Non è dato sapere se Maurizio Scanavino alla guida della Juventus avrà un incarico ad interim o se resterà direttore generale a lungo, ma – scorrendo la nutrita collezione di insuccessi nella carriera del manager – viene da augurare ai tifosi bianconeri che il mandato duri il meno possibile.
Nel comunicato con cui il club della famiglia Agnelli ne ha annunciato la nomina, diramato lo scorso 28 novembre, si legge che l’ingegnere 49enne, già amministratore delegato del gruppo editoriale Gedi, è stato scelto per «rafforzare il management della società». Rafforzamento che, visti anche i guai in cui versa oggi la Juve, può avvenire solo per mano di un dirigente capace e che abbia già dimostrato di saper centrare i risultati prefissati.
E invece fin qui Scanavino ha fatto maluccio. Sia quando, fra il 2004 e il 2007, nella Fiat appena presa in mano da Sergio Marchionne, ha diretto il marketing e la comunicazione per i marchi Fiat, Alfa Romeo e Lancia, che in quel triennio proseguirono nel loro inesorabile declino. Sia, soprattutto, negli ultimi nove anni, nel campo dell’editoria, da amministratore delegato artefice di due fusioni: prima quella fra Secolo XIX e La Stampa, che ha portato alla nascita di Itedi; poi quella fra Itedi e il gruppo L’Espresso, che ha partorito l’attuale Gedi.
Da quando è guidata da Scanavino, la società che edita fra gli altri i quotidiani La Repubblica, La Stampa, il Secolo XIX e le radio Capital, Deejay ed M2o vede il proprio fatturato in costante discesa: anche al netto dell’impatto della vendita di alcune testate locali, nel 2021 i ricavi generati dai giornali cartacei e dagli abbonamenti digitali sono calati del 6% rispetto all’anno precedente; e nei primi sei mesi del 2022 si è registrato un ulteriore meno 5,8%. Repubblica, per dare un’idea, nel giro di un anno è precipitata da 103mila a 88mila copie (dati Ads).
Non solo: il neo-direttore generale della Juventus è pure tifoso del Torino. Se non fosse per la sua ultra-ventennale amicizia con John Elkann, amministratore delegato della holiding Exor, che detiene il controllo del club, verrebbe quasi – sarcasticamente – da malignare sul manager granata infiltrato tra i ranghi degli odiati “cugini” bianconeri per sabotarne i piani di rilancio.
Scanavino ha conosciuto il nipote di Gianni Agnelli alla fine degli anni Novanta, quando entrambi erano ospiti del convitto Villa San Giuseppe, sulle colline di Torino, gestito dalla congregazione dei Fratelli Lasalliani.
Maurizio e John, quest’ultimo più giovane di tre anni, frequentavano il Politecnico – il primo seguiva il corso di Ingegneria delle telecomunicazioni, mentre il secondo aveva optato per il ramo gestionale – e insieme facevano parte della redazione del giornalino del collegio, “La Scheggia”, di cui Elkann fu anche direttore per un periodo.
Nato e cresciuto a Priocca, minuscolo paesino in provincia di Cuneo, Scanavino è figlio di un dirigente del locale consorzio irriguo, ma risiede da tempo a Torino con moglie e figli.
Dopo la laurea, prima di approdare nelle aziende di casa Agnelli-Elkann, ha lavorato per un paio d’anni negli uffici milanesi della multinazionale della consulenza Accenture. La stessa, curiosamente, alla quale ha recentemente “venduto” l’area digital di Gedi: 65 dipendenti che dal primo gennaio 2023 cambieranno datore di lavoro e ora temono per le proprie sorti: «L’annuncio ci preoccupa umanamente, per le modalità brutali con le quali è stato comunicato, e professionalmente, per le ricadute», hanno scritto in un comunicato diffuso il mese scorso.
Scanavino ha un pessimo rapporto con le rappresentanze sindacali interne a Gedi. Dopo la sua nomina al vertice della Juventus, il Coordinamento dei comitati di redazione del gruppo ha fatto notare che il nuovo incarico «rischia di lasciare Gedi con una guida a mezzo servizio».
Il fedelissimo di John Elkann è già passato alla storia dell’editoria italiana per aver venduto il settimanale L’Espresso, che dal marzo scorso non fa più capo all’ex Gruppo Espresso, bensì alla Bfc Media dell’imprenditore napoletano Danilo Iervolino.
Un’operazione smentita fino all’ultimo dal manager di Gedi, che l’ha poi giustificata sostenendo che L’Espresso ha ormai «fatto il suo tempo» e che registrava da anni «perdite significative»: tesi bollata come «fake news» dalla redazione del giornale, che gli hanno ricordato come lui stesso li avesse rassicurati sul futuro della testata «poiché i conti, per quanto in perdita, erano in miglioramento e le ricorrenti voci di una possibile cessione della testata erano “totalmente infondate”».
In seguito a quella vendita il direttore Marco Damilano si è dimesso e i colleghi di Repubblica hanno scioperato accusando «la proprietà» del gruppo di portare avanti «una strategia di riorganizzazione basata prevalentemente su tagli, ridimensionamento, cessioni di testate, accorpamenti di rami d’azienda e uscite incentivate del personale».
Anche lo scorso 29 ottobre Repubblica non è uscita in edicola per sciopero dei suoi giornalisti, questa volta infuriati con il direttore Maurizio Molinari, reo di aver anticipato «in un’intervista un sommario piano di riorganizzazione editoriale senza che sia mai stato presentato, nei suoi dettagli e nelle sue implicazioni, prima al comitato di redazione e poi alla redazione, come invece le corrette procedure sindacali imporrebbero».
Racconta in privato a TPI un ex pezzo da novanta della redazione del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari: «Quando sono arrivati gli Agnelli è cambiato tutto. Hanno iniziato a mettere in atto gli stessi metodi che hanno adottato in tutte le loro aziende, a partire dalla Fiat: per loro i lavoratori non sono esseri umani, sono solo due braccia e due gambe, un ingranaggio della macchina. È con questa logica – si sfoga l’ex giornalista, costretto al prepensionamento – che a un certo punto hanno ordinato di andarsene a tutti quelli che avevano più di 61 anni, senza valutare caso per caso».
Prima di attirarsi la rivolta dei giornalisti di Repubblica e L’Espresso, nell’ottobre 2020 Scanavino aveva scatenato le preoccupazioni e la rabbia di migliaia di cronisti toscani ed emiliani vendendo Il Tirreno, la Gazzetta di Modena, la Gazzetta di Reggio e La Nuova Ferrara alla neonata cordata di imprenditori guidata dall’abruzzese Alberto Leonardis.
I comitati di redazione dei giornali coinvolti proclamarono tre giorni di sciopero e accusarono la Gedi, che li stava dismettendo, di «totale chiusura rispetto alle richieste di tutela dell’organico, all’assenza di garanzie sul futuro delle nostre testate e sull’affidabilità degli acquirenti». Si scoprì che un documento degli acquirenti prevedeva «tagli su tutti i fronti, a partire dal personale».
«Ci hanno venduto in una maniera oscena», racconta a TPI un giornalista di una di quelle testate. «Scanavino non si è mai degnato di parlare con noi, per noi era praticamente una firma in calce ai documenti. Quando i nostri rappresentanti andarono a Torino per un confronto con la proprietà, lui si fece vedere solo per pochi minuti, lasciando ai suoi tirapiedi l’incombenza di liquidarci. Eppure avevano negato fino all’ultimo che ci avrebbero venduto».
Secondo alcune indiscrezioni circolate in quelle settimane, con il ricavato della vendita dei giornali tosco-emiliani il manager del gruppo Gedi avrebbe voluto sferrare l’attacco al Sole 24 Ore, scalata che poi però si è fermata sul nascere. Oggi si vocifera invece di un’altra possibile clamorosa operazione in uscita: dopo L’Espresso, Scanavino venderà a Iervolino anche Repubblica?
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