Con la quarta vittoria di tappa di Primoz Roglic (Jumbo Visma), nella cronometro conclusiva da Padron a Santiago de Compostela, si è chiusa la 76ma Vuelta Espana, dominata dal campione di Trbovlje. Avesse voluto, lo sloveno avrebbe potuto tenere la maglia roja, conquistata nell’apertura a Burgos, per tutta la corsa. Invece, dimostrando una maturità mai riscontrata in passato, il campione olimpico contro il tempo ha gestito la gara con padronanza, risparmiando alla sua squadra l’onere del controllo continuato. Gli avversari si sono spesi nei vani tentativi di attacco e non può essere un caso che, sui gradini più bassi del podio, siano finiti, a distanza siderale dal vincitore, gli unici due corridori che, fin dall’inizio, hanno puntato solo alle posizioni di rincalzo: lo spagnolo Enric Mas (Team Movistar), che ha così bissato la piazza d’onore del 2018 dietro a Simon Yates, ed il sorprendente lungo australiano Jack Haig (Bahrain Victorious).
La Vuelta degli italiani si riassume nel nome e cognome dell’unico ciclista competitivo azzurro nei grandi giri: Damiano Caruso (Bahrain Victorious). Il 34enne ragusano ha compiuto una grande impresa, vincendo con un assolo di 70 chilometri la nona frazione, l’arcigna cavalcata da Puerto Lumbreras all’Alto de Velefique. Poi, come da lui anticipato in partenza, ha sostenuto, invano Mikel Landa, smarritosi per l’ennesima volta per strada, e con successo il canguro Haig e lo svizzero Gino Mader che, nella penultima tappa in modo rocambolesco, hanno conquistato rispettivamente il podio in generale e la maglia bianca di miglior giovane. La Bahrain è una squadra fortissima che ha primeggiato in tutte le tre grandi corse a tappe di quest’anno. Se, magari, il team del Golfo riuscisse a puntare sul cavallo giusto in partenza, forse potrebbe anche portare a casa un grande giro. Per noi italiani è fondamentale che ciò avvenga in quanto l’unico spiraglio di successo che abbiamo per il 2022, assai piccolo in realtà, è che Caruso possa conquistare il Giro d’Italia.
Matteo Trentin (UAE Emirates) ha disputato una Vuelta molto simile al Tour de France di Sonny Colbrelli (Bahrain Victorious), pieno di buona volontà ed occasioni mancate. Infine, veniamo a Fabio Aru (Qhubeka NextHash) che domenica sera davanti al più famoso santuario della cristianità ha chiuso la sua carriera a soli 31 anni. Sei anni fa, fu proprio la vittoria in terra iberica a consacrare il cavaliere dei quattro mori come grande protagonista nelle grandi corse a tappe. In quell’anno, prima di conquistare la Vuelta, aveva conteso il Giro d’Italia ad Alberto Contador, costringendo il Pistolero a tirare fuori il meglio di sé per portare a casa la maglia rosa. Ieri, in netto contrasto, ha chiuso una corsa che sembrava essere la dimostrazione pratica delle teorie del suo illustre corregionale, l’indimenticabile allenatore di calcio Gustavo Giagnoni, che faceva della sconfitta con dignità la sua bandiera.
Analizzandoli a freddo, i tre grandi giri di quest’anno hanno riproposto al 90% i vincitori del 2020. I due sloveni, Tadej Pogacar (UAE Emirates) in Francia e Roglic in Spagna si sono confermati, al termine di corse molto più monotone di quelle svoltesi dodici mesi fa. Al Giro d’Italia è cambiato il nome del vincitore ma non della squadra, con la Ineos Grenadiers sempre in cattedra. A Tao Geoghegan Hart, inventato capitano per strada dopo il ritiro di Geraint Thomas, è succeduto Egan Bernal, sostenuto alla perfezione dai compagni nella festa di maggio. Il colombiano, tuttavia, ha deluso in Spagna anche se gli va dato atto di essere stato l’unico che ha tentato di attaccare Roglic da lontano nel tappone asturiano che finiva ai Lagos de Covadonga. Essere competitivi in due grandi giri nello stesso anno è prerogativa di pochi. A proposito di ciò, nei prossimi giorni cominceranno i tormentoni sulla stagione ventura. Perlopiù, saranno incentrati sul punto che oramai assilla tutti gli addetti ai lavori: sarà il 2022 l’anno in cui Tadej Pogacar tenterà di conquistare l’immortalità ciclistica sovrapponendo il giallo al rosa?