto a tutti i principali mercati europei. Ci sono responsabilità politiche innegabili, a riguardo”.

Secondo la vostra analisi entro il 2025 1 auto su 4 venduta sarà elettrica. Su cosa si basa questa previsione? Quali sono le condizioni che dovrebbero verificarsi?
Le case auto hanno obiettivi climatici, di riduzione delle emissioni del loro venduto annuo, da centrare il prossimo anno. Sono obiettivi definiti già dal 2017. È previsto il lancio, sui mercati europei, di un buon numero di nuovi modelli full electric (BEV) sotto i 25.000 euro, con uno o due modelli che potrebbero essere commercializzati anche sotto i 20.000 euro. Declinare la tecnologia elettrica su segmenti più piccoli, city car o utilitarie, auto più leggere, compatte ed efficienti, è il prossimo passo per garantirne l’adozione di massa. Ma è importante non rimettere in discussione gli obiettivi europei di decarbonizzazione e sostenere i mercati con politiche mirate per i consumatori. Secondo le nostre previsioni, nel 2025, l’elettrico potrebbe conquistare un market share, in Europa, del 24%”.

Dalla vostra analisi emerge che le case automobilistiche scelgono di puntare in buona parte sull’ibrido per rispettare gli obiettivi climatici. Questo cosa comporta?
Come dicevo, i carmaker hanno obiettivi di riduzione delle emissioni. La CO2 al tubo di scappamento può essere ridotta in molti modi, anche commercializzando auto ibride che hanno mediamente valori emissivi più bassi dell’endotermico tradizionale a benzina o diesel. Chiaramente le auto ibride conseguono un risparmio di gas climalteranti molto minore delle elettriche; anche per questo non possono essere la prima tecnologia su cui investire. Nel nostro scenario, le BEV dovrebbero garantire circa il 60% della riduzione delle emissioni delle auto vendute in Europa il prossimo anno. Le ibride potranno essere una componente non trascurabile per alcuni gruppi, come Stellantis e Volkswagen, a cui questa tecnologia garantirebbe circa un terzo dell’obiettivo. Ma detto con chiarezza: l’ibrido è una soluzione tattica, di breve periodo. Non è una tecnologia che potrà essere in alcun modo sviluppata fino a garantire le performance ambientali dell’elettrico”.

E rispetto alle campagne sui biofuel? Può essere un’alternativa sostenibile?
I biofuel sono una classe ampia di vettori energetici: alcuni hanno un’impronta di carbonio persino peggiore degli idrocarburi tradizionali, altri sono più sostenibili ma scontano problemi di scarsità della materia prima con cui vengono prodotti, nonché di efficienza energetica. Infine: al tubo di scappamento emettono una quantità di inquinanti locali assimilabile a quella di benzina e diesel. Se vogliamo proteggere anche i nostri polmoni, oltre al clima – e in Italia abbiamo la qualità dell’aria peggiore d’Europa, con oltre 50.000 morti premature l’anno per inquinamento atmosferico – i biofuel non sono la soluzione. Peraltro l’Europa non ha mai stabilito un obiettivo per cui in futuro, dal 2035, si potranno vendere solo auto elettriche, come pure qualcuno lascia credere. Tutte le tecnologie che si dimostreranno zero emission potranno essere ammesse nella normativa e concorrere al risultato. Ma i biofuel, in questo senso, sono già stati bocciati. Per parametri emissivi, rilevati con misurazioni scientifiche, non in virtù di petizioni di principio”.

Voi chiedete un sostegno chiaro da parte della Commissione all’adozione dell’elettrico. Quali sono a vostro parere gli step necessari?
Il percorso di decarbonizzazione che l’Europa si è data, ambizioso e necessario, è una politica che ha mobilitato miliardi e miliardi di investimenti. Ha funzionato e sta funzionando, non va rimessa in discussione. Per contro il tema è più ampio e va inquadrato in una prospettiva di competizione globale. Probabilmente alcuni anni fa non era chiaro a molti che Cina e USA avrebbero fatto politiche enormi di investimento pubblico, garantendo alle loro industrie un sostegno fortissimo e attraendo carmaker stranieri per impiantare la loro produzione in quei Paesi. Draghi lo ha detto chiaramente: serve una misura congiunta di finanza pubblica europea, per far sì che la transizione rimanga quel che è, una grande opportunità di sviluppo, scongiurando ogni rischio di deindustrializzazione”.

E il grande tema delle flotte aziendali. A che punto siamo in Italia?
È una riforma da tempo all’attenzione del legislatore. Le auto intestate ad aziende sono il 40% dell’immatricolato annuo, una fetta enorme del  mercato. A oggi godono di enormi vantaggi fiscali che però sono largamente estesi anche alle auto più inquinanti. Abbiamo livelli di imposizione che non differenziano abbastanza tra auto pulite e auto fortemente emissive: è un sistema che va rivisto radicalmente, garantendo un cambiamento progressivo ma rapido. Anche perché stiamo parlando di auto che, dopo un ciclo di possesso di 36-48 mesi, vengono immesse sul mercato dell’usato. Se riuscissimo a varare una riforma che sostenga l’adozione dell’auto elettrica nelle flotte aziendali, avremmo nel giro di pochi anni un florido mercato dell’usato elettrico. L’auto di seconda mano è oggi quella più acquistata dai consumatori, a cui si potrebbero offrire maggiori opzioni di sostenibilità”.

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