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Zoff a TPI: “Il Mondiale dell’82, papà Bearzot e un’amicizia lunga una vita: vi racconto chi era Paolo Rossi”

Il capitano della Nazionale campione del mondo in Spagna ricorda Pablito, morto oggi a 64 anni: "Era sempre la persona giusta al momento giusto, sia fuori sia dentro il campo. Per lui ero come un fratello maggiore. Arrivò alla Juve che era un ragazzino poi vincemmo il Mondiale insieme. Bearzot fu determinante per la sua carriera, vide in lui cose che gli altri non avevano visto. Quei suoi tre gol in contro il Brasile il ricordo più bello"

Di Enrico Mingori
Pubblicato il 10 Dic. 2020 alle 13:05 Aggiornato il 10 Dic. 2020 alle 16:49

Quando un adolescente Paolo Rossi arrivò alla Juventus, agli inizi degli anni Settanta, Dino Zoff era già “Dino Zoff”. Il portierone friulano aveva già vinto da titolare l’Europeo del 1968 e si era insediato da poco a Torino, tra i pali della Signora, con cui negli anni a venire avrebbe fatto incetta di trofei. Rossi, invece, era un giovane attaccante toscano di belle speranze, che la Juve si era assicurata per 14,5 milioni di lire nonostante il parere contrario della famiglia. Dieci anni più tardi, in Spagna, Zoff da capitano e Rossi da capocannoniere alzarono insieme al cielo la Coppa del Mondo, facendo esplodere di gioia l’Italia intera.

Zoff, che persona era Paolo Rossi?
“Intelligente, simpatico, umile, scherzoso. Era un piacere stare assieme.
Sapeva che non stava bene?
“Non si sapeva. Non ha voluto dire niente a nessuno”.
La notizia della morte, oggi, è stata un fulmine a ciel sereno?
“Quasi. Mi ha telefonato stamattina un giornalista, l’ho saputo così”.

Che calciatore era Paolo Rossi?
“Un calciatore straordinario. Faceva le cose giuste al momento giusto. Sfruttava le sue qualità nel modo migliore”.
Lo si descrive spesso come un attaccante opportunista. Riduttivo?
“Era anche opportunista, nel senso che sfruttava al meglio le opportunità che gli si presentavano. Ma soprattutto direi che era capace di fare la cosa giusta al momento giusto”.

Lei lo conobbe nel 1973 alla Juventus: Rossi era un ragazzo di 17 anni, lei un 29enne già veterano.
“Sì, io sono sempre stato il fratello maggiore, per via dell’età”.
Cosa ricorda di quel primo, giovane, Paolo Rossi?
“Ha avuto qualche problemino fisico. Ma le qualità già c’erano tutte. E pian piano è diventato Paolo Rossi”.

Poi lui andò a giocare in prestito al Como. Tornò alla Juve nel 1981. Che differenze notò tra il Rossi giovane promessa e il Rossi centravanti affermato?
“Mah, sa… Uno non cambia da giovane o da vecchio. Era sempre una persona a modo che sapeva stare insieme agli altri”.

In mezzo ci fu la squalifica per il calcio-scommesse. Come fu vissuto da Rossi quello scandalo?
“Certamente l’ha vissuta male. Non so che responsabilità potesse avere lui. Di certo chi vedeva le cose nel modo giusto – il vecchio Bearzot, che per noi era davvero come un padre – capì la situazione e gli permise di arrivare a fare quel Mondiale che ha fatto”.
Quanto è stato importante Bearzot per la carriera di Rossi?
“Per il salto mondiale è stato determinante. Aveva visto chi era Paolo Rossi, ciò che non tutti erano stati in grado di vedere”.

Al Mondiale del 1982 Rossi era da poco rientrato dalla squalifica. E vi trascinò al successo.
“Ha contribuito notevolmente alla vittoria. I numeri sono numeri”.
Se pensa a quel campionato del mondo, che immagine di Rossi le viene in mente?
“I tre gol contro il Brasile, la felicità di passare quel turno con i gol suoi. Quella partita è l’emblema di Rossi e di quel Mondiale”.
Anche lei fu protagonista di quell’Italia Brasile con una parata decisiva all’ultimo minuto.
(Ride) “Sì, ma meglio lui. Tre gol sono tanti”.

Nelle prime partite l’Italia era circondata dalle polemiche, ci fu addirittura il silenzio stampa da parte vostra.
“Sì, ma le polemiche erano rivolte quasi tutte contro Bearzot. E, come sappiamo, con Bearzot poi hanno avuto tutti torto”.
All’inizio l’Italia non vinceva e Rossi non si sbloccava.
“La vivevamo tutti male per le cose che si dicevano. E naturalmente lui la viveva ancora peggio degli altri”.

Si aspettava quel suo exploit così fragoroso?
“Sì, perché conoscevo le sue qualità. Ha sempre fatto molto bene”.
Mi racconti un aneddoto su Paolo Rossi.
“Mah, guardi, quando si vive così tanto insieme non c’è un aneddoto particolare. Rossi era uno capace di prendersi in giro, di prenderci in giro. Ma un aneddoto particolare non c’è”.

Con i compagni della Nazionale dell’82 vi siete continuati a sentire anche dopo il calcio.
“Eravamo un gruppo molto unito, sì. Anche se siamo tutti sparsi per l’Italia, c’è una fratellanza, al di là di sentirsi più o meno spesso”.
Si può dire che con Rossi, oltre che compagni, eravate amici?
“Sì, c’era un apprezzamento reciproco notevole. Rossi era l’uomo giusto al momento giusto: sempre con la parola giusta e la battuta giusta. Fuori e dentro il campo”.

Due settimane fa se n’è andato Maradona, ora Rossi. Che effetto le fa?
“Un dispiacere notevole. Rossi lo conoscevo bene, era una persona a modo. Maradona era il calcio. Due grandi perdite”.

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