Pantani, la nuova teoria: tradito da un errore del macchinario per l’analisi dell’ematocrito
“Esistono due vite di Marco Pantani: una nell’era pre-Madonna di Campiglio e una successiva a Madonna di Campiglio. Della prima vi parlerò, e svelerò quello che so sul Marco che ho conosciuto; della seconda non ne parlo, trovo che chi lo faccia violi la dignità di un grande atleta e di un uomo che forse avremmo dovuto lasciare in pace evitando di tirare in ballo tutte quelle inutili speculazioni avvolte in un velo di mistero volto solo ad alimentare depistaggi di ogni genere”.
Beppe Conti, firma storica del ciclismo italiano e volto noto del Giro d’Italia, parla con voce ferma e rassicurante: il suo ragionamento offre una risposta a chi negli anni ha detto tutto e il contrario tutto sul destino infelice del Pirata. “Pantani era un uomo tanto forte nel ciclismo quanto fragile nella sfera personale e umana”, ricorda Conti, che lo ha conosciuto da vicino negli anni d’oro in cui teneva l’Italia con il fiato sospeso. “Oggi però sono in grado di raccontarvi un pezzo della storia di Marco che senz’altro è poco noto, un ultimo tassello che ristabilisce una parziale verità e che restituisce dignità all’uomo di Cesenatico. Se volete vi spiego perché”.
Beppe Conti, classe 1951, nato a Torino è una fra le voci più autorevoli del ciclismo italiano, di cui conosce la storia nel dettaglio, firma storica di Tuttosport e Bicisport dopo un breve periodo alla Gazzetta, volto noto del piccolo schermo come opinionista per la Rai al Giro e al Tour, è anche autore di una serie di saggi pubblicati in circa un trentennio, tra il 1984 e il 2016, in cui ripercorre le grandi imprese di questo sport, come ad esempio il celebre duello Moser-Saronni ma anche le grandi leggende di questo sport da Coppi a Merckx, passando per Pantani.
A quest’ultimo ha dedicato un libro – “Marco Pantani. Una vita da Pirata” (2004, edito da Sperling e Kupfer). Ed è di Pantani che con Conti parliamo.
Coadiuvati dal lavoro e dalla esperienza di Beppe Conti in questi anni, oltre che dalle ultime importanti rivelazioni emerse in seguito agli studi di Dario Corsi, dottore di ricerca in Metodologie Biochimiche e Farmacologiche presso l’Università di Urbino, abbiamo ricostruito quegli ultimi giorni prima di Madonna di Campiglio, quando la vita di Pantani cambiò per sempre.
Ma andiamo con ordine e partiamo dall’inizio. Di Marco Pantani e della squalifica dal Giro d’Italia 1999 a causa dell’ematocrito troppo alto che segnò in modo indelebile la sua vita si è detto e scritto di tutto. Negli anni, dopo la tragica morte del Pirata nel residence “Le Rose” di Rimini il 14 febbraio 2004, si sono susseguite ipotesi e indiscrezioni circa i motivi che hanno portato alla sua improvvisa esclusione dalla principale competizione italiana. Dal possibile coinvolgimento della camorra alle scommesse clandestine, fino alle dichiarazioni dell’ex boss della mala milanese Renato Vallanzasca, in tanti hanno provato a ricostruire cosa accadde quella mattina del 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio, quando gli esami del sangue su Pantani, fra i più grandi scalatori italiani dell’ultimo mezzo secolo, evidenziarono un valore dell’ematocrito eccedente (52%) rispetto al limite consentito (50%).
Il noto giornalista Beppe Conti, da decenni voce e penna del ciclismo nel nostro Paese, nel suo ultimo libro ha fornito quella che secondo le sue fonti è la verità su Campiglio e la risoluzione del giallo legato all’esclusione di Pantani dal Giro di quell’anno. Esclusione che non avrebbe a che fare con manomissioni sulla provetta di sangue del Pirata per servire chissà quali interessi, bensì con un macchinario che si chiama Coulter Act 8: quello utilizzato per analizzare l’ematocrito di Pantani.
Nel libro “Dolomiti da leggenda”, pubblicato per Reverdito a ottobre, Conti dedica un capitolo intero alla storia del Pirata e spiega che l’analisi dell’ematocrito, in tempi in cui moltissimi ciclisti facevano largo uso di eritropoietina (o EPO, all’epoca impossibile da scoprire nel sangue e nelle urine degli atleti e che dava loro una grossa spinta in termini di rendimento), venne imposta dall’Unione ciclistica internazionale proprio per evitare che i ciclisti esagerassero nell’utilizzo di sostanze proibite.
Quel 5 giugno, alle 7.25, il giudice di gara internazionale Antonio Coccioni e il medico Eugenio Sala dell’ospedale di Como bussarono alla camera d’albergo di Pantani per il controllo. “Convocammo anche il ds Martinelli – ha raccontato Coccioni a Conti – ed effettuammo il prelievo. Poi, applicai un numero di codice alla provetta per renderla anonima. L’operazione con una macchinetta chiamata Coulter veniva ripetuta per cinque volte, poi si scartavano i valori più alto e più basso facendo la media degli altri tre. E si forniva il dato. I medici videro che c’era una provetta con valori fuori norma. Mi chiamarono perché soltanto io conoscevo i codici. Li verificammo: era il sangue di Pantani. Vennero ripetute le analisi con un altro campione in precedenza prelevato e quei valori furono confermati: 53 di ematocrito. Sottratto un punto di tolleranza, ecco il dato annunciato: 52. Pantani doveva abbandonare il Giro”.
L’errore del Coulter Act 8
Come sappiamo, dopo la squalifica di soli 15 giorni Pantani non tornò mai come prima. Rifiutò di iscriversi al Tour de France di quell’anno (solo un anno prima aveva centrato la storica doppietta Giro-Tour), cercò vie d’uscita in amicizie sbagliate, poi la spirale della cocaina.
Pantani si trasformò in un eroe della solitudine, si allontanò dal ciclismo. Provò a tornare nel 2000, ma al Tour non riuscì a raggiungere i suoi soliti livelli, nonostante siano ancora negli occhi degli appassionati alcune tappe nelle quali mise in difficoltà il futuro vincitore Lance Armstrong, anch’egli coinvolto successivamente da uno scandalo doping.
Eppure, secondo Beppe Conti, tutto questo non sarebbe mai avvenuto se non ci fosse stato un clamoroso errore nel Coulter Act 8. “Un direttore sportivo esperto di ciclismo e fuori dai giochi come Bruno Reverberi – ha scritto il giornalista – mi disse che secondo lui la cacciata di Pantani dipendeva dallo strumento in possesso dei controllori dell’UCI. Sapeva che era stato ‘tarato’ in maniera diversa, visto che stava dando valori troppo blandi rispetto a quelli verificati dai corridori, i quali per non rischiare la sera precedente il controllo si provavano loro stessi il valore dell’ematocrito con un’altra macchinetta chiamata la Centrifuga. C’era chi di Epo faceva una sorta di ‘rabbocco’, soprattutto se alla terza settimana di un Giro d’Italia, fra fatiche quotidiane infinite, quel valore era sceso di parecchi punti. Un ‘rabbocco’ stando sotto 50″.
La sera prima, secondo la Centrifuga di Pantani, il suo ematocrito era a 48,4. Per avvalorare la sua teoria, Conti cita anche gli studi di Dario Corsi, dottore di ricerca in Metodologie Biochimiche e Farmacologiche presso l’Università di Urbino, secondo cui il dispositivo – già considerato poco affidabile in termini di precisione – venne calibrato in modo sbagliato.
“Il marchingegno venne scelto dall’UCI – si legge nel libro – perché era l’unico modello trasportabile e costava poco. Lo strumento arrivava dalla casa costruttrice già calibrato, ma i controllori effettuavano poi una nuova calibrazione con il ‘4C Plus Control Kit’, che in realtà serviva soltanto per una verifica. Inoltre facevano 5 misurazioni per effettuarla, quando secondo il manuale del Coulter Act 8 doveva avvenire con il kit corretto ‘S-Cal Kit’ e con 11 letture, eliminando la prima per poi effettuare una media dei valori. Inoltre la calibratura doveva essere effettuata ogni volta che la temperatura esterna variava di più di 5,5 gradi centigradi. Presso il costruttore veniva effettuata a 18-20 gradi. A Madonna di Campiglio, a quota 1550 metri, alle 7,45 del mattino andava di certo ricalibrato, soprattutto tenuto conto del trasporto del Coulter Act 8”.
L’apparecchio quindi potrebbe aver dato un valore dell’ematocrito nel sangue di Pantani ben al di sopra di quello reale. “E’ stato come se nelle qualifiche in Formula Uno prendessero i tempi con una sveglia – ha aggiunto Corsi – e il valore dell’ematocrito reale di Pantani poteva benissimo essere 48 o 56 con quella misurazione”.
La teoria della deplasmazione del sangue: perché non funziona
Il giornalista analizza però un’altra delle teorie che più si sono fatte spazio in questi anni: quella secondo cui il sangue di Pantani sarebbe stato deplasmato prima dell’esame in modo tale che l’ematocrito risultasse troppo alto e il Pirata venisse squalificato. La deplasmazione, spiega ancora Dario Corsi, “consiste nel centrifugare la provetta di sangue intero per almeno 10-15 minuti a circa 2500 giri al minuto, utilizzando una centrifuga che ha le dimensioni di un forno a microonde.
Dopo la centrifugazione la parte corpuscolare del sangue, cioè i globuli rossi, si depositano sul fondo della provetta mentre il plasma occupa la parte superiore. Solamente a questo punto sarebbe possibile aspirare una quantità di plasma così da diminuire il volume totale prelevato ed ottenere un ematocrito più elevato una volta agitato di nuovo il campione di sangue per altri 10-15 minuti e quindi analizzato”.
Per portare a termine questa operazione, sarebbero stati necessari circa 25-30 minuti. Ma Conti spiega che tra il prelievo di sangue nella stanza d’albergo di Pantani al momento in cui la provetta venne agitata e analizzata passarono poco meno di 20 minuti (7 nel tragitto tra l’albergo e il luogo in cui si effettuavano gli esami, altri 12-13 prima dell’effettivo inizio del test).
“Non ci sarebbe stato il tempo – spiega il giornalista – per effettuare la tecnica della deplasmazione. Inoltre si sarebbe dovuto calcolare con precisione quanto plasma asportare per rendere credibile il dato ed evitare di ottenere un valore dell’ematocrito esageratamente elevato. Infine la procedura non poteva essere effettuata da una sola persona senza farsi notare dalle altre presenti al controllo. Necessitava di una centrifuga ben visibile. Cioè i medici e l’ispettore dell’UCI Antonio Coccioni avrebbero dovuto essere tutti d’accordo nel modificare il valore dell’ematocrito per condannare Pantani”.
Esclusa la tesi della deplasmazione, secondo quanto scritto da Conti appare palese che quella mattina a Madonna di Campiglio di fu un errore nella lettura del valore dell’ematocrito a causa di un dispositivo impreciso e tarato malamente. Non è un caso, infatti, che dalla stagione successiva l’Unione ciclistica internazionale abbia deciso di comparare i valori non solo dell’ematocrito del sangue ma pure dell’emoglobina per stabilire se un atleta facesse o meno uso di doping.
“Se l’avessero fatto anche a Campiglio – conclude l’autore del libro – Pantani non sarebbe stato fermato perché i valori dell’emoglobina erano nella norma”. Senza quell’errore del Coulter Act 8, dunque, non si sarebbe mai parlato di un “dopo Madonna di Campiglio” per il ciclista originario di Cesena, la sua carriera non avrebbe subito uno stop repentino e soprattutto, probabilmente, Pantani non sarebbe finito nel giro della droga e della depressione. “Mi sono rialzato da tante disgrazie, da incidenti tremendi, ma questa volta non mi rialzerò più”, disse dopo la squalifica dal Giro d’Italia ’99. Il Pirata aveva maledettamente ragione.
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