Oggi Luka Modric è il vincitore del Pallone d’Oro 2018, oltre che leader del centrocampo del Real Madrid campione d’Europa e capitano e della Nazionale croata che ha giocato una storica finale dei Mondiali. Ventisei anni fa, però, era un rifugiato che prendeva a calci palloni sgonfi tra il rombare delle granate nel parcheggio di un albergo croato, adibito a nascondiglio dei profughi in fuga dagli orrori della guerra.
Suo nonno, qualche mese prima, era stato assassinato dai serbi nel piccolo villaggio di Obrovac. Una tragedia che segnò anche l’inizio della vita da rifugiati dei Modric, che ripararono nell’hotel Kolovare di Zara.
È proprio qui che la stella del Real Madrid prese confidenza col pallone: attorno a lui cadevano le bombe, e quella sfera era il modo migliore per chiudersi nel suo mondo. Compagni di giochi non ne aveva, ma nella ripetitività di quei fendenti anche un po’ rabbiosi scagliati contro il muro dell’albergo si accendeva uno dei talenti più luminosi del calcio contemporaneo.
Una persona che lavorava all’hotel una volta disse di lui: “Rompeva più finestre lui con un pallone che i serbi con le loro bombe”.
Nato come un modo per fuggire almeno mentalmente dalla realtà che lo circondava, il calcio è poi diventato per Modric una forma di riscatto personale e ora anche nazionale, un modo per lasciarsi alle spalle gli orrori dell’infanzia.
Una nemesi storica in cui al ronzio delle granate sono subentrate le urla festanti di milioni di croati, capitanati da questo ragazzo che conserva ancora l’aspetto gracile del bambino smarrito ma coraggioso che fu.
Dal parcheggio dell’albergo Modric si sposta piano piano anche sui campetti di Zara: partitelle coi pari età, sempre con la minaccia delle bombe che aleggia. Ma è proprio nei vicoli della cittadina croata che Luka viene notato dall’allenatore dell’NK Zarad.
Il sogno di Modric sarebbe quello di giocare nell’Hajduk Spalato, ma viene bocciato durante un provino. Tomislav Basic, invece, crede subito nelle potenzialità di quel biondino e lo arruola nelle giovanili dell’NK.
I genitori, per farlo giocare a calcio e permettergli di coltivare il suo sogno, fanno sacrifici non da poco. “Mio padre non ha mai avuto bisogno di procurarmi dei parastinchi – disse Modric in un’intervista – ma ha speso molti soldi per mandarmi a una scuola calcio, per comprarmi le scarpe adatte e altre cose che mi servivano per giocare”.
“Oggi lavora ancora nell’esercito, come tecnico aeronautico. Ha sempre cercato di trovare il modo di supportarmi nel mio sogno, che era quello di fare strada nel mondo del calcio”.
Al suo allenatore nell’NK Zadar, invece, Modric dedica la vittoria della Champions League del 2014 con il Real Madrid. “Gli devo tutto – dice in quell’occasione – senza di lui non sarei mai arrivato fin qui“.
La prima svolta nella carriera di Luka arriva nel 2011, quando passa alla Dinamo Zagabria, la squadra rivale di quell’Hajduk Spalato in cui sognava di giocare quando ancora scappava dalle bombe.
Un paio di prestiti, uno in Bosnia l’altro in Croazia, poi la progressiva affermazione come giocatore universale, a tutto campo, regista con grande visione di gioco, tiro da fuori, capacità di inserimento e leadership.
Nel 2008 il passaggio al Tottenham: quattro anni in Inghilterra, poi il trasferimento al Real Madrid per vincere tutto.
Oggi, a 33 anni, Modric è allo zenit della sua maturità calcistica, ma nelle sue dichiarazioni risuona spesso l’eco di quegli anni passati in mezzo agli orrori della guerra d’indipendenza croata.
“Dovete capire una cosa sulla gente croata. Dopo tutto quello che ci è successo, dopo la guerra, siamo più forti. Quello che abbiamo passato è stato molto duro. Oggi siamo persone difficili da rompere. E siamo determinati nel dimostrare che possiamo raggiungere il successo”.
Con i soldi dei primi contratti, Modric aiutò i genitori a tornare a Zara, comprandogli una casa dove potessero trovare tranquillità e ristoro dopo anni passati a fuggire da un posto all’altro.
Muhammad Lila, giornalista della Cnn, ha riassunto in un tweet di appena cinque frasi la parabola che ha segnato la vita di questo ragazzo.
“Quando aveva 6 anni, suo nonno fu ucciso. Lui e la sua famiglia hanno vissuto da rifugiati, in una zona di guerra. È cresciuto con il suono delle granate che esplodevano. I suoi allenatori dicevano che era troppo debole e troppo timido per giocare a calcio. Oggi Luka Modric ha portato la Croazia alla sua prima finale mondiale”.
When he was 6, his grandfather was shot dead.
His family became refugees, in a warzone.
He grew up to the sound of grenades exploding.
Coaches said he was too weak and too shy to play football.
Today, Luka Modric just led Croatia its first ever #WorldCup final.#CROENG pic.twitter.com/plOsy9nQcq
— Muhammad Lila (@MuhammadLila) 11 luglio 2018
Modric ha una moglie, Vanja Bosnic, sposata a Zagabria nel 2010, e tre figli: Ivano, Ema e Sofia.
Ai Mondiali di Russia 2018 la sua Croazia ha raggiunto la finale, il risultato più prestigioso di sempre, riuscendo a superare la semifinale come non aveva saputo fare la Nazionale del ’98, quella dei vari Suker, Boban e Prosinecki, fermata un passo prima del sogno dalla doppietta di Thuram. I croati hanno perso la finale contro la Francia, ma la scorza di chi ha dribblato bombe e mine per sopravvivere non può certo essere rotta facilmente.