Guardando le mappe dei grandi conflitti che hanno sconvolto nei secoli l’Europa c’è una costante che ricorre quasi sempre: una chiazza bianca, estranea ai cambiamenti territoriali e ai movimenti di truppe. Quella chiazza è ovviamente la Svizzera, che ha fatto della neutralità uno dei suoi marchi di fabbrica, nonché uno dei principi su cui si fondano la politica e le istituzioni del Paese.
Eppure, c’è un campo in cui nessuno può essere neutrale, nemmeno la Svizzera: il campo da calcio. Nello sport anche chi ha fatto della non belligeranza e dell’equidistanza un punto fermo è costretto a scendere nell’agone e confrontarsi. Tanto più noi italiani, che con la Svizzera abbiamo storici rapporti, con cui condividiamo un confine. E, non ultimo, che abbiamo una vasta comunità di conterranei che in Svizzera si è trasferita. E stasera, all’Olimpico, i nostri Azzurri dovranno violare la neutralità elvetica in uno dei pochi campi, quello da calcio, in cui è consentito.
La seconda partita del gruppo A degli Europei è una partita che negli anni ha maturato una certa consuetudine. La Svizzera è infatti la nazionale che gli Azzurri hanno incontrato più volte e, specularmente, noi siamo la nazionale incontrata più volti dagli elvetici nella loro storia. Cinquantotto incontri in tutto, 28 vinti dall’Italia, otto dalla svizzera, 22 conclusi in parità.
Ma se il bilancio è molto chiaro riguardo le sfide complessive, nei tornei ufficiali la situazione è più equilibrata. Stasera sarà infatti la prima volta che l’Italia e la Svizzera si incontreranno in un Europeo di calcio, mentre ai Mondiali gli elvetici hanno avuto la meglio due volte (entrambe nel 1954, in terra elvetica: la seconda partita fu uno spareggio, all’epoca previsto per superare la fase a gironi), contro una vittoria azzurra nel 1962. La prova che questa sfida, per quanto non possa essere definita un derby o una classica, ha una lunga storia, fatto che la rende più sentita di molte altre.
La Svizzera per anni è stata per gli italiani terra di emigrazione: centinaia di migliaia di nostri conterranei hanno varcato il confine in cerca di lavoro, complici la vicinanza e la possibilità di parlare italiano. Si sono dati da fare, hanno costruito molto, e se molti calciatori svizzeri col cognome italiano si sono alternati, non è solo perché l’italiano è la lingua del Canton Ticino. Oggi, però, al posto di giocatori che si chiamano Tranquillo Barnetta o Diego Benaglio ce ne sono altri che si chiamano Xherdan Shaqiri o Granit Xhaka: è la nuova diaspora che ha trovato casa in Svizzera, quella degli albanesi del Kosovo, che ha impresso una forte impronta nella nazionale di calcio. Un’altra cosa in comune con l’Italia, dove una casa l’ha trovata una vasta comunità albanese, proveniente però dall’Albania.
Stasera, starà a Mancini e questa Italia continuare la storia calcistica di Italia-Svizzera. In favore degli Azzurri, ci auguriamo, dopo un esordio contro la Turchia che ha portato molta fiducia, dopo ben cinque anni trascorsi senza un grande torneo, un’eternità per un popolo che ama il calcio. Che la strada prosegua, anche contro il vicino neutrale.