Una media di 32 minuti giocati in 19 presenze in campionato con la maglia del Barcellona, una ammonizione, nessun gol, nessun assist. Non va meglio in Champions League, dove resta in campo un po’ in più (61 minuti in media) ma il bottino in fase realizzativa resta lo stesso: nulla di nulla. Come è allora possibile che un calciatore come Miralem Pjanic, nell’estate 2020, sia stato pagato 60 milioni di euro – più bonus – dal club spagnolo alla Juventus? Il bosniaco aveva ancora un valore residuo di 13,1 milioni sul bilancio dei bianconeri, che a loro volta in quell’operazione presero dal Barcellona Arthur Melo, pagandolo 70 milioni: in totale il movimento di denaro da Torino in direzione Spagna fu di “soli” 10 milioni, ma entrambe le società poterono dichiarare un surplus plurimilionario sulle rispettive cessioni.
È quello che in gergo sportivo si definisce “plusvalenza”, lo scarto positivo tra la cifra incassata per la vendita di un calciatore e il suo valore residuale di ammortamento: quando una squadra compra un giocatore, infatti, il prezzo d’acquisto concordato con la società che lo cede viene “diluito” sui vari bilanci interessati dalla durata del contratto. Se al momento della vendita il costo è maggiore di quanto rimasto dalla divisione, si genera una plusvalenza. Che non è, di per se, una irregolarità: i calciatori sono anzi considerati il bene patrimoniale principale delle società e la loro valorizzazione costituisce una delle maggiori occasioni di guadagno. Diventa un illecito soltanto quando i prezzi non rappresentano il valore reale degli atleti, ma vengono alterati di proposito per far quadrare i bilanci. Sessanta milioni per un calciatore che dopo una sola stagione – peraltro non esaltante – lascia il Barcellona per andare a giocare con scarsi risultati in Turchia e poi sparisce del tutto dai radar sono una somma congrua?
Ok, il prezzo non è giusto
L’estate successiva, quella del 2021, la Juventus cedette al Marsiglia il ventenne Marley Akè in cambio del diciannovenne Franco Tongya: entrambi i giocatori furono valutati 8 milioni di euro nonostante giocassero rispettivamente in Serie C e nella quarta serie francese. È l’operazione in merito alla quale il direttore finanziario Stefano Cerrato, intercettato, affermava “tanto la Consob ce la supercazzoliamo”. Il prezzo è giusto? Impossibile stabilirlo scientificamente: ci aveva provato la Procura della Figc, ma lo scorso 15 aprile il Tribunale sportivo ha assolto undici club – tra i quali la Juventus – e un totale di 59 dirigenti coinvolti nel filone sulle “plusvalenze fittizie”. In assenza di un accordo che provi la falsificazione di un valore, è il succo della sentenza, non è possibile procedere per illecito.
Secondo la procura di Torino, con queste operazioni la Juventus avrebbe gonfiato i propri bilanci di 282 milioni di euro complessivi “attraverso operazioni di scambio di tesserati caratterizzate da valori fraudolentemente maggiorati, così da generare un ricavo di natura contabile e in ultima istanza fittizia pervenendo a perdite di esercizio ben minori di quelle reali”. Dopo il terremoto che ha colpito il club bianconero, con le dimissioni dell’intero consiglio di amministrazione – compreso il presidente Andrea Agnelli e il vice Pavel Nedved – il procuratore federale Giuseppe Chiné ha riaperto un fascicolo di indagine in attesa di ricevere le carte dai pm. E la stessa cosa ha fatto la Uefa, che con la Juventus ha più di un conto in sospeso, a partire dalla questione Superlega che ha già incrinato definitivamente i rapporti tra Agnelli e il presidente dell’associazione che gestisce il calcio in Europa, Aleksander Čeferin. A inizio settembre otto club, di cui quattro italiani, furono sanzionati per non aver rispettato il requisito del pareggio di bilancio.
Le quattro italiane erano Inter, Milan, Juventus e Roma (le altre Marsiglia, Paris Saint-Germain, Besiktas e Monaco): l’analisi riguardava i conti societari dal 2018 al 2022, con delle deroghe per gli anni 2020 e 2021, oggetto delle misure di emergenza legate alla pandemia da Covid-19. “Gli otto club – recitava la nota Uefa – hanno accettato un contributo finanziario di 172 milioni di euro. Tali importi saranno trattenuti da eventuali entrate che questi club guadagnano dalla partecipazione alle competizioni Uefa per club o pagati direttamente. Di tale importo, 26 milioni di euro saranno interamente pagati, mentre il saldo residuo di 146 milioni di euro” sarà versato solo in caso di mancato rispetto da parte di questi club degli “obiettivi indicati nel rispettivo accordo transattivo”. Un accordo che prese il nome di “settlement agreement” tarato sui bilanci visionati all’epoca dai revisori Uefa, che per la Juventus prevedeva una multa di 23 milioni con la condizionale: il club avrebbe pagato soltanto il 15 per cento, cioè 3,4 milioni.
A patto però di rimediare alle irregolarità entro tre anni, periodo in cui sarebbe stato concesso un deficit di bilancio aggregato di massimo 60 milioni di euro. Se al momento della scadenza la situazione non fosse migliorata, la commissione avrebbe potuto annullare il settlement e imporre le sanzioni che vanno da una multa all’esclusione dalle coppe. È la nuova spada di Damocle, l’ennesima, che pende adesso sul club bianconero. E a voler farla cadere c’è anche Javier Tebas, presidente della Liga spagnola, che non si è fatto attendere e poche ore dopo la lettera di dimissioni dell’intero Cda Juventus ha pubblicato una nota nella quale chiede a Nyon di comminare sanzioni “immediate”. Tuttavia, per il momento, la Uefa è orientata ad attendere la ricezione di tutti gli atti dall’Italia prima di procedere: presumibilmente qualsiasi provvedimento non arriverà prima della prossima stagione 2023-24, sempre che la Juventus ottenga la qualificazione sul campo.
Avvertimento
A incidere sulla decisione dell’Organo di controllo finanziario dei club (CFCB) della Uefa potrebbe essere anche la cosiddetta “manovra stipendi” messa in atto dalla Juventus per limitare le perdite durante i primi mesi della pandemia: nelle comunicazioni ufficiali il club ha detto che i calciatori hanno rinunciato a quattro mensilità di stipendio, quando in realtà – è emerso dalle indagini – a “mancare” sarebbe soltanto un pagamento. Le restanti somme sarebbero state erogate con scritture private non contabilizzate a bilancio. Il massimo organo del calcio europeo si muoverà in ambito sportivo in parallelo e indipendentemente dalle risultanze penali dell’inchiesta torinese. Per la Juventus lo scenario peggiore, l’esclusione dalle coppe, scatterebbe in caso di “nero”, ovvero del ricorso a società offshore per nascondere i buchi di bilancio e pagare i calciatori.
Con il “settlement agreement” Agnelli ha ottenuto un credito di fiducia dalla Uefa, che vuole ora verificare la corrispondenza fra i dati comunicati dal club e quello che verrà accertato dalle autorità italiane: “Nel caso in cui, dopo la conclusione di questa indagine, la situazione finanziaria del club fosse significativamente diversa da quella valutata dalla CFCB al momento della conclusione dell’accordo transattivo, la prima sezione si riserva il diritto di rescinderlo e intraprendere qualsiasi azione legale ritenuta opportuna e imporre misure disciplinari in conformità con le regole procedurali Uefa applicabili”.