Francia: Kylian Mbappé in finale di Coppa del Mondo, la riscossa delle banlieue
(Bondy, Seine-Saint-Denis). Quando il treno si ferma stridendo nella stazione di Bondy si ha l’impressione di aver sbagliato tempo e luogo. Mentre il treno RER che ti porta in stazione trascina con sé ancora i colori e l’agitazione della stazione parigina Saint Lazare, a Bondy sembra che il tempo si sia fermato agli anni ’70 ed ‘80. Bondy è la rappresentazione tipica di ciò che oggi è la banlieue di Francia. Un paesone abnorme di 54.000 anime sfigurato da una cattiva architettura che ha pensato a massimizzare gli spazi urbani per far spazio alle successive ondate migratorie degli anni ’60 e ‘70, incasellando ecomostri e palazzoni di cemento armato lungo la nazionale 3 che porta a Parigi. Se all’epoca l’impronta socialista del piano urbanistico poteva risultare ancora rassicurante per la popolosa manodopera maghrebina e poi africana che si apprestava a diventare nel tempo il sotto-proletariato di seconda generazione francese, negli anni la cittadina è diventata una sorta di prigione fatiscente, all’immagine della sua stazione ferroviaria, un casermone grigio di tubi e cemento dalle guglie aguzze che sembrano bucare il cielo. Uno stupro del territorio ancora più evidente se si pensa che Bondy era un tempo ricoperta da boschi e foreste e che tutt’oggi nel centro sorge una chiesa risalente al VII secolo d.C. Proprio qui, alla fine del 2005, fu rinvenuta una delle più importanti necropoli merovinge e carolinge di Francia.
Per anni ghettizzata, sulla bocca di tutti i giornalisti durante le rivolte del 2005, Bondy ha fatto fatica a risollevarsi. Complice un contesto economico depresso di un dipartimento – Seine-Saint-Denis o detto “Neuf Trois” – dove i salari sono in media del 35% più bassi rispetto a quelli di Parigi e dove la disoccupazione è quasi tre volte superiore alla media nazionale. Anni di abbandono che hanno generato rabbia sfociata nelle famose rivolte del 2005. Il 27 ottobre di quell’anno Zyed Benna e Bouna Traoré fuggivano durante un inseguimento con la polizia nascondendosi in prossimità di un trasformatore EDF a Clichy-sous-Bois. Morivano fulminati. Per tre settimane ci furono violenti scontri tra giovani e polizia soprattutto nel ’93, dove si trova anche Bondy. Auto incendiate, vetrine distrutte, macchine della polizia sotto continue sassaiole in quella che i media all’epoca definirono l’intifada delle banlieue. Il ricordo di quelle violenze è ancora oggi come una ferita aperta, difficile da rimarginare. Il presidente Emmanuel Macron è venuto a Bondy nel maggio scorso ma non ha lasciato un grande ricordo. “È venuto prodigando consigli a destra e a manca senza però né ascoltarci né entrare nel merito”. A parlare è la sindaca di Bondy, Sylvine Thomassin, visibilmente delusa dallo scarso impegno del presidente in periferia rispetto alle promesse elettorali. “Il presidente ha completamente ignorato i sindaci. La politica della città ha sicuramente migliorato la situazione nelle periferie ma il piano Borloo doveva essere adottato nella sua interezza. Jean-Louis Borloo, fondatore dell’Agenzia Nazionale di Rinnovo Urbano (Anru), aveva presentato al presidente un piano di 19 punti per restituire le banlieue ad un contesto di dignità. Ma il governo non lo ha voluto prendere in considerazione”, chiosa la Thomassin. Il suo senso di abbandono è condiviso anche dagli abitanti. A Bondy, la disoccupazione giovanile tocca il 40%.
Lascio il municipio e malgrado tutto sento che a Bondy qualcosa sta cambiando. Lo si respira nell’aria della piazza davanti al municipio: un palazzone sovietico dal grande spiazzale pavimentato da lastroni di cemento che i bambini hanno trasformato in un enorme campo di calcio. Le mamme ed i papà dei baby calciatori siedono ai margini godendosi la tiepida aria d’estate. Guardano anche loro fissi in alto un enorme striscione rosso con una scritta bianca. “Grazie Kylian, tutti i bondynois sono con te”, recita lo slogan. Ecco forse oggi questa è una delle ragioni per essere fieri, perché uno dei ragazzi delle cités, un bondynois, ce l’ha fatta ed ha proiettato anche sulla città una nuova luce, facendola uscire dal cono d’ombra in cui era sprofondata dal 2005. Proprio qui, venti anni fa, mentre la Francia vinceva 3-0 contro il Brasile in finale dei mondiali aggiudicandosi la prima coppa del mondo della sua storia, in questo paesone della periferia popolosa Nord di Parigi nasceva il piccolo prodigio del pallone Kylian Mbappé. Kylian, il predestinato. “E’ nato l’anno della vittoria del mondiale – mi dice Brahim, il gestore di un bar dove campeggia una foto dell’attaccante con la maglietta dei Bleus – ce ne farà vincere un altro!”. Nel ’98 era la generazione black-blanc-beur (neri-bianchi-arabi) e la mixité des quartiers a permettere alla Francia di salire sul gradino più alto dello sport mondiale. Oggi forse sarà la generazione Mbappé a portarla lontano, una generazione che si è svegliata bruscamente dal sogno di una Francia mista ed unita per scoprirsi divisa, ghettizzata, abbandonata dalla politica. Ed è l’immagine di quella violenza delle rivolte, una violenza covata per anni, che è difficile spazzare via. Oggi però i bondynois vogliono andare oltre, superare quella violenza, cancellare quelle immagini stigmatizzanti che dipingono la banlieue come criminalità e disoccupazione. Forse Kylian può aiutarli? “È uno di noi – mi dice Brahim mettendosi una mano sul cuore – se lui ce l’ha fatta c’è speranza per tutti noi”.
Kylian Mbappé a Bondy è quasi come Maradona a Napoli. Il paese non è molto grande ma qui lo conoscono tutti. Tutti ne parlano volentieri con un certo orgoglio nella voce. Ci sono sue foto con la maglia della nazionale ovunque. Sui muri delle strade, sui manifesti comunali, nelle sale dei bar, dal barbiere. Basta girare con una macchina fotografica per essere fermati per strada. “Sei giornalista? – mi chiede un ragazzo corpulento che fuma avidamente una sigaretta all’angolo di una strada – vuoi vedere dove è nato Kylian? Guarda è qui dietro” e mi fa cenno di seguirlo. Sorrido e mi faccio accompagnare. La gente di Bondy è gentile, fiera di quel ragazzino che dribblava i difensori più velocemente di tutti, l’esile gazzella dalla gambe lunghe che contro l’Argentina ha sfiorato i 37 km orari, segnando una doppietta straordinaria. Davanti ad un negozio del centro c’è l’ennesimo poster di Mbappé in vetrina. A vedermi con la macchina fotografica mi si avvicina un vecchio algerino dalla barba lunga. “Io conoscevo sua madre – mi dice puntando l’indice sulla foto – e mio figlio andava a scuola con lui”. Picchia più volte il dito sull’immagine: “Lo vedi questo qui? È uno di noi”. Il suo sguardo è indefinibile. Un misto tra orgoglio, stupore e ammirazione. Quante volte ho già sentito queste parole a Bondy quando si parla di Kylian? Il vecchio mi racconta della madre algerina di Kylian, Fayza, giocatrice professionista di handball e di suo padre Wilfried che l’allenava e che ancora oggi allena al club ufficiale di Bondy. “Pensa che lo chiamò il Real Madrid a 14 anni – mi racconta con occhi lucidi – ma fu il Monaco a riuscire a tesserarlo. Ha giocato la sua prima partita ufficiale di Ligue 1 a soli 17 anni”. Poi si fa improvvisamente serio. Attorno a noi s’è formato un capannello di persone che ascoltano le parole del vecchio come se recitasse il Corano. Parla lento e cadenzato, con un forte accento algerino. “Kylian deve pensare a giocare, restare coi piedi per terra, restare umile. Lui è uno di noi, per me sarà sempre il figlio di Fayza”. Due mesi dopo quel precoce tesseramento al Monaco il figlio di Fayza diventa il più giovane capocannoniere della squadra detronizzando un certo Thierry Henry. Poi seguiranno altri successi tra cui l’Europeo Under 19 con la Francia, il record di più giovane marcatore di una semifinale di Champions League, la vittoria della Ligue 1 fino ad approdare al reame del PSG di Neymar.
Il paese è spezzato in due arterie principali sulle quali a volte sorgono piccole casette a due piani intervallate da edifici vetusti. Per raggiungere lo stadio dove si allenava il figlio di Fayza tiro dritto lungo un viale alberato. Alla finestre sventolano bandiere della Francia e sui muri poster del ragazzo di Bondy. I contrasti sono forti, la cittadina sembra addormentata in un’estate precoce mentre la polizia a cavallo sembra risvegliare vecchi fantasmi che si vorrebbero addormentati per sempre. A Bondy lo sponsor di Kylian ha permesso di finanziare i lavori di ristrutturazione dello stadio in cui si allenava, lo stadio Léo-Lagrange, sede del’AS Bondy, la squadra che lo ha lanciato. Qui nessuno lo ha dimenticato. Men che tutti Jean-François Suner, allenatore delle giovanili, che lo vide sbarcare a sei anni. “Aveva una tecnica ed una velocità fuori dal comune, sapevo sarebbe arrivato lontano”. Fino a poche settimane fa un gigantesco murales col volto di Kylian e la maglia del Paris Saint Germain campeggiava su un palazzone in prossimità del ponte di Bondy. “Bondy, ville des possibles”, diceva lo slogan. Ora il gigantesco ritratto è scomparso e c’è una pubblicità di Castorama. Ma di fronte alle proteste degli abitanti la catena francese ha già promesso che presto toglierà la sua pubblicità per far riemergere il ritratto del ragazzo di Bondy “un ragazzo che faceva tutto quello che fa un bravo calciatore già maturo ma al doppio della velocità” mi raccontano i ragazzi ai campetti.
È sera inoltrata ed il sole si appoggia lentamente sullo stadio dove Kylian veniva ad allenarsi. Per un attimo sembra che lo stadio intero sprofondi in un mare di rosso ed oro. Le grida stridule dei ragazzi che giocano si confondono con il fragore del pallone di cuoio che picchia sulle griglie di ferro del campetto. Molti di questi ragazzi che vedo giocare vivono contesti difficili, proibitivi. Per alcuni l’ingresso al mondo del lavoro sarà una scalata dell’Everest dato qui che qui lavoro non ce n’è. Forse per alcuni di loro il calcio può essere occasione di riscatto. Non lo fu per Zinédine Zidane, Thierry Henry, per lo stesso Mbappé? Una cosa è certa: la banlieue non dimentica mai i suoi eroi.
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