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Cosa resta di Olimpia: perché c’è sempre più scetticismo nell’ospitare i Giochi

Credit: AGF

Negli ultimi 30 anni l’approccio ai Giochi è molto cambiato

Di Stefano Mentana
Pubblicato il 25 Lug. 2024 alle 12:34 Aggiornato il 26 Lug. 2024 alle 16:10

Tutte le grandi saghe che si protraggono nel tempo affrontano per forza di cose fasi e momenti differenti, subendo di volta in volta l’influenza del proprio tempo. Questo principio non può che applicarsi anche a uno dei più importanti eventi dell’ultimo secolo, come le Olimpiadi dell’era moderna. 

Da quando Pierre de Coubertin volle ricreare lo spirito dei Giochi dell’Antica Grecia, l’approccio degli organizzatori verso questo evento è cambiato, così come il sentimento degli spettatori e degli amanti dello sport, per quanto la passione di questi ultimi non sia mai mancata. Ma una cosa è seguire le gare, altra organizzare l’evento. 

Massificazione
In molte occasioni, l’organizzazione delle Olimpiadi ha coinciso con un momento di crescita politica ed economica per la nazione ospitante. Lo sappiamo bene in Italia: i Giochi di Roma del 1960 arrivarono quando il nostro Paese si stava lasciando alle spalle le rovine della guerra ed era nel pieno del suo boom economico, e lo sa bene per le stesse ragioni il Giappone, che a Tokyo organizzò quelle di quattro anni dopo, scegliendo simbolicamente come ultimo tedoforo Yoshinori Sakai, nato a Hiroshima il 6 agosto 1945, il giorno della bomba, mostrando come il Sol Levante volesse risollevarsi dalle sue ceneri. 

Ma sarebbe lungo citare l’elenco di tutti i Paesi che hanno organizzato le Olimpiadi in momenti che hanno coinciso con un loro balzo in avanti di qualsiasi tipo, così come i casi in cui ciò è avvenuto per città la cui candidatura a ospitare i Giochi non è andata a buon fine. 

Nel frattempo, però, mentre l’evento si è fatto sempre più grande e ha attirato un numero crescente di spettatori, si sono via via aggiunte nuove questioni per l’organizzazione non solo di un evento sempre più complesso, ma anche di flussi di persone sempre più grandi, di realizzazione di nuove strutture e della loro gestione successiva all’evento. 

Torniamo un attimo a Roma, al 1960, un’edizione dei Giochi che ha segnato la storia: immagini divenute iconiche, come quella di Abebe Bikila che a piedi nudi percorre la via Appia Antica e taglia il traguardo sotto l’Arco di Costantino, delle gare di lotta tra le rovine della Basilica di Massenzio o quelle di ginnastica alle Terme di Caracalla, oggi difficilmente sarebbero replicabili allo stesso modo. L’apparato dei media e della sicurezza, della gestione dei flussi potrebbe comunque permettere di usare quelle strutture, ma non con un rapporto così naturale e diretto. 

La massificazione dell’evento ha rischiato di creare un rapporto più difficile con le città che lo vanno ad ospitare che crea grossi punti interrogativi sul valore che l’evento può lasciare al Paese una volta terminato. 

Sostenibilità
Per quanto nella maggior parte delle circostanze i Giochi abbiano lasciato impronte positive alle città organizzatrici non solo nella memoria collettiva ma anche nel lascito tangibile, problemi del genere si sono affacciati in occasioni ed epoche differenti: si pensi a Montreal 1976, che ha finito di pagare il debito generato dall’organizzazione dei Giochi solo nel 2006.

Così come nel tempo sono aumentate le perplessità sull’organizzazione dei Giochi Invernali, che fanno sempre più storia a sé e rappresentano qualcosa di molto difficile da mettere in piedi tra la necessità di piste e strutture in luoghi montuosi e opere difficili da riutilizzare, e per cui è stata sdoganata – sarà proprio a Milano e Cortina a esordire come format – la possibilità di assegnarle a due città, per cercare di renderle più sostenibili. 

Ma il momento che ha segnato un recente cambio di approccio verso l’organizzazione dei Giochi è stato, paradossalmente, nelle Olimpiadi più in linea con la tradizione, quelle in cui per il lancio del peso è stato riutilizzato dopo oltre mille e cinquecento anni il sito dei Giochi dell’età classica a Olimpia e in cui la maratona ha seguito lo stesso percorso compiuto da Filippide per dare notizia della vittoria contro i Persiani, ovvero le Olimpiadi di Atene del 2004. L’assegnazione di quei Giochi, infatti, non seguì la logica di scegliere una superpotenza o un Paese in ascesa, ma volle risarcire la Grecia per la mancata assegnazione dei Giochi del centenario del 1996, disputati poi ad Atlanta e non nella capitale greca scelta da Pierre de Coubertin per la prima edizione della manifestazione 100 anni prima. 

Atene non ha badato a spese, ma di lì a poco la Grecia è stata travolta da una delle più gravi crisi economiche dell’epoca moderna, dovuta ad altre ragioni ma cui le spese elevate per l’organizzazione dei Giochi non hanno certo giovato. Da quel momento, la parola d’ordine è diventata prudenza. 

Se quattro anni dopo la Cina si è potuta permettere di mostrarsi al mondo come potenza globale in ascesa anche grazie ai Giochi, quasi tutti gli altri Paesi organizzatori hanno voluto mettere in campo progetti sostenibili, inserendo strutture effimere per organizzare alcuni eventi, cercando di limitare le spese. 

A Londra 2012 vennero realizzati ben tre palazzetti provvisori, smantellati a Giochi finiti, e per molti sport vennero usate strutture già esistenti. A Roma abbiamo assistito a un ritiro in corsa della candidatura per il 2024 proprio per i timori dell’impatto sulla città. Tokyo, i cui Giochi previsti per il 2020 sono stati rinviati di un anno per il Covid, ha dovuto affrontare proteste e dubbi legati proprio all’impatto che avrebbero avuto con la pandemia in corso. 

A questo si aggiungono poi i timori circa le conseguenze sull’ambiente: a Parigi c’è paura per la Senna, che è stata scelta a sorpresa come teatro della cerimonia d’apertura, insolitamente fuori da uno stadio, ma le paure arrivano fino all’altro capo del mondo, a Tahiti, che ospiterà le gare di surf e dove è stata costruita una torre in alluminio per i giudici che ha sollevato molte critiche. 

Tuttavia la nostra società deve saper individuare un modo per organizzare i Giochi in maniera sostenibile, tale da lasciare un valore aggiunto ai Paesi che lo ospitano ed essere vissuto come un’opportunità. Diversamente, le Olimpiadi finiranno per essere usate da quei Paesi che vogliono fare il cosiddetto sportwashing e mostrare al mondo un’immagine che nasconda altri problemi delle loro società: non sarebbe meglio di ciò che oggi temiamo, e forse proprio per questo dobbiamo trovare un modo per far tornare le Olimpiadi un evento che unisca le nostra società e sia visto come una stupenda opportunità e non come un problema.

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