La pugile algerina Imane Khelif, appena qualificatasi alle semifinale delle Olimpiadi di Parigi, lascia intendere di ritenersi vittima di bullismo.
“Invio un messaggio a tutte le persone del mondo affinché sostengano i principi olimpici e la Carta olimpica, e si astengano dal bullismo nei confronti di tutti gli atleti, perché questo ha effetti enormi”, dichiara Khelif in un’intervista all’agenzia di stampa sportiva internazionale Sntv.
Il bullismo, aggiunge, “può distruggere le persone, può uccidere i pensieri, lo spirito e la mente delle persone. Può dividere le persone. Per questo chiedo di astenersi dal bullismo”.
Nell’intervista, la pugile 25enne rifiuta di rispondere quando le viene chiesto se si sia sottoposta ad altri test oltre a quelli antidoping, affermando di non volerne parlare.
Khelif è finita nella bufera in particolare dopo il match valevole per gli ottavi di finale nella categoria welter, quando la sua avversaria, l’italiana Angela Carini, si è ritirata dopo appena 45 secondi lamentando di aver ricevuto un pugno sul naso troppo forte, che l’ha spaventata.
L’anno scorso la Federazione internazionale di Boxe (Iba) – organizzazione non riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale (Cio) – aveva escluso l’atleta algerina dalla finale dei Mondiali ritenendola inadatta a gareggiare contro pugili femmine.
Nelle ultime settimane si è sparsa la notizia che tale esclusione fosse stata dettata dai livelli eccessivi di testosterone rilevati nel sangue di Khelif, ma l’Iba ha smentito di averla sottoposta a test sul testosterone, senza tuttavia meglio precisare – per motivi di privacy – le ragioni dell’esclusione.
Una delle ipotesi avanzate – ma che al momento non trovano riscontri ufficiali – è che la pugile sia un soggetto intersex: presenterebbe cioè i cromosomi sessuali XY tipici di un maschio pur avendo i genitali tipici di una femmina.
Per il Cio l’atleta rispetta i parametri richiesti per essere ammessa alle gare olimpiche femminili, tuttavia da più parti la decisione di farla competere con altre donne è stata criticata. Anche diversi esponenti del Governo italiano si sono schierati contro il via libera dato a Khelif.
Parlando con Sntv, la pugile esprime gratitudine al Comitato Olimpico Internazionale e al suo presidente, Thomas Bach, per averla sostenuta: “So che il Cio mi ha reso giustizia, e sono felice di questo rimedio perché dimostra la verità”, dice.
“Sono in contatto con la mia famiglia due giorni alla settimana. Spero che non siano stati colpiti nel profondo”, spiega.
Khelif rileva poi che durante il match dei quarti di finale, vinto contro l’ungherese Anna Luca Hamori, era molto tesa: “Non riuscivo a controllare i nervi”, racconta. “C’era un misto di gioia e allo stesso tempo ero molto colpita, perché onestamente non è stata una cosa facile da affrontare”.
“Non mi interessa l’opinione di nessuno”, aggiunge la pugile. “Sono venuto qui per una medaglia e per competere per una medaglia. Certamente gareggerò per migliorare ed essere migliore. E, se Dio vuole, migliorerò, come ogni altro atleta”.
“Sinceramente, non seguo i social media”, conclude. “C’è un team di salute mentale che non ci lascia seguire i social media, specialmente durante le Olimpiadi, né io né altri atleti. Sono qui per competere e ottenere un buon risultato”.
Lo scorso sabato, dopo aver sconfitto Hamori, Khelif era scoppiata a piangere: “È una questione di dignità e onore per ogni donna”, aveva detto.
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