Il vero spirito olimpico. Non tanto “l’importante è partecipare” che è una frase ormai storpiata dalle su mille strumentalizzazioni ma il valore della condivisione (così tanto fuori moda in quell’epoca in cui l’egoismo è diventato addirittura “obbligatorio” secondo una certa narrazione): l’italiano Gianmarco Tamberi e il qatariota Mutaz Barshim, campione del mondo in carica, hanno condiviso la medaglia d’oro, ricevendone una a testa. Hanno dimostrato con un gesto semplice, perfino naturale nel suo svolgimento avvenuto in diretta sotto gli occhi di tutto il mondo che la condivisione moltiplica i successi e che la competizione può essere anche uno strumento per certificare le amicizie.
Gianmarco e Mutaz, che hanno celebrato insieme l’oro doppio sul gradino più alto del podio, sono amici da anni e negli hanno coltivato la loro empatia. Entrambi hanno condiviso lo stesso infortunio alla caviglia, uno di quegli infortuni che mette in discussione tutta una carriera e che piombano addosso aprendo dei dirupi. Si sono sostenuti l’un l’altro, insieme, sfidandosi in pista e poi ogni volta ritrovandosi fuori.
Quando nelle finale olimpica hanno entrambi saltato 2 metri e 37 centimetri e hanno scoperto l’opportunità di non togliere l’uno all’altro la vittoria più felice della loro vita Gianmarco e Mutaz hanno mostrato al mondo che ci si può concedere il lusso di fermare la competizione di fronte alla vicinanza degli stessi incubi.
Quegli abbracci non erano solo i festeggiamenti per una medaglia, quegli abbracci sono la felicità di essere arrivati fin lì insieme. Ed è una lezione di sport ma è soprattutto un modo di intendere la vita: per raggiungere i propri obiettivi, mentre il mondo vorrebbe insegnarci ad essere sempre più competitivi fino allo sfinimento, si possono anche onorare i propri valori, le persone intorno, le esperienze vissute.
Una vittoria senza sconfitti non è certo l’ordine naturale delle cose ma quando accade è lo sport nella sua forma più nobile. Quanto si è disposti a cedere i propri valori per primeggiare? Quanto si è disposti a tradirsi per vincere? È il professionismo nel suo senso più alto: professare i propri valori in quello che si fa e professarli in modo talmente intenso che alla fine profumano come il risultato perché sono il risultato. Gianmarco Tamberi e Mutaz Barshim sono un monumento alla lealtà delle regole non scritte: ricordarcele è sempre un’occasione, mica solo di sport.