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    Ecco come i Mondiali sono diventati una celebrazione del potere repressivo di Putin

    Putin accarezza la coppa del mondo, alle sue spalle il presidente Fifa Gianni Infantino

    La coppa del mondo ha avuto la funzione di distogliere l'attenzione dalla repressione dei diritti civili in Russia, e l'invasione di campo delle Pussy Riot non è bastata per scuotere l'opinione pubblica

    Di Luca Serafini
    Pubblicato il 19 Lug. 2018 alle 15:04 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 19:51

    Appena pochi mesi fa, a PyeongChang, si è tenuta un’edizione storica delle Olimpiadi invernali, che ha aperto la strada a un processo di distensione tra Corea del Sud e Corea del Nord impossibile anche solo da immaginare fino a poco tempo prima.

    Gli atleti delle due Coree hanno sfilato sotto un’unica bandiera, Kim Jong-un ha avviato i primi colloqui con Seul, culminati nell’incontro con il presidente sudcoreano Moon Jae-in tenutosi lo scorso 27 aprile.

    Nell’hockey su ghiaccio femminile, le due Coree hanno formato un’unica squadra, che qualcuno ha addirittura proposto di candidare al Nobel per la pace.

    Lo sport, insomma, aveva agito come un potentissimo strumento di conciliazione. Ma il “capitale simbolico” che ruota attorno alle manifestazioni sportive può essere utilizzato anche in modo molto diverso, diventando un mezzo di legittimazione del consenso e di repressione del dissenso.

    È proprio quanto accaduto durante i Mondiali di calcio in Russia, terminati meno di una settimana fa.

    In un paese in cui l’omofobia è scolpita nelle leggi dello stato, in cui centinaia di oppositori politici sono in galera, in cui basta un “mi piace” su una pagina Facebook per essere incriminati di ribellione, la coppa del mondo è stata il lavacro che ha consentito al presidente Putin di ridare lustro alla propria immagine.

    Per 29 giorni non c’è stata una protesta, una manifestazione nemmeno velata di dissenso, una parola fuori posto di un calciatore o di un leader politico. O meglio, non c’è stata nei confronti della Russia, visto che la politica ha fatto irruzione in altre forme.

    Nella partita tra Svizzera e Serbia, come si ricorderà, i calciatori elvetici Xhaka e Shaqiri, originari del Kosovo, hanno esultato mimando il gesto dell’aquila bicipite, simbolo nazionale albanese.

    L’esultanza “pro-Albania” di Xhaka e Shaqiri

    La Fifa li ha multati, come a lanciare un avvertimento: in questi Mondiali la politica non deve entrare. Ecco allora che la rassegna si è trasformata in un elogio urbi et orbi all’efficienza e all’organizzazione della Russia.

    Un’operazione di restyling suggellata da alcuni momenti di alto impatto simbolico, come quello in cui Putin si gustava la finale dandosi di gomito con il presidente della Fifa Gianni Infantino.

    A rompere l’idillio ci hanno pensato le Pussy Riot: tre donne e un uomo appartenenti al gruppo hanno fatto irruzione sul terreno di gioco vestiti da poliziotti durante la finale tra Francia e Croazia. Il senso del gesto è stato spiegato dal collettivo su Twitter.

    Ricorreva l’undicesimo anniversario della morte del poeta e artista russo Dmitri Aleksandrovich Prigov. Una delle creazioni iconiche di Prigov è l’immagine di un poliziotto ideale, un’autorità dedita esclusivamente al bene, e che le Pussy Riot hanno definito “il poliziotto celeste”.

    Le Pussy Riot, invece, indossavano per contrasto l’uniforme del poliziotto terrestre.

    “Il poliziotto celeste protegge un bambino nel sonno, mentre il poliziotto terrestre perseguita i prigionieri politici e imprigiona le persone che condividono messaggi sui social media”, si poteva leggere sul loro account Twitter.

    Le tre donne e l’uomo che hanno invaso il campo (condannati successivamente a 15 giorni di prigione) hanno motivato il gesto avanzando una serie di rivendicazioni, anche queste diffuse attraverso i social media: la liberazione dei prigionieri politici, la fine della repressione per chi mette “like” sui social o protesta per le strade, nonché degli arresti arbitrari ed effettuati senza prove.

    Una delle Pussy Riot che ha invaso il campo durante la finale prova a dare il cinque al difensore croato Vida

    L’eco dell’invasione di campo però è stata minima: nella bolla del Mondiale, commentatori politicamente poco scafati o semplicemente lobotomizzati dal clima generale, si sono limitati ad accennare al fatto che di solito in Russia chi compie atti del genere poi non se la passa bene.

    L’invasione, nella sostanza, è stata vista come una sgradevole interruzione dello show.

    Persino spettatori politicamente più consapevoli, in fondo, nell’immediato hanno provato forse una punta di fastidio per quell’atto che spezzava la tensione agonistica, per quel momento straniante, perturbante, che costringeva per un attimo a uscire fuori dalla bolla per ricordarsi che sì, quella finale si stava giocando proprio in Russia, e che non sarebbe stato un Mondiale a poter sotterrare repressioni e ingiustizie.

    Purtroppo però non c’è nulla di più efficace dello sport per generare sentimenti catartici e riversare l’entusiasmo tribale sui simboli della nazione, anche quelli politici.

    Nel 1998, quando la Francia vinse il suo primo Mondiale, secondo i sondaggi la popolarità dell’allora presidente Chirac aumentò di quasi 20 punti, raggiungendo il 60 per cento.

    Analogamente, molti commentatori hanno evidenziato il fatto che il principale beneficiario del trionfo della squadra di Deschamps sarà Emmanuel Macron, le cui immagini di esultanza sono del resto diventate immediatamente virali, rimandando immediatamente alla potenziale capitalizzazione politica del risultato sportivo.

    Emmanuel Macron esulta per la vittoria della Francia ai Mondiali

    Tornando a Putin, uno degli emblemi di come il Mondiale abbia non diffuso, bensì “addormentato” il dissenso nei suoi confronti lo ha raccontato sul Guardian Lee Hurley, un’attivista LGBT.

    Hurley ha fatto riferimento alla campagna “Rainbow Laces“, lanciata alcuni anni fa per difendere i diritti della comunità LGBT. I giocatori (di qualsiasi sport) che decidono di appoggiare questa campagna indossano lacci delle scarpe di colore arcobaleno.

    Le stringhe arcobaleno

    L’iniziativa, negli anni, è stata appoggiata da moltissimi sportivi, e anche ai calciatori impegnati nel Mondiale in Russia erano state inviate le stringhe arcobaleno. Tuttavia, nessuno se l’è sentita di indossarle.

    Persino il capo della Football Association (la federazione calcistica inglese) Martin Glenn, che pure aveva indossato l’adesivo di “Rainbow Laces” durante il sorteggio dei gironi dei Mondiali, definendosi “orgoglioso” di appoggiare la campagna, “durante la competizione dev’essersi dimenticato di metterlo in valigia. Se pure lo ha messo – scrive Hurley – non c’è una singola immagine che possa testimoniarlo. E una protesta, se nessuno la nota, semplicemente non esiste”.

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